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La Saggezza della Folla e il Futuro della Conoscenza

Nel libro “La saggezza della folla” (www.fusiorari.it, 2007, www.internazionale.it), James Surowiecki ci ricorda un fenomeno molto spesso sottovalutato: la cooperazione come necessità per arrivare alla vera conoscenza. Infatti l’autore collabora con numerose testate: New Yorker, Wired, The New York Times, The Wall Street Journal, Artforum e Slate (dove scrive di economia, scienze sociali, psicologia, arte, ecc).

Partendo dall’assunto che gli esseri umani non sono fatti per prendere decisioni perfette perché sono solo limitatamente razionali (Herbert Simon, economista), e che a molte persone manca la voglia di lanciarsi in un calcolo preciso di costi e benefici, risulta più facile capire che i gruppi assommano più conoscenze e capacità di una persona sola, anche se molto qualificata ed esperta. Inoltre il modo migliore per informare il pubblico è quello che evita le informazioni inutili, l’enfasi e i commenti personali delle persone con troppo potere (Paul Andreassen, psicologo); inoltre “I gruppi possono essere intelligenti solo se esiste un equilibrio tra le informazioni condivise da tutti e quelle in possesso dei suoi singoli membri” (Surowiecki, p. 263).

Quali sono quindi le condizioni fondamentali che permettono di arrivare alle decisioni sagge dei gruppi? Tralasciando per ora  i vari problemi psicologici, di coordinamento e di collaborazione nei gruppi, i fattori sono principalmente tre: la diversità, l’indipendenza e il decentramento. “La diversità e l’indipendenza sono molto importanti perché le decisioni collettive migliori nascono dal disaccordo e dalla disputa, non dal consenso e dal compromesso” (Surowiecki): un gruppo è intelligente quando ogni persona può pensare ed agire nel modo più indipendente possibile (e così le Nazioni). La diversità di opinione è importante perché ognuno ha informazioni e interpretazioni che altri non hanno e il decentramento serve per poter arrivare alle informazioni molto specialistiche e al maggior numero di persone possibile. Come accade nel sistema operativo open source Linux ideato “dall’hacker” finlandese Linus Torvalds e perfezionato da tutti i suoi utilizzatori: “Se ci sono abbastanza occhi che controllano, tutti gli errori vengono a galla” (Eric Raymond, guru dell’’Open Source). Il decentramento è poi fondamentale per arrivare alla “conoscenza tacita o implicita” (Friedrich Hayek): quella conoscenza che non può essere facilmente sintetizzata o comunicata ad altri ed è legata a un particolare luogo o lavoro. E trovare il modo giusto di sfruttare la conoscenza tacita delle persone dovrebbe essere il compito principale di un’organizzazione, perché più una persona è vicina a un problema, più è probabile che trovi una buona soluzione. Nel vero decentramento “il potere non risiede mai completamente in un centro. Molte decisioni importanti vengono prese da singoli individui sulla base delle loro conoscenze private e specifiche, non da un unico pianificatore onnisciente e lungimirante… inoltre aumenta sia la gamma sia la diversità delle opinioni e delle informazioni di cui dispone il sistema” (Surowiecki).

Il quarto fattore, certamente il più complesso è l’aggregazione: cioè un meccanismo, una struttura o la capacità di trasformare dei giudizi personali in una decisione collettiva. E Internet è il moderno aggregatore che potrebbe portare a trasformazioni straordinarie e rivoluzionarie nel campo della scienza, della cultura e della politica. “Paradossalmente, l’aggregazione – che potrebbe essere vista come una forma anomala di centralizzazione – è fondamentale per il successo del decentramento” (Surowiecki). L’aggregazione non è però positiva se si trasforma in eccessivo accentramento localizzato troppo lontano dall’origine dei problemi che vuole risolvere: l’economista William Easterly nel suo libro del 2007, “I disastri dell’uomo bianco. Perché gli aiuti dell’Occidente al resto del mondo hanno fatto più male che bene”, lo spiega egregiamente (opera sintetizzabile nel motto: “Errare è umano… Ma per mandare tutto all’aria ci vuole una commissione”). Anche il successo della scoperta della Sars attraverso l’attività dei diversi laboratori di tutto il mondo, che hanno collaborato tra di loro messi in comunicazione dall’Organizzazione mondiale della Sanità, ha dimostrato i vantaggi dell’aggregazione combinata al decentramento.

“Naturalmente, perché un processo decisionale funzioni davvero bene non basta avere un semplice quadro del mondo così com’è. Bisogna anche immaginare il mondo come sarà, o almeno come potrebbe essere… Qualsiasi meccanismo decisionale deve poter funzionare in condizioni di incertezza. Inoltre i gruppi sono più bravi a scegliere tra diverse soluzioni che non a fare proposte. Forse inventare è ancora un’attività individuale (anche se la creatività ha una dimensione collettiva), ma scegliere tra varietà di invenzioni è un’attività di gruppo (Surowiecki). A proposito, parlando di creatività non posso non segnalare il libro dello psicologo Edwar De Bono: “Il pensiero laterale: come diventare creativi”. E quindi ricordo che il compito principale di ogni mente creativa è quello di uscire dal “pregiudizio epistemico” che ci spinge inconsciamente a ricercare le informazioni che confermano le intuizioni e le idee di partenza: in realtà per progredire nei processi di conoscenza è più semplice e veloce trovare il singolo fatto che va contro la nostra opinione, o l’opinione corrente, anche se a priva vista può risultare molto sgradevole al nostro narcisismo.

Così a volte succede che gruppi mal assortiti possono far perdere tempo a persone che lavorerebbero meglio da sole. L’ex presidente della General Electric Ralph Cordiner disse a questo proposito: “Nominatemi una qualunque grande scoperta o una decisione importante attribuita a una commissione, e io vi troverò il singolo uomo che – mentre si faceva la barba o andava a lavoro, o magari mentre il resto della commissione chiacchierava a ruota libera – ha avuto l’intuizione solitaria che ha permesso di risolvere il problema o di prendere la decisione”.

Quindi “Uno dei segreti per ottenere delle buone decisioni di gruppo è proprio quello di incoraggiare le persone a dare meno peso a quello che dicono gli altri” (Surowiecki) e le persone più sicure di sé e più timorose dei rischi sono spesso quelle che riescono ad ignorare le informazione più inflazionate e popolari. A volte ci sono particolari categorie di persone che sono più capaci nel diffondere le nuove idee che possono trasformare la società: alcuni esperti, i connettori, i venditori, gli intellettuali e gli artisti (il libro “Il punto critico” dello “Psico-Guru” Malcolm Gladwell parla proprio di questo). Bisogna però fare attenzione nel considerare il giudizio degli esperti: i giudizi del passato, non costituiscono alcuna garanzia per il futuro, e ci sono troppi sedicenti esperti in giro per cui risulta molto difficile individuare quello affidabile e adatto. La migliore soluzione è quindi quella allargare il gruppo di esperti per avere una visione d’insieme ed evitare la deriva specialistica: troppo spesso riteniamo l’intelligenza una qualità degli individui e ignoriamo che la folla tende a non riconoscere la sua stessa saggezza.

Però, come affermato dal teorico delle organizzazioni James G. March, i gruppi troppo omogenei hanno più difficoltà ad imparare, perché i loro membri portano sempre meno informazioni nuove e “il progresso e della conoscenza potrebbe dipendere anche dall’influenza delle persone ingenue e ignoranti, e in una competizione la vittoria non va necessariamente ai più istruiti” (come diceva Napoleone anche un cretino può avere una buona idea). Inoltre non ci sono prove che dimostrano la superiorità degli esperti nel prendere decisioni e nel fare previsioni: gli studi fatti non hanno mai trovato alcun rapporto tra competenza e correttezza delle previsioni (J. Scott Armstrong), e i recenti insuccessi dei “patetici professionisti” economici e finanziari lo dimostrano (in questo libro si parla molto dei problemi della Borsa e della nascita delle bolle finanziarie).

Anche per quanto riguarda “l’Ambigua Casta dei Manager” si potrebbe dire la stessa cosa: l’80% dei nuovi prodotti lanciati sul mercato in un anno non va oltre i dodici mesi di commercializzazione e la maggior parte delle fusioni si rivelano una scelta sbagliata. E hanno questo tipo di risultati perché nessuno può fare sempre la scelta giusta in situazioni di reale incertezza prevedendo il futuro: molto spesso si tratta semplicemente di colpi di fortuna. Noi cambiamo, le situazioni cambiano, la società cambia, perché i manager dovrebbero sapere cosa vogliono i consumatori del futuro? In realtà gli amministratori delegati veramente intelligenti di solito costruiscono intorno a sé una squadra affiatata (Peter Drucker, economista), ma il loro “rendimento passato non è una garanzia di quello futuro” (Sydney Finkelstein, docente di economia). Inoltre i sistemi premianti delle aziende basati sul premio al conseguimento dell’obiettivo possono trasformarsi in percorsi fuorvianti. A volte ci si adagia su obiettivi poco impegnativi e a volte si è tentati di falsificare i dati per rispettarli: si finisce così “per pagare la gente per mentire” e rubare (Michael C. Jensen, docente di Harvard). Oppure si punta al ritorno economico a breve termine e al “capitalismo di rapina”, a scapito degli investimenti a medio e lungo termine. In realtà per far funzionare meglio le aziende conviene investire su tutti i dipendenti, affidando a loro azioni della società, ma anche maggiori responsabilità: solo così si spingono i lavoratori a scoprire e a sfruttare le informazioni utili e vantaggiose da soli. E così facendo si sentono più liberi di criticare eventuali decisioni: l’errore fondamentale nella società di oggi (scuola, lavoro, politica) è quello di non stimolare lo spirito critico, riducendo il diritto di critica senza ritorsioni (D. Mazzotti). Per evitare grane tutte le persone si adeguano al regno del “comportamento insincero” (Chris Argyris, teorico delle organizzazioni), che può poi sfociare nella criminalità dal colletto bianco di grande livello: le truffe più o meno legalizzate e approvate dal sistema bancario privato che pur di veder girare dei soldi è disposta a girare lo sguardo ben lontano dai veri bilanci aziendali.

Ma il cuore dei gruppi di lavoro è rappresentato dalla reciproca collaborazione che è basata sulla fiducia e sul reciproco scambio. “Nel tempo abbiamo imparato che, nei giochi di scambio, alla fine tutti possono guadagnare, mentre nei giochi a somma zero c’è sempre chi vince e chi perde” (Robert Wright). “Il soggetto di quell’abbiamo, però non è ben definito, perché le diverse culture hanno idee molto diverse sulla fiducia, sulla collaborazione e sulla gentilezza nei confronti degli estranei” (Surowiecki). E forse “il fondamento della collaborazione non è affatto la fiducia, ma la durata del rapporto. A lungo andare, che i giocatori abbiano fiducia l’un l’altro conta meno del fatto che le condizioni siano mature per consentirgli di costruire un rapporto stabile di collaborazione” (Robert Axelrod, studioso di scienze politiche). L’importanza dell’onestà per creare una duratura rete di rapporti economici tra i diversi operatori, che sono così in grado di sviluppare un’economia florida e sana, viene inoltre testimoniata dall’economista Thomas Schelling: “basta pensare all’enorme frustrazione che comporta gestire gli aiuti o aprire un’attività in un paese sottosviluppato, per rendersi conto di come una popolazione fatta di persone oneste e coscienziose sia uno straordinario vantaggio economico” (anche i fatti e i misfatti italiani gli danno pienamente ragione). A tenerci in riga è quindi “l’Ombra del Futuro” e il “vincolo del denaro” (Marx), cioè la prospettiva di un’interazione continuata: i veri uomini d’affari vedono le singole transazioni come anelli di una lunga catena di proficui rapporti commerciali e non come opportunità uniche da sfruttare al massimo (Tilly). Infatti , se una persona  vuole continuare a fare dei buoni affari, quando nasce un problema è molto meglio alzare la cornetta e chiamare l’interlocutore al telefono, invece di appigliarsi al contratto ed iniziare ad elencargli le varie clausole...

L’eccessiva fiducia crea però dei problemi: più le persone si fidano, più rischiano di essere sfruttate. Occorrono quindi dei sistemi di controllo e verifica che però si possono inceppare: le bolle economiche possono spazzare via l’Ombra del Futuro e i manager possono approfittare dei vantaggi a breve termine gonfiando scandalosamente i prezzi delle azioni sapendo di non poter guadagnare le stesse cifre con i flussi di cassa degli anni futuri (le società a conduzione familiare sotto questo aspetto sono più oculate). “Il capitalismo è più sano quando le persone sono convinte che i vantaggi a lungo termine della correttezza superino i vantaggi a breve termine della scorrettezza” (Surowiecki). Per questo motivo sono necessarie delle sacrosante e regolari punizioni per chi sgarra. Controlli e verifiche andrebbero fatti anche su molte altre istituzioni: quella che controlla i dati radiotelevisivi e quelle dei revisori contabili e degli organismi di controllo della Borsa. Ad esempio gli investimenti pubblicitari televisivi sono basati sui dati poco affidabili derivanti dallo studio di un piccolo gruppo di famiglie: infatti la pubblicità si sta spostando velocemente sul WEB non solo perché sempre più gente lo frequenta, ma anche perché i dati sono più precisi e affidabili e la pubblicità può essere più mirata (si può arrivare più facilmente al tipo consumatore di riferimento che si desidera “messaggiare”). La maggior parte delle persone è quindi disposta a collaborare se è convinta che anche tutti gli altri facciano la stessa cosa: “quando hanno le sensazione che il guardiano si sia addormentato, e pensano che chi infrange la legge riesca a farla franca, le persone cominciano a sentirsi sfruttate” (Michael Graetz, professore di diritto a Yale).  Approfittare degli altri può essere però una scelta razionale e vantaggiosa: per questo la collaborazione umana può apparire misteriosa. In realtà “i geni” della prosocialità e “dell’altruismo”, e l’educazione religiosa possono spiegare molte cose.

Del resto anche la funzione della giuria popolare nella Giustizia Ordinaria è basata sul principio dell’importanza del giudizio della gente comune, che sarebbe utile estendere anche alla Giustizia Straordinaria come le Corti Costituzionali: è da troppo tempo che in Italia politici, giudici e avvocati fanno leggi e le amministrano disinteressandosi completamente dell’opinione e dei diritti della popolazione e quindi anche dell’antica saggezza della folla (questo può spiegare la degenerazione affaristica-burocratica della giustizia: i tempi lunghi sono utili solo ad avvocati e ai politici che guadagnano di più passando più tempo a gestire i loro sporchi affari). Anche Thomas Jefferson credeva molto nella sapienza popolare: “Se presentate un quesito morale a un contadino e a un professore, il primo lo risolverà altrettanto bene e spesso meglio del secondo, perché non si lascerà sviare da regole artificiali”. Il giudice americano Richard Posner (in “Law, Pragmatism and  Democracy) ha invece affermato che “gli esperti costituiscono una classe a parte nella società, con valori e punti di vista che differiscono sistematicamente da quelli delle persone “comuni”… I cittadini non amano le astrazioni, non hanno né il tempo né tanto meno la voglia di studiare per diventare degli elettori informati e dotati di senso civico… E’ molto più difficile farsi una solida opinione di ciò che è bene per la società nel suo complesso di quanto non lo sia individuare il proprio interesse personale… possiamo comunque sentirci rassicurati dal fatto che il potere sia condiviso da esperti e non esperti invece di essere monopolio dei primi”. Questo non succede oggi in Italia e quando il cittadino italiano la smetterà di votare solo in base al proprio interesse e imparerà a votare seguendo i principi di giustizia, nascerà una nuova e reale democrazia anche da noi...

Dunque, questa lettura davvero stimolante riesce a fare una bella panoramica multidisciplinare sul business, la società e la vita quotidiana. Anche il giudizio del Time è molto positivo: “un libro sottile e intelligente. E’ un piacere anche non essere d’accordo con Surowiecki”. Quindi nell’attuale società occidentale dove la cultura e i giornali sono in una crisi epocale, le star del giornalismo stanno sostituendo gli intellettuali: la loro interpretazione della complessità aiuta le persone comuni a destreggiarsi nella vita quotidiana e a difendersi dall’invadenza di molti professionisti e intellettuali che vivono ancora nella teoria e nei mondi passati dei vecchi libri dottrinali. Invece libri come “Freakonomics” (Steven D. Levitt e Stephen J. Dubner), “Il Mondo è piatto” (Thomas L. Friedman), “La Coda Lunga” (Chris Anderson) e “Il Cigno Nero” (Nassim Nicholas Taleb),  sono altri esempi di questa categoria di opere spiritualmente originali create dalla nuova figura del “Giornalista-Guru”.

Perciò la “Saggezza della Folla” non è un attacco contro gli esperti, ma contro l’eccessiva fiducia che a volte si ripone sul singolo individuo… perché perfino gli esperti più brillanti hanno i loro pregiudizi e i loro punti deboli… per fortuna in un gruppo allargato i loro errori possono essere compensati dalle altre persone (Surowiecki). Bisogna sempre tener conto ogni scienziato è condizionato dagli interessi (in entrambi i sensi della parola) della sua comunità e che purtroppo nell’attuale società della conoscenza con studi e laboratori finanziati più o meno privatamente, l’errore più diffuso e imperdonabile è quello di nascondere o non parlare dei risultati negativi che non sono graditi. La segretezza è la prima nemica della conoscenza , che non perde il suo valore con la sua divulgazione: anzi, aumenta il suo valore con l’ampliarsi della gamma delle sue applicazioni (Henry Oldenburg, primo segretario della Royal Society). Quindi “Nella Scienza la proprietà privata si afferma rivelandone il contenuto” (Robert K.  Merton, sociologo della scienza).

Comunque il mio pensiero è che se qualcuno avesse trovato la formula magica della conoscenza a quest’ora sarebbe già miliardario. E forse Nassim Nicholas Taleb ci è riuscito: ma lui ha trovato “solo” la formula della non conoscenza. John Maynard Keynes ha invece affermato: “La saggezza del mondo ci insegna che per la propria reputazione è meglio fallire in modo convenzionale che riuscire in modo anticonvenzionale” (Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta). Ma uno dei migliori modi per farsi un nome è quello di trovare degli errori nel lavoro degli altri (David Hull, filosofo). Forse però è molto meglio non concentrarsi sugli errori delle persone troppo famose e potenti… Infatti il buon senso e “L’Economia dell’Attenzione” (T. H. Davenport e J. C.  Beck, 2001) insegnano che i mostri sacri sono molto difficili da colpire e da abbattere, e soprattutto da dimenticare…

 P.S. Questo libro è stato eletto il migliore dell’anno da Forbes e Business Week. 

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