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La Procura di Palermo e Napolitano

La Procura della Repubblica di Palermo ha presentato alla Corte che dovrà giudicare il caso della “trattativa” Stato Mafia, un elenco lunghissimo di testi e, fra essi, anche il Presidente della Repubblica Napolitano. Sorge un problema: si può adire come teste il Capo dello Stato? In che casi? Ci sono criteri di opportunità che lo sconsigliano?

 

L’ipotesi che il Presidente possa essere ascoltato come teste è esplicitamente prevista dall’articolo 205 del cpp, quindi è ammessa dall’ordinamento che stabilisce come unica limitazione il fatto che il Presidente sia ascoltato nel suo ufficio del Quirinale. Sembra una norma dettata da deferenza costituzionale, ma, al contrario, ha una conseguenza pratica: nel caso non si accettasse di deporre (in fondo, per entrare al Quirinale ci vuole pur sempre il suo consenso), a lui non potrebbe essere applicata la norma dell’accompagnamento coatto con i carabinieri, sia perché “deve” essere sentito nella sua sede, sia perché questo contravverrebbe alle guarentigie sulla sua libertà personale.

E già qui capiamo che la deposizione del Capo dello Stato può avere luogo solo come deposizione volontaria. Ma c’è di più: è tutt’ora irrisolta la questione costituzionale del se il Presidente possa essere processato per reati comuni o se quanto, previsto dall’art. 90 della Costituzione escluda qualsiasi ipotesi di processabilità del Presidente tranne che per attentato alla Costituzione o per alto tradimento.

Dunque, nel caso in cui i magistrati ritenessero reticente o addirittura falsa la deposizione, il Capo dello Stato potrebbe essere processato per questo? Dovrebbe esserci un voto del Parlamento per autorizzare il processo? E se il Presidente ricorresse alla Corte Costituzionale per conflitto fra poteri dello Stato, nel frattempo il processo principale dovrebbe essere sospeso? Si capisce come questo apra una serie di questioni costituzionali spinosissime che non sembra opportuno aprire se non per motivi “imprescindibili”, ad esempio se il Presidente fosse teste de visu di un caso di omicidio (quello che, per la verità, non è in questo caso).

C’è un precedente interessante: la Procura di Roma (che procedeva per la riapertura dell’inchiesta sul golpe Borghese) chiese al Quirinale quale sarebbe stata la risposta nel caso avesse avanzato richiesta di vedere il registro dei visitatori del Presidente del periodo di interesse. La garbatissima risposta potrebbe essere liberamente tradotta in questo modo: “vi diremmo che avete le pigne in testa”. Si badi che stiamo parlando non della persona del Presidente, ma delle sue pertinenze e per un caso di tentativo di colpo di Stato per di più di trenta anni prima.

D’altro canto, immaginiamo che sorga un contrasto fra quello che dice il Presidente e quello che sostiene un altro teste: si potrebbe procedere al confronto fra i due? Ed un Presidente che fosse smentito anche solo per un particolare secondario della sua deposizione, dovrebbe dimettersi?

Peraltro, il Capo dello Stato è anche capo del Csm, per cui, se insorgesse un profilo disciplinare relativo alle modalità della sua audizione, poi lo stesso Presidente si troverebbe a presiedere la riunione di Csm che decidesse sul caso.

Ovviamente potrebbe sempre astenersi per fatto personale, ma, insomma, vi pare che si possano dare spettacoli del genere? La Procura di Palermo è già uscita con le ossa rotte dalla questione delle intercettazioni che toccavano il Quirinale (a nostro parere, in questo caso, c’è stato un eccesso di protezione del Quirinale da parte della Corte Costituzionale, ma quello che conta è che quella è stata la decisione), vi sembra opportuno ed utile che vada a cacciarsi in questo nuovo ginepraio?

 

 

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