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La Legge di bilancio, la politica e la qualità che manca

"Chi parla male, pensa male e vive male". Vale anche per le leggi, che tuttavia appaiono il prodotto di una classe politica che ha urgenze e ambizioni diverse da chiarezza e linearità

di Vitalba Azzollini

Quando si parla di legge di Bilancio non si è soliti pensare alla qualità della regolamentazione. Ma quest’anno l’esame della bozza di tale legge da parte del Comitato per la legislazione della Camera – esame che non avviene ogni anno, ma solo in casi specifici, come si vedrà – consente di valutarla anche sotto il profilo della qualità normativa.

Perché è vero che la legge di Bilancio, più di altre, produce impatti di tipo economico sui suoi destinatari, ma va pure tenuto presente – come afferma il Consiglio di Stato – che «una norma “scritta bene”, che rispetti i requisiti di “qualità” […], reca un beneficio ulteriore – e costi sociali minori – rispetto ai benefici che il suo contenuto “di merito” già prevede» (parere n. 1458/2017). Ma dato che, come scriviamo da tempo anche su questo sito web, in Italia non si fa analisi di impatto della regolamentazione, cioè non se ne valutano preventivamente costi e benefici, possiamo ritenere che ai nostri legislatori interessi scrivere norme “di qualità”?

IL COMITATO PER LA LEGISLAZIONE

Il Comitato per la legislazione è un organo istituito nel 1997 dalla Camera dei deputati, e di recente anche presso il Senato.

Le Commissioni sono tenute a chiederne il parere – tra gli altri – sui progetti di legge contenenti norme di delegazione legislativa o di delegificazione. È questo il motivo per cui quest’anno il disegno di legge di Bilancio è stata sottoposto all’attenzione del Comitato: c’è una norma per la delegificazione «in materia di disciplina del fondo per il pluralismo e l’innovazione digitale dell’informazione e dell’editoria». 

Il Comitato esprime il proprio parere anche sui decreti-legge, valutandoli – tra le altre cose – «con riguardo alla loro omogeneità, alla semplicità, chiarezza e proprietà della loro formulazione». Tra le distorsioni più ricorrenti rilevate dal Comitato c’è la modifica esplicita – e, in particolare, l’abrogazione – di disposizioni presenti in decreti-legge ancora in corso di conversione ad opera di decreti successivi; oppure forme di intreccio tra disposizioni contenute in decreti contemporaneamente al vaglio del Parlamento. Queste sono le conseguenze della moltiplicazione di decreti-legge, adottati a distanza ravvicinata, poiché utilizzati come strumento “ordinario” di regolamentazione, e che vanno tutti convertiti in legge entro 60 giorni per evitarne la decadenza.

Sono anni che il Comitato formula rilievi di questo tipo. Del resto, i suoi pareri non sono vincolanti, e ciò rappresenta un limite alla sua funzione. Ma anche un limite dei governanti italiani, evidentemente poco interessati alla qualità della regolamentazione, dato che da anni proseguono tutti con le medesime distorsioni.

UN NUMERO DI COMMI SPROPOSITATO

Come accennato, uno dei profili esaminati dal Comitato riguarda la chiarezza e la proprietà della formulazione. Con riferimento all’articolo 1 della legge di Bilancio, il Comitato rileva che esso «risulta composto da ben 561 commi, in analogia peraltro a numerosi precedenti» (la legge di bilancio per il 2023 ha raggiunto i 903 commi e quella per il 2022 i 1013 commi). Qualcuno potrebbe rilevare che c’è stato un miglioramento rispetto agli scorsi anni.

Ma il numero di commi resta spropositato, e ciò contrasta con quanto disposto dalla circolare del presidente della Camera sulla formulazione tecnica dei testi legislativi (20 aprile 2001), la quale raccomanda un numero di commi «limitato». Peraltro, i 561 di quest’ultima legge di Bilancio – osserva il Comitato – sono «spesso molto lunghi» e «presentano una struttura particolarmente complessa, articolandosi in lettere e numeri».

Considerato tutto questo, il Comitato raccomanda

L’opportunità di una riflessione di carattere generale sull’uso non infrequente, da molti anni, di approvare testi legislativi con articoli di dimensioni assai rilevanti e suddivisi in un numero di commi estremamente alto.

Insomma, anche se ormai è abitudine redigere leggi strutturate in questo modo, l’organo per la qualità della regolamentazione continua a evidenziarne la stortura, come già aveva fatto nel 2018, in occasione della precedente legge di Bilancio sottoposta al suo esame.

Il Comitato segnala, inoltre, «l’opportunità, per una maggiore leggibilità del testo, di corredare il provvedimento, in sede di pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale”, di sintetiche note a margine, stampate in modo caratteristico, che indichino in modo sommario il contenuto di singoli commi o di gruppi di essi», come prevede un decreto del Presidente della Repubblica del 1985 (n. 1092).

LA POLITICA E LA QUALITÀ CHE MANCA

Il Comitato affronta poi alcuni specifici profili contenutistici della legge di Bilancio, ma l’impressione è che per questi ultimi abbia potuto solo provare a scalfire la mole di norme di cui essa risulta costituita. D’altro canto, il parere è stato reso il 27 dicembre scorso, e il 29 dicembre la legge è stata definitivamente approvata dalla Camera: se pure il Comitato avesse svolto rilievi più ampi, approfonditi e sostanziosi, come avrebbe potuto la Camera tenerne conto, data l’impossibilità di modificare il testo a causa del termine indifferibile per la sua approvazione, pena l’esercizio provvisorio?

È un circolo vizioso. La politica, pure quando promette di agire nel modo migliore, come aveva fatto Giorgia Meloni per la legge di Bilancio, preannunciando un iter più agile e veloce, non riesce a evitare forzature. Forzature che per tale legge si sono risolte addirittura nel “divieto” alla maggioranza di presentare emendamenti, peraltro senza che questo espediente abbia consentito un iter più spedito rispetto agli scorsi anni.

Ma le forzature comportano altresì il sacrificio di ciò che gioverebbe a migliorare la qualità della regolamentazione, pur di arrivare all’approvazione – della legge di Bilancio così come delle leggi di conversione dei decreti-legge – a qualunque costo. Ma, a proposito di costo, come si evince dall’affermazione del Consiglio di Stato riportata all’inizio, il costo di una regolamentazione inadeguata può essere rilevante, ed è a carico dei cittadini.

Detto ciò, come può pretendersi la qualità delle leggi se manca la qualità della politica che le produce?

Foto di Arek Socha da Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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