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La Comunità filippina di Milano si stringe attorno alla famiglia Arvesu e chiede una punizione esemplare

Il marito di Emilou Arvesu, la donna filippina uccisa dall’ucraino venerdì scorso in Viale Abruzzi teme che ora all’assassino venga riconosciuta l’infermità di mente e giustizia non sia fatta.

Adesso i filippini di Milano dopo che un’aspirante pugile ucraino, probabilmente dedito all’uso di sostanze dopanti e stupefacenti, ha ucciso venerdì mattina a pugni una donna loro connazionale nel corso di un tentativo di rapina chiedono giustizia e si appellano allo Stato italiano affinché ad Oleg Fedchenko, l’assassino, sia riservata una condanna esemplare.
 
“I mass- media, giornali e televisioni, hanno avuto un approccio sospetto al caso, quasi a voler sminuire la gravità del gesto. Prima hanno affermato che l’ucraino si era comportato così perché lasciato dalla fidanzata lettone, particolare smentito dalla stessa giovane, poi che aveva agito in tal modo perché psichicamente disturbato. In realtà Fedchenko ha ucciso la nostra connazionale dopo un tentativo di rapina ed una volta immobilizzato avrebbe detto agli agenti solo di aver ammazzato una nera di m…. Ora sappiamo che è detenuto nel reparto psichiatrico di San Vittore e che il giudice pare intenzionato ad assecondare la richiesta della difesa di sottoporlo a perizia medica al fine di accertarne le facoltà mentali. Non vorremmo che riuscisse a scampare la punizione che si merita, cioè l’ergastolo, a causa di vari cavilli da legulei”: questo lo sfogo della maggior parte dei connazionali di Emilou Arvesu, la quarantunenne lavoratrice straniera brutalmente assassinata. L’ucraino, inoltre, in casa deteneva un vero e proprio arsenale fatto di coltelli e macheti.
 
Era un esaltato simpatizzante per l’ambiente naziskin, afferma chi lo conosceva, che odiava tutti coloro che avevano un colorito della pelle più scuro del suo. Era anche un clandestino, non avendo rinnovato il permesso di soggiorno. La comunità filippina, una delle più numerose presenti a Milano, da sempre è conosciuta ed apprezzata per la sua mansuetudine e per il suo carattere ligio alle leggi dello Stato italiano. “Non vorremmo che, solamente perché l’assassino non è romeno, zingaro o magrebino e la vittima non è italiana, la questione sia presa sottogamba e semplicemente liquidata e giustificata con l’infermità mentale dell’assassino” ribadiscono i cittadini del paese asiatico. I medesimi concetti sono espressi da Alfredo Verdad, il marito di Emilou, rimasto vedovo con due adolescenti da crescere, psicologicamente distrutto, che ha manifestato l’intenzione di seppellire l’amata sposa in madrepatria. In effetti le domande a cui rispondere sono molte: innanzitutto bisogna chiedersi se Fedchenko non stia simulando la propria infermità al fine di scampare la pena massima prevista dal nostro ordinamento e, poi, bisogna riflettere sul fatto che l’assassino, la cui estrema pericolosità sociale è stata purtroppo dimostrata dai fatti di venerdì scorso, pur essendo comunque un clandestino in Italia era libero di svolgere una normale vita di relazioni sociali senza che mai nessuno lo disturbasse. Forse che le espulsioni vengono in Italia riservate solamente a chi ha la pelle scura o a chi, prigioniero della propria disperazione, vende di notte per strada il proprio corpo? Il pericolo, come giustamente sottolineano oggi i filippini colpiti da un lutto tanto disperante, è che si faccia strada una sorta di giustizia etnica implacabile contro certe razze o nazionalità, neri, magrebini, romeni, zingari, ed indulgente oltre misura nei confronti di altri. “ Le legge è uguale per tutti ed è amministrata in nome del Popolo”, lo afferma la Costituzione italiana: che i magistrati non lo dimentichino e lascino da parte un certo buonismo che, quasi sempre, produce nel popolo l’effetto contrario e fa aumentare l’intolleranza razziale. Il pope ucraino- ortodosso di Milano, intanto, ha espresso alla comunità filippina meneghina, cui in queste ore è vicino pure il Governatore lombardo Formigoni, le proprie condoglianze.

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