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La Cina e la crisi

La Cina non ha gli stessi problemi di liquidità della finanza occidentale, ma un rallentamento della domanda Usa di merci low-cost rende necessaria l’ammodernamento dell’economia del Dragone, finora basata sul ciclo virtuoso “manodopera e produzioni a basso costo-export-accumulo di liquidità-investimenti”.

Se non è crisi, ci sono almeno tutti i presupposti per una ristrutturazione o riconversione. Se è vero che il decoupling eviterà forse che l’epidemia made in Usa si estenda implacabile a tutto il mondo, è pure possibile che la stretta interconnessione tra le economie cinese e americana obbligherà il Dragone ad accelerare i tempi verso la piena maturità economica.
Insomma, il ciclo virtuoso “manodopera e produzioni a basso costo-export-accumulo di liquidità-investimenti” potrebbe essere al capolinea.

La questione non è finanziaria, la liquidità delle banche cinesi è fuori discussione nonostante l’esposizione della People’s Bank of China sui buoni del tesoro Usa. Il punto è che al calo dell’export di manufatti low-cost non corrisponde ancora una politica di investimenti in settori avanzati, adatti a competere sulle eccellenze.

Attualmente, si crede molto alla crescita del mercato interno: la nuova middle-class cinese, si dice, dovrebbe riassorbire le mancate esportazioni in America, pagando con i risparmi accumulati negli anni.
I dati a disposizione sembrano corroborare questa convinzione: spese per i consumi che aumentano del 22%, calo dell’inflazione dovuta alla diminuizione dei prezzi alimentari, crescita ininterrotta delle riserve (1.810 miliardi di dollari a luglio 2008), investimenti in capitale fisso a +27% nei primi otto mesi del 2008 e Standard & Poor’s che assegna un A+ al rating cinese.

Andando in profondità emerge invece che nel 2007 circa metà del Pil deriva dall’export e dagli investimenti governativi, mentre il consumo privato è in percentuale meno importante che nel 2003.


Allo stesso tempo, gli indici di borsa sono in calo da un anno a questa parte: lo Shanghai index ha perso due terzi del suo valore dal picco di ottobre 2007 e nello stesso periodo l’Hang Seng ha perso più del 50%.
Il CSI 300 - che valuta le fluttuazioni quotidiane dei 300 maggiori titoli sulle piazze di Shanghai e Shenzhen - ha perso il 60% in un anno, la seconda peggiore performance mondiale, intaccando le sicurezze del nuovo ceto medio che gioca in borsa come alla lotteria.

Se gli investimenti in capitale fisso sono in crescita, circa un terzo di questi continua a foraggiare il settore immobiliare, nonostante la Cina sia ormai piena di appartamenti vuoti e i prezzi delle case stiano calando. Tra i vari indicatori, anche le vendite di automobili stanno diminuendo. E, come sottolinea il Financial Times, anche i ricchi piangono: i 50 cinesi più facoltosi hanno perso circa un terzo del proprio patrimonio nell’ultimo anno.

La fiducia dei consumatori, anche se non a livelli occidentali, sembra un po’ in declino e il Paese comincia a misurarsi con il problema della disoccupazione, tanto più grave perché colpisce soprattutto l’esercito di migranti provenienti dalle campagne e urbanizzati nella cintura manifatturiera low-cost del sud della Cina.
Nel Guangdong, metà dei piccoli calzaturifici ha già chiuso i battenti e - questo è il vero problema - non è ancora pronta una struttura produttiva avanzata che possa sostituirli, soddisfacendo sia le maggiori aspettative della middle-class sia la domanda di lavoro che viene dal basso.

Questi lavoratori che hanno appena annusato il benessere tornano a casa, nelle campagne, dove gli investimenti sono stati finora insufficienti in formazione, programmi sanitari e sociali, infrastrutture (solo il 2,3% del totale). Si sentono tagliati fuori e da qui agli “incidenti di massa” - in crescita - il passo è breve, cosa che toglie il sonno ai funzionari locali e all’establishment di Pechino.

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Commenti all'articolo

  • Di Rocco Pellegrini (---.---.---.64) 10 ottobre 2008 12:25
    Rocco Pellegrini

    La crisi in Cina sarà molto più forte di quello che gli analisti dicono.
    Fino ad oggi il boom cinese è stao trainanto dall’afflusso di capitali esteri che oggi corrono in patria per salvare il salvabile.
    Inoltre riconvertire verso una maggiore "tecnologia" il sistema diffuso basato sul low cost non è facile nè semplice.
    Infine la Cina sarà costretta a supportare ancora di più di quanto ha già fatto l’ecponomia americana, dovrà, pertanto, tirare la cinghia e fronteggiare un crescente protezionismo dell’occidente. 

  • Di paolo (---.---.---.173) 10 ottobre 2008 20:59

    Interessante.
    IIlustrata una ampia visuale a 360° dell’economia cinese.

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