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La Banca Islamica: una nuova prospettiva per il settore finanziario convenzionale

La dottrina coranica, attraverso i suoi dettami, regolamenta molti aspetti della vita dei credenti e, ponendo l’attenzione sul settore economico, proibisce ogni forma di usura, tra cui il semplice interesse.

 

Il divieto dell’usura o interesse è sancito dal ribà ([1]), quindi è necessario che chiunque presti denaro non si faccia corrispondere interessi: sulle basi di questa proibizione si è modellato il sistema bancario islamico.

Il ribà, come citato nel Corano ([2]) è in compresenza della zakàt ([3]) e tale condizione richiama il concetto degli opposti, accostando l’usura all’imposta. Il ribà prevede che se i possessori di capitali decidono di darli in prestito, possono percepire una percentuale sugli utili di attività conseguiti dal soggetto che ha contratto il prestito, tenendo fede al principio del ghàrar ([4]), secondo cui l’ammontare della somma non può essere concordato o conosciuto in anticipo.

La zakàt si attiene alla concezione islamica del welfare sociale e prevede che tutti gli uomini abbaino avuto un certo numero di beni in prestito da Dio (quasi a richiamare la forma contrattuale del comodato d’uso), tra quelli presenti sulla terra, senza distinzioni meritocratiche, in virtù del fatto che sono tutti uguali di fronte a Lui.

In conseguenza di ciò l’uomo deve prendersi cura dei beni “avuti in prestito” ed esercitare, proprio attraverso l’istituto della zakàt, una giusta compensazione della disuguaglianza sociale nel caso in cui un individuo si trovi con minori mezzi a propria disposizione rispetto al resto della comunità.

La zakàt, definita come “elemosina rituale”, oltre ad essere una vera imposta versata nella percentuale delle ricchezze possedute, è uno strumento di sostenibilità economica della comunità islamica, che trova la sua origine nella shari’à.

Pertanto, una ipotetica richiesta di denaro come corrispettivo di un prestito verrebbe valutata come una turbativa nell’ordine di distribuzione dei beni operata dal CEO ([5]) dell’universo.

Considerando quanto esposto fino ad ora, l’istituto bancario non avrebbe ragione di esistere nella comunità islamica, ma, in controtendenza a ciò, la dottrina coranica incoraggia lo spirito imprenditoriale ed il commercio, autorizza il rischio e approva il profitto, pertanto l’islam ha cercato una risposta alternativa al sistema bancario occidentale, ponendo le basi per un’attività bancaria in linea coi principi sciariatici e rientrante nella categoria del consentito.

Attualmente la banca islamica si pone come sfida la competitività con il sistema bancario occidentale e la globalizzazione.

Una delle casistiche del settore di investimenti bancario focalizza l’attenzione sul possessore di capitali islamico che, nel seguire la dottrina coranica, opta per investimenti definiti “sicuri”, caratterizzati da una divisa stabile nel tempo e nella quotazione di mercato, come i tappeti, l’oro e le pietre preziose.

In questo modo l’investitore islamico, godendo di una rassicurazione finanziaria e morale, perché legata alle quotazioni di mercato sugli investimenti effettuati e in linea con i dettami della shari’à, preclude lo sviluppo di attività economiche in quanto le risorse finanziarie vengono sottratte ad un utilizzo nei diversi settori produttivi e manufatturieri.

Inoltre, nel tentativo di attualizzarsi col sistema bancario occidentale, la banca islamica deve competere con le banche definite “convenzionali” nello stesso territorio di riferimento.

Questa “convivenza” implica una perdita per entrambi i sistemi bancari poiché l’utente che intenda avvalersi dei servizi finanziari nel territorio di riferimento opterà per scelte di tipo pratico perché, laddove nei suoi investimenti abbia un alto rischio di perdita, si avvarrà del sistema bancario islamico che garantisce la partecipazione agli utili e sopratutto alle perdite. Diversamente, se gli investimenti avranno un basso rischio, si avvarrà del sistema bancario occidentale, che prevede solo il pagamento degli interessi sul capitale avuto in prestito, escludendo la partecipazione agli utili da parte della banca.

Inoltre la banca islamica, nel rapportarsi col sistema bancario occidentale, si trova a dover affrontare alcune difficoltà riguardanti la garanzia di moneta da parte della banca centrale, la quale, al fine di garantire la stabilità della moneta stessa, promuove gli scambi, alimentando il fabbisogno di liquidità degli utenti (cittadini) in una condizione di stabilità della valuta.

In ultimo, ma non meno importante, sorge la problematica della contabilità dei profitti e delle perdite, nodo dei vari Ministeri, che per sopperire alle perdite e al disavanzo pubblico, ricorrono ai mercati finanziari, richiedendo prestiti basati sul pagamento dell’interesse (pratica proibita dalla dottrina coranica).

L’Iran, che abbraccia un sistema economico interamente islamizzato, avvalendosi del mudàraba ([6]) e del mushàraka ([7]) è riuscito a finanziare parte della propria spesa pubblica e progetti di rilevanza nazionale.

La tecnica di applicazione di questi strumenti finanziari risiede nell’emissione di titoli pubblici, il cui rendimento è strettamente collegato alle attività e ai progetti finanziari, al fine di condividere gli utili e le perdite, il tutto in linea con la dottrina coranica.

Il valore aggiunto di un sistema interamente islamizzato che preveda la partecipazione agli utili è la valutazione del progetto che risiede alla base dell’investimento. Tale progetto dovrà essere vagliato per la sua effettiva realizzazione, a differenza del sistema occidentale che rende disponibili i fondi per l’investimento in valutazione dei soggetti richiedenti e del coefficiente di rimborso della quota prestata.

Inoltre, il sistema islamico gode di un’accentuata stabilità in quanto i fondi messi a disposizione degli investitori sono frutto di attività produttive.

Tale caratteristica implica una “tenuta” maggiore in situazione di crisi, considerando che le attività produttive, per onorare i propri impegni finanziari, cercheranno soluzioni economiche in grado di fronteggiare le eventuali perdite e favorire una maggiore stabilità.

Il sistema bancario islamico, adoperando la partecipazione agli utili e alle perdite sulle attività finanziate, definisce un rapporto vantaggioso oltre norma col la propria clientela.

La banca islamica, nel prestare il proprio denaro, non pattuisce un rendimento ex ante sul capitale oggetto del prestito, ma ne condivide i successivi impieghi rendendo meno “asettico” il rapporto contabile tra banca e cliente.

In definitiva, la concessione di un prestito, oltre che essere una compartecipazione di un progetto, diventa un riconoscimento delle qualità del proponente del progetto, il quale si fidelizzerà esponenzialmente col passare del tempo.

L’islamic banking ([8]) ha fornito una nuova visione del rapporto tra finanza e religione, secondo cui la massimizzazione speculativa dei dividendi lascia il posto all’etica e ad uno sviluppo sostenibile fondato sulla consapevolezza che è stato Dio a creare la totalità dei beni esistenti in terra, basandosi sul principio dell’equa spartizione, in garanzia della sopravvivenza di tutti.

Il sistema bancario islamico, negli ultimi anni, ha generato interesse nel mondo occidentale, con una crescita pari al 8.3% annua e movimentando un patrimonio stimato in 2050 miliardi di dollari ([9]).

Una simile crescita ha contribuito a rimarcare che il concetto di banca islamica non è peculiarità del territorio in cui si genera, ma è definito dalla tipologia dei prodotti finanziari offerti in linea con la dottrina coranica.

Pertanto la banca islamica potrebbe trovarsi ovunque nel mondo, anche all’interno di una banca convenzionale con sportelli dedicati ai prodotti finanziari islamici “islamic windows”.

Considerando che nel mondo si stima la presenza di 1,8 miliardi di fedeli musulmani, comprendenti circa il 24% della popolazione mondiale ([10]) e valutando il fenomeno della globalizzazione mondiale, risulta palese una stima di crescita futura della domanda di prodotti in linea con la dottrina coranica, determinando nuove opportunità per il settore bancario.

Come già affermato, le problematiche di convivenza del sistema bancario islamico col sistema bancario occidentale sono molteplici, una tra queste è il controllo e la supervisione delle attività.

Nel sistema bancario islamico questo compito è affidato ad un organo interno nominato dall’assemblea degli azionisti, lo shari’à board, e composto da giureconsulti ed esperti in finanza islamica. La banca islamica, tra le sue attività, è autorizzata a raccogliere fondi e depositarli nei propri conti, distinguendoli per tipologia di impiego, infatti, i conti correnti definiti demand accounts ([11]) raccolgono piccole somme di denaro che possono essere mobilitate senza preavviso, a differenza dei conti di condivisione definiti investment accounts ([12]), che prevedono una partecipazione agli utili e alle perdite della banca. Per quest’ultima tipologia di conto, come previsto dalla dottrina coranica, non è concordata nessuna remunerazione sulle quote versate.

I clienti più “meritevoli”, su assoluta discrezione della banca, otterranno periodicamente dei riconoscimenti in prodotti alimentari o piccole somme di denaro e quando possibile anche delle agevolazioni di carattere finanziario.

In Italia, alcune casse di risparmio, con lungimiranza, hanno attivato delle islamic windows ([13]), prevedendo che i titolari di conti islamici allo scadere dell’anno finanziario abbiano dei buoni pasto in alternativa al pagamento degli interessi, tutto ciò in linea con la dottrina coranica.

Una delle particolarità della banca di matrice islamica risiede nella contabilità interna, infatti il bilancio d’esercizio risulterà semplificato rispetto a quello “occidentale”.

Le passività dello stato patrimoniale saranno composte dai depositi, capitale sociale e riserve. L’attivo dello stato patrimoniale comprenderà l’impiego dei fondi con l’assenza della voce “interessi attivi e passivi”, (fortemente vietati dalla dottrina coranica) e sostituiti dalla voce ricavi lordi, come conseguenza dei vari contratti muràbaha, bay salam, istisna per gli investimenti a breve termine, e ’ijara, mudaraba musharaka per gli investimenti a medio/lungo termine.

Gli interessi passivi sono sostituiti dai redditi riconosciuti ai titolari degli investment account e come risultanza dei progetti della banca.

Gli accantonamenti rientrano nel conto economico che inserisce la zàkat a voce di conto, con lo scopo di raccogliere i proventi delle attività non in linea con la shari’à, “purificando” queste somme dalle attività di provenienza haràm, prevedendone l’utilizzo per fini caritatevoli. Le differenze tra la banca islamica e quella occidentale non sono solo di matrice etica; il confronto bancario potrebbe essere un interessante punto di partenza per il sistema bancario occidentale, che carpendo la fidelizzazione del cliente adoperata dalla banca islamica, ottimizzerebbe la gestione della clientela, col fine di costruire un rapporto tra banca e cliente meno “asettico”. L’integrazione economica e finanziaria tra culture differenti rappresenta un’opportunità di crescita da non sottovalutare; un’alternativa al sistema bancario convenzionale, rappresenterebbe la possibilità di scegliere dei prodotti finanziari di differente concezione, adatti all’avviamento di nuove attività imprenditoriali. La globalizzazione ci offre molte opportunità, una di queste è l’alternativa islamica da integrare nel sistema bancario convenzionale.

                                             Alessio Della Ducata

 

 

[1] Ribà (Proibizione dell’usura): Per la maggior parte dei musulmani, l’usura coincide con l’interesse, in quanto entrambi sono frutto del trascorrere del tempo e non del rendimento di un progetto finanziario.

[2] “Quel che voi prestate a ribà perché aumenti sui beni degli altri, non aumenterà presso Dio. Ma quello che voi date in elemosina, bramosi del volto di Dio, quello vi sarà raddoppiato.” (XXX-39).

[3] Zakàt (Tassa islamica), che letteralmente significa “purificazione o crescita”, rientra tra gli obblighi dell’Islàm, può essere definita come l’unica imposta dovuta dai fedeli all’interno dei paesi Musulmani nell’anno Islamico ed è calcolata sul surplus eccedente nella percentuale del 2,5% sugli utili e sulla ricchezza prodotta da persone fisiche o società. La base imponibile a cui applicare l’aliquota è rappresentata dai beni di proprietà non sfruttati ai fini della produzione e la cui consistenza sia superiore ad un determinato ammontare definito “nisàb”.

[4] Ghàrar (Divieto dell’incertezza): Ogni contratto deve essere libero da forme di incertezza e promuovere divulgazione e trasparenza ottenute attraverso la perfetta conoscenza, da parte delle parti contraenti, dei valori destinati a essere scambiati. Il divieto di Ghàrar protegge da perdite impreviste e dai possibili disaccordi riguardanti asimmetria informativa. In questa fattispecie rientra anche il divieto di azzardo, rischio, speculazione.

[5] Chief Executive Officer, Amministratore Delegato.

[6] Mudàrabah: Contratto misto di capitale/lavoro in cui il rabb al mal investe il capitale e assume i rischi e i profitti dell’impresa, mentre il mudarib investe il suo lavoro e assume i profitti.

[7] Mushàraka joint ventureContratto dove entrambi i contraenti condividono profitti e rischi.

[8] Islamic banking: Sistema bancario islamico.

[9] BETHANY Lee, Egitto today news, mercato e finanza islamica 2021-2024, dimensione globale del settore, domanda, analisi di crescita, quota, entrate e previsioni.

[10] Pew Research Center.

[11] Demand account: Conto Corrente.

[12] Investment accounts: Conto di Investimento.

[13] Islamic windows: Sportelli bancari caratterizzati da procedure in linea con la dottrina coranica.

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