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L’unico esito certo delle riforme: l’aumento di pressione fiscale

Ieri sera, a Ballarò, il Viceministro per l’Economia, Vittorio Grilli, ha ribadito che l’aumento dell’Iva al 23 per cento è già scritto nel “Salva-Italia” e quindi scatterà il prossimo primo ottobre. Questa frase archivia di fatto le dichiarazioni del premier, Mario Monti, che lo scorso 14 febbraio aveva suggerito la possibilità che l’Iva non aumentasse, in quanto la misura era una clausola di salvaguardia, e che il gettito necessario per conseguire gli obiettivi di finanza pubblica negoziati con la Ue sarebbe potuto provenire dal mitologico “riordino” delle agevolazioni fiscali.

Giorni addietro, lo stesso Monti ha ribadito l’esigenza di spostare la tassazione dalle cose alle persone, cioè dalla imposizione diretta alla indiretta. Tutto perfetto e condivisibile, se non fosse che una prima manovra di inasprimento delle indirette, tra accise ed un punto Iva, è già stata attuata per “salvare il paese”, senza ovviamente alcuna compensazione dal versante delle dirette. La dichiarazione di Grilli sembra suggerire (a meno di improbabili sconfessioni o di “precisazioni” del proprio pensiero) che il governo avrebbe scelto di procedere comunque con l’aumento Iva, a sole tre settimane dal possibilismo di Monti. A questo punto si impongono alcune considerazioni.

In primo luogo, se le cose stanno effettivamente in questi termini, se ne ricava l’impressione che la comunicazione di Monti e dell’esecutivo non è particolarmente efficace, né pare differenziarsi realmente da quella del suo predecessore. A ben vedere, l’unica differenza risiede nell’entusiasmo con cui la stampa accoglie le “promesse” di Monti, evitando di chiedergli conto quando le medesime si sciolgono come neve al sole. Vedasi la sostanziale assenza di commenti e reazioni di oggi, di fronte alla “comunicazione” di Grilli. Oppure la strana “lettura” fatta passare dell’annuncio di Monti sulle semplificazioni fiscali, che è diventato un taglio della prima aliquota marginale Irpef con i proventi della lotta all’evasione. Salvo accorgersi che non si trattava di nulla del genere. Articoli di questo tenore cosa sono, nella sostanza? Propaganda filo-governativa autonoma da parte di qualcuno o un deliberato spin dell’esecutivo, così “per vedere l’effetto che fa”? O magari preoccupante deficit analitico? Ma soprattutto forse non a tutti è chiaro, ma la pressione fiscale sta aumentando in un modo che finirà col mettere in ginocchio un paese i cui consumi sono già morti da tempo.

Escludendo che Monti e l’esecutivo distribuiscano periodicamente caramelle mediatiche perché hanno deciso (contrariamente alle enunciazioni iniziali) che la popolarità potrebbe comunque servire, tra un annetto o giù di lì, non resta che una conclusione: il paese resta con un drammatico buco di crescita potenziale, che a sua volta apre crateri spontanei nei conti pubblici, che devono essere colmati. Quindi, siamo costretti a rottamare le magnifiche sorti e progressive della riforma fiscale e procedere con l’esproprio strisciante che abbiamo attuato per evitare il default. In questo siamo – ovviamente – uguali a tutti gli altri paesi dell’Eurozona, Spagna in primis. Ma se qualcuno pensa che, così facendo, al termine della traversata nel deserto troveremo una rinfrescante oasi di crescita, se lo faccia passare.

Ecco qualcosa su cui sarebbe utile che i partiti riflettessero, in questa irritante ubriacatura unanimistica filogovernativa. Al medico occorre chiedere in modo fermo che dica la verità: accontentarsi di proclami del tipo: “Il peggio è passato, e non tornerà più” non bastano. Non sarebbero bastati quando a Palazzo Chigi sedeva il demiurgo col cerone, a maggior ragione non devono bastare oggi, quando alla guida del paese c’è una persona di equilibrio e competenza. Perché se l’esito deve comunque essere una comunicazione paternalistica e largamente avvolta dalle nebbie, la cosa continua a non andarci bene. Per nulla. Riuscirà la nostra “libera stampa” a porre qualche domanda in più e salmodiare qualche panegirico in meno?

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