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L’interminabile prigionia del bersagliere Longarato

Un’Odissea quella del bersagliere Vittorio Longarato, durante la II guerra mondiale. Fatto prigioniero in Egitto il 15 maggio 1941, gli inglesi lo trasferirono al campo di Zonderwater, in Sudafrica. Da lì tornò a casa il 2 febbraio 1947, quasi due anni dopo la fine della guerra. 

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Vittorio Longarato e amici bersaglieri

Vittorio Longarato era nato a Gambellara il 28 aprile 1917, figlio di Angelo e Scarsi Elisa, ultimo di tre figli. Lasciò i genitori a 20 anni e li rivide quando ne aveva 30: ben 10 anni lontano da casa fra servizio militare, guerra e prigionia.

Il 15 gennaio 2014 il sindaco di Gambellara Michela Doro gli ha assegnato la Croce di Guerra al Merito, medaglia e distintivo alla memoria. La consegna delle decorazioni è stata fatta dal Ten. Col. Massimo Beccati, alla presenza dei figli e nipoti, dell’Amministrazione Comunale, del reduce Sabatino Libratti.

 

LA BIOGRAFIA 

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Il bersagliere Vittorio Longarato

 Vittorio Longarato dopo aver svolto il sevizio militare a Verona, al Distretto 8° Bersaglieri dal 1937-39, nel gennaio 1941 partì per Tripoli e fu assegnato al comando del Col. Montemurro. Con la Divisione Ariete prese parte alla cruenta battaglia di El Mechili l’8 aprile 1941.

Il 15 maggio dello stesso anno, nel corso dell’Operazione Brevity, a Quota 186 Capuzzo-Sollum,, fu ferito gravemente alle cosce e all’addome e imprigionato dagli inglesi. Si salvò grazie all’intervento di un ufficiale medico tedesco anch’egli prigioniero.

Dopo due mesi di ospedale e uno di prigionia nelle “gabbie egiziane” al campo 306, fu trasferito in Sud Africa nel campo di prigionia di Zonderwater dove incontrò alcuni paesani. 

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La valigia di latta di Vittorio Longarato

Solo nel gennaio del 1947 fu rimpatriato. Fu tra gli ultimi in quanto dopo l’8 settembre non firmò la cooperazione con gli inglesi. Aveva fatto un giuramento all’Italia e non si sentiva di tradirlo facendone un altro a Sua Maestà Britannica.

Bussò alla porta di casa il 2 febbraio, a Sorio. Si fece annunciare dai parenti, vicini di casa, per paura di turbare troppo i genitori anziani. Era ridotto pelle e ossa.

Tra gli effetti personali aveva una valigia di latta piena di libri della biblioteca del campo, una di cartone con qualche ricordo, il banjo-mandolino che si costruì da solo e che suonerà per tutta la vita.

Vittorio Longarato sposò Caterina Dalla Valle il 15.11.1952. Hanno avuto cinque figli: Elisa, Mariella, Angelo, Loredana e Antonio. Egli è morto il 27 giugno 1994.

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Le tende dei prigionieri italiani a Zonderwater

IL RACCONTO DELLA FIGLIA ELISA

“Circa tre anni fa ho aperto la valigia di latta di papà, costruita in prigionia con i barattoli della marmellata, c’erano lettere di mio padre ai genitori e viceversa, era tutto conservato, ma tenuto nascosto ai figli. Papà ci diceva solo che era stato a Durban, poi a Pretoria, così ho cominciato le ricerche” spiega Elisa.

E cosa ha scoperto?

Che dall’Egitto sbarcò a Durban e trasferito a Pietermaritzburg, un campo di transito per la disinfestazione e lo smistamento, poi messo sul treno diretto a Zonderwater a 50 Km da Pretoria, nel Transvaal ora Gauteng una regione mineraria a 1500 ml di altezza. I Prigionieri erano ricoverati in tende rotonde da 8 posti, sostenute da un palo centrale in ferro che attirava i fulmini! Questa fu la causa di alcune morti fra i prigionieri. Alla fine del 1942 arrivò un nuovo comandante, il sudafricano H.F. Prinsloo: decise di fare lavorare i prigionieri, per ridare loro la dignità di soldati e di uomini.

Cosa cambiò con il comandante Prinsloo?

I prigionieri cominciarono a costruirsi le baracche, si fabbricavano anche i mattoni. In ogni blocco realizzarono gli orti, le scuole, le chiese, teatri e palestre, si dedicarono a lavori manuali ed artistici. Costruirono un ospedale da 3000 posti letto tenuto da prigionieri medici italiani. Riuscirono a fare una mostra d’arte e dei tornei sportivi.

Era grande il campo di Zonderwater?

30 Km di strade, fu chiamatao “La città del prigioniero”. Arrivò a contenere più di 100.000 prigionieri di guerra italiani. Il campo era formato da 14 blocchi, ciascuno con 4 campi da 2000 prigionieri, il più grande costruito dagli Alleati. Mio padre vi arrivò ancora debilitato dalle ferite di guerra, camminava con le stampelle e i primi due anni nella tendopoli dormì per terra su un pagliericcio, soffrì la fame. I prigionieri avevano un libretto sul quale registravano le paghe mensili: 8 pences (scellini) a un soldato semplice. Solo i capi potevano “maneggiare” denaro. Dopo due anni, il Comitato Superiore decise di dare denaro direttamente ai prigionieri. Spedire “un’aerea” a casa costava 6 pences, una tazza di thè o caffè 1 pence, Con 8 pences i fumatori potevano avere 3 pacchetti di tabacco da pipa. Dopo l’8 settembre i cooperatori ottennero due sterline al mese oltre la paga consueta. I prigionieri che firmavano l’”accordo di cooperazione” con gli inglesi potevano andare a lavorare nelle “farms”, fare i contadini: erano molto richiesti, gli italiani sapevano lavorare bene la terra. Venivano mandati anche in campi esterni dove venivano impiegati nella costruzione di strade e gallerie.

Lei ha visto il campo dove fu rinchiuso suo padre?

Tramite alcune ricerche su internet ho trovato la pagina Facebook di Enzo Bonzi di Faenza che ha pubblicato i ricordi del padre a Zonderwater. Mi sono messa in contatto con lui e nel novembre 2011, con un gruppo di romagnoli, ho fatto un viaggio in Sudafrica, per la Cerimonia del 70° dall’ apertura del campo. C’è ancora qualche reduce tra gli 800 che chiesero di rimanere laggiù e altri che vi tornarono anni dopo. Ho conosciuto Emilio Coccia, Presidente dell’Associazione Zonderwater Block ex POW che si occupa del Cimitero, del Museo e che custodisce le schede di ogni prigioniero. Ci sono parecchi vicentini, ho conosciuto Franco Muraro originario di Arzignano, emigrato da bambino con la famiglia, che ha parenti a Montebello. E’ il custode della chiesa costruita dai prigionieri italiani a Pietermaritzburg dichiarata monumento nazionale. Poi ho incontrato Italo Rader originario di Posina, reduce di Cefalonia che nel dopoguerra, si unì agli 800 suoi concittadini che emigrarono in sud Africa. Il figlio Vasco è l’attuale Presidente dei Veneti in Sud Africa.

Cosa vi raccontava della guerra e prigionia suo padre?

Papà non ha mai parlato volentieri della guerra e tanto meno della prigionia, solo mezze parole che noi figli abbiamo cercato di mettere insieme nel tempo. La Divisione Ariete in Africa Settentrionale era l’avanguardia, lui era fuciliere scelto, stava davanti, con un fucile contro i carri armati. Quel 15 maggio del 1941 quando si trovò solo raccolse tutte le munizioni di un compagno caduto e continuò a sparare a raffica finché fu colpito. Gli avevano detto di nascondere tutto sotto la sabbia, foto, documenti, lettere. Di stare immobile, fingersi morto: passavano le ispezioni inglesi e ai soldati feriti sparavano il colpo di grazia. Così venne caricato sul carro dei morti della Croce Rossa inglese, tutto insanguinato per le gravi ferite alle gambe e all’addome, ma un ufficiale medico tedesco prigioniero capì che era vivo e lo rianimò con dell’anice. Dell’ospedale da campo raccontò ad un amico un particolare divertente: all’imbrunire la sua tenda era sempre affollata di ricoverati prigionieri ed anche inglesi, perché di fronte c’era quella di una crocerossina che si spogliava a lume di candela!

Adesso con i reduci ed i figli in Italia vi incontrate spesso?

È’ ormai diventato un appuntamento annuale, in settembre, con la partecipazione del Presidente Emilio Coccia che arriva appositamente da Pretoria. Chiunque fosse interessato può visitare il sito www.zonderwater.com e utilizzare i contatti per avere informazioni.

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Elisa Longarato ed Emilio Coccia al museo di Zonderwater - 2011

Una frase che diceva sempre suo padre?

Devo fare una premessa. Solo un paio di anni fa con stupore ed emozione scoprii che l’azione di mio padre è stata citata in un libro di storia scritto dal Generale Diego Vicini “L’8° Bersaglieri e la guerra in Africa Settentrionale 1941-1943”, riportata anche nel libro in memoria del Tenente Giacinto Cova, che perse la vita nella stessa battaglia il 15 maggio 1941, medaglia d’oro al valor militare: “…Un fucilone Solothurn continuò rabbiosamente, per quanto vanamente, a fare fuoco. Lo impugnava il bersagliere Longarato, che, recuperate munizioni nella postazione di un compagno caduto, non cedette fino a quando una raffica gli crivellò una coscia, lasciandolo esanime…” Questo mio padre non l’ha mai saputo. Per cui le rispondo che Lui non ha mai voluto fare richiesta di riconoscimenti, premi o altro. Diceva: “Loro sanno quello che ho fatto e se credono che mi meriti una medaglia sanno dove trovarmi”. La richiesta l’abbiamo fatto noi figli, purtroppo quando lui non c’era già più.

Il prossimo raduno annuale dei reduci, familiari e simpatizzanti del gruppo “Zonderwater” si svolgerà il 13 settembre a San Salvatore Montecarlo (LU). 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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