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L’interesse a non finire come Liz

L'esplosione della spesa per interessi e previdenziale (anche senza nuove agevolazioni) disegna un percorso strettissimo e ad alto rischio per la finanza pubblica italiana

 

Mentre siamo in attesa della presentazione della legge di Bilancio 2023 e mentre i leghisti, fedeli al copione imposto dal loro segretario (che in questa legislatura si gioca la sopravvivenza politica) si esibiscono in roboanti dichiarazioni per portare avanti la loro agenda fatta di più spese e meno entrate, e nell’attesa che la premier si pronunci, s’avanza l’entrata in scena dell’elemento che ricorda agli adoratori del dio deficit che la coperta, o meglio la catena, è corta.

BOOM DELLA SPESA PER INTERESSI

Parliamo della spesa per interessi, destinata a una forte spinta verso l’alto in conseguenza della stretta monetaria delle banche centrali. Come indicato dalla Nadef pubblicata giorni addietro, quest’anno l’Italia spenderà 77,2 miliardi di euro per servire il debito, contro i 62,9 miliardi del 2021. L’aumento è quindi di quasi il 23%.

Il balzo è notevole anche rispetto al DEF dell’aprile di quest’anno, che ipotizzava quest’anno una spesa per interessi di 65,9 miliardi. Ma i numeri sono pesanti da qualunque angolazione temporale li si guardi. Come scrive oggi Gianni Trovati sul Sole,

Ma la corsa è continua nelle cinque settimane che separano la Nadef tendenziale presentata dal governo Draghi il 27 settembre da quella programmatica esaminata dall’esecutivo Meloni il 4 novembre il contatore della spesa per interessi è salito di circa un miliardo e mezzo sul 2022, e di 13,2 miliardi sul quadriennio [2022-2025].

Il problema italiano è che la Bce ha smesso di assorbire la totalità (e oltre) delle nostre emissioni nette di debito, come fatto ad esempio durante gli interventi in pandemia. Nel 2022, secondo stime dell’Ufficio parlamentare di Bilancio (UPB) ricordate nell’articolo di Trovati, l’Italia avrà emissioni nette molto contenute e pari a 37 miliardi di euro, ancora interamente coperte sul mercato secondario dalla Bce.

2023, ODISSEA NEL DEBITO

I problemi sorgeranno nel 2023, quando avremo emissioni nette, cioè quelle che finanziano il fabbisogno aggiuntivo e non il debito in scadenza, pari a 63 miliardi di euro. Il prossimo anno, come noto, la Bce si limiterà a reinvestire i titoli in scadenza di cui è in possesso. Secondo stime dell’UPB, nel 2023 l’Italia dovrà rinnovare titoli di stato per 406 miliardi, contro i 369 in scadenza quest’anno e i 387 del 2021. Sono le cosiddette emissioni lorde, quelle dove le cose possono mettersi male a ogni asta.

Secondo le ultime stime contenute nella Nadef aggiornata, nel 2025 l’incidenza della spesa per interessi sarà pari al 4,1% del Pil. Ad aprile, il DEF la proiettava al 3%. Non ci aiuta il fatto che, sullo stock di debito pubblico, sia aumentata l’incidenza di Btp indicizzati all’inflazione. È vero che il Tesoro può (poteva) effettuare delle forme di copertura entrando in operazioni di inflation swap. Non sappiamo se tali operazioni siano effettivamente avvenute.

Questo aumento di oneri a carico del bilancio pubblico sottrae risorse destinabili altrove. Un’altra voce di indicizzazione che sottrarrà pesantemente risorse è quella dell’adeguamento degli assegni pensionistici all’inflazione. Si tratta di un adeguamento parziale e decrescente oltre assegni pensionistici che eccedono di quattro volte la minima, ma pur sempre impegnativo.

Come scrive il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nella Nadef rivista,

Dal lato della spesa primaria, la previsione della spesa pensionistica è incrementata di circa 0,6 miliardi nel 2023 e di circa 7,1 miliardi nel 2024 rispetto allo scenario a legislazione vigente della Nadef di settembre.

LE PENSIONI AL COLLO E LA PALLA (DI NEVE) AL PIEDE

Nel 2023, a legislazione vigente, per la spesa pensionistica serviranno altri 600 milioni rispetto alla stima di settembre; nel 2024, serviranno altri 7,1 miliardi. L’espressione chiave è “legislazione vigente”. Se passeranno misure per evitare il ripristino delle soglie anagrafiche e contributive previste dalla legge Fornero, serviranno altri soldi.

Naturalmente, se un paese crescesse oltre il costo medio del suo debito, uno scenario di aumento dei rendimenti sarebbe pienamente gestibile. Se invece capita che “quel” paese abbia una storia di crescita risibile e tenda a produrre l’ormai tristemente famoso “effetto palla di neve” a proprio svantaggio, cioè con un debito pubblico che si autoalimenta in conseguenza dell’assenza di crescita e del fatto che proprio quest’ultima tende a innalzare il premio al rischio (cioè lo spread), avete la misura dell’intensità di rischio che l’Italia corre.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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