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L’avidità umana è il frutto della paura

Riflessione antropologica e psicologica sull'assurdità di tutte le guerre.

La natura ha dotato il mondo animale di istinti quali fattori di sopravvivenza, conservazione e riproduzione della specie. Questo, infatti, vive quasi totalmente d’istinto (a parte la nostra specie), e riesce a farlo molto bene soddisfacendo tutte le necessità del momento, senza lasciarsi deviare da quell’insano istinto che va oltre la sopravvivenza ed è in gran parte orientato al futuro e spesso realizzato a discapito dei propri simili. Tale deviazione pare contraddistinguere soltanto l’uomo.

L’uomo, difatti, con la sua intelligenza superiore e la sua capacità di immaginazione, possiede l’attitudine ad elaborare progetti a lunga scadenza, riuscendo così ad andare al di là delle necessità del mero presente e per certi versi questa si rivela un’attitudine vincente. Quando però intelligenza e immaginazione si educano in un ambiente poco spirituale e quindi malsano, sembra proprio che gli uomini pervertano il loro sano istinto di sopravvivenza e lo trasformino in qualcosa di insensato e mostruosamente eccessivo.

In tal modo la facoltà umana di pianificare il futuro si tramuta in azioni distruttive per accaparrarsi sempre più territori e risorse di cui poter disporre. Una simile nevrotica corsa, se non schizofrenica per l’evidente e patologica separazione tra il piano dei sentimenti perversi e quello della ragione, alla fine risulta anche fortemente auto lesiva, come spesso la storia ha dimostrato.

Gli animali inferiori lottano tra di loro per sfamare ad esempio la fame del momento, per difendere quel pezzo di territorio necessario alla loro semplice sopravvivenza o per soddisfare quell’istinto sessuale che fa capo alla necessità vitale di tramandare i propri geni e di perpetuare la specie.

Solo l’animale uomo combatte il suo simile, arrivando persino ad ucciderlo, per saziare quella smisurata avidità nei confronti di ogni cosa che si ritiene utile per presunti bisogni futuri, avidità che nasce da un sentimento malato più o meno inconscio di impotenza nei confronti della vita.

Perché solo un disperato tentativo di compensazione di tale impotenza e della maledetta paura che ne deriva può essere la cuasa della nevrotica e insensata corsa all’espansione territoriale, al potere e alla ricchezza.

E, attuando questi meccanismi, gli uomini credono di sentirsi al sicuro, perché dominano, controllano. Ma in realtà la paura dell’altro li attanaglia in continuazione rendendoli inquieti, insicuri e spesso incapaci di dare e ricevere amore, rimanendo paradossalmente essi stessi dominati dall’oblio di sé, dalla paura e dall’odio.

Per non avere paura degli altri invece, per non vedere gli altri come potenziali avversari nella vita, per non incorrere nell’errore della corsa all’"ipersopravvivenza", per non concentrare tutta la propria esistenza nella follia del dominio ad ogni costo e nella volontà di potenza smodata, e dunque per evitare tutte quelle conseguenze che inevitabilmente culminano nell'astio o, nel caso peggiore, nelle guerre e nei genocidi, bisogna divenire consapevoli e padroni della propria interiorità e delle proprie paure. Serve questo per superare quest’ultime e sviluppare l’amore al posto dell’odio, per integrare e ricollegare la ragione al sentimento, e per giungere all’agognata pace dell’anima e di conseguenza alla perenne pace e giustizia nel mondo.


 

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