L’arma segreta per il debito italiano
Cosa serve per sottoscrivere il debito italiano senza affanni? La ricchezza finanziaria degli italiani, a partire dalla liquidità in conto. Finita quella, possono sempre vendere altro. E se non volessero? Ah, saperlo.
So che, per mia qualità della vita, dovrei astenermi dal commentare gli articoli di Marco Fortis, ma che volete farci? Sono evidentemente vittima delle mie coazioni a ripetere, oppure di questo demone che mi spinge a tentare il fact checking anche su cose perfettamente futili. Peraltro, da circa un quindicennio mi occupo a bassa frequenza della tesi di Fortis, quindi ritengo di aver prodotto un rumore di fondo simile al suo, tra le cose inutili di cui si dibatte.
Ma l’ultima sua fatica divulgativa, che mi è stata segnalata, sempre sul tema della “garanzia” che il patrimonio degli italiani rappresenta per lo stock di debito pubblico, e che da sempre è oggetto della mia confutazione, contiene ulteriori elementi di “chiarimento” e precisazione sul tema, che penso valga la pena commentare, per ulteriore focalizzazione.
Come saprete, da sempre contesto la tesi “garantista” (nel senso di garanzia implicita) degli attivi patrimoniali privati rispetto al debito pubblico. Nel senso che, per come la vedo, questa logica aprirebbe la strada a compensazioni tra debito pubblico e ricchezza privata, a mezzo di tassazione patrimoniale.
La sostenibilità del debito pubblico
Fortis ha sempre risolutamente respinto questa chiave di lettura, e in questo articolo ne ribadisce motivo e meccanica. Ma andiamo con ordine. Intanto, secondo Fortis, valutare la solvibilità del debito pubblico di un paese rapportandolo al Pil, cioè alla generazione di valore aggiunto in una unità di tempo, non ha senso: servono altre metriche.
Ora, io sono un ex bancario, quindi temo di avere assai scarsa fantasia ma ero convinto che, considerando il Pil come “reddito”, esso servisse a pagare il debito. Perché di solito i fidi si concedono in base alla capacità di produrre reddito per pagare gli interessi sul debito e rimborsare il capitale, non perché il debitore possiede altri beni da dare in garanzia. Invece no, dovrò riconsiderare tutta la mia distorta concezione del mondo:
E non è affatto detto che la grandezza di una economia, espressa convenzionalmente dal Pil, coincida o sia necessariamente grosso modo equivalente alle dimensioni della sua consistenza patrimoniale privata che, unitamente alle entrate fiscali e agli investimenti dei non residenti, può contribuire a finanziare il debito pubblico e a definirne in modo più compiuto la sostenibilità. Cosa che il rapporto debito/Pil da solo non può fare, perlomeno non nel caso di tutti i Paesi.
Ho qualche dubbio. Le entrate fiscali sono, in prima approssimazione, legate al livello di attività di un paese. Cioè, grossolanamente, al suo Pil. Sempre che si stia parlando di imposte sul reddito. Se invece ci si riferisse alle imposte patrimoniali, si tornerebbe alla tesi che Fortis respinge, e cioè che egli abbia in mente la compensazione tra debito pubblico e ricchezza privata a mezzo di imposta patrimoniale.
Fortis poi aggiunge gli investimenti dei non residenti alla capacità di sostenere il debito pubblico. Il che è interessante, visto che di solito stigmatizza la vulnerabilità dei paesi il cui stock di debito è in mano in prevalenza ai non residenti. Confermo che l’acquisto di debito pubblico da parte di non residenti è un investimento, visto che gli acquirenti non sono assoggettati alle tasse per ripagarlo. Ma non voglio fare troppi sofismi.
- Leggi anche: Btp da esportazione
Veniamo alle definizioni operative:
L’indicatore principale di tale consistenza patrimoniale privata interna è rappresentato dalla ricchezza finanziaria netta delle famiglie (cioè le attività finanziarie al netto delle passività), che in Italia è particolarmente elevata, molto più alta del Pil, pari nel 2023 al 218,1% del Pil, contro valori molto inferiori per Francia (167,6%), Spagna (138,9%), Germania (134,9%) e ancor più bassi per Portogallo (123,5%) e Grecia (100,1 per cento).
Ricchezza finanziaria netta
Attenzione: la consistenza patrimoniale interna, secondo Fortis, è data solo dalla ricchezza finanziaria netta, non anche da quella immobiliare. Molto strano, non capisco il perché. Soprattutto sapendo che parte rilevante del debito delle famiglie è proprio quello relativo all’acquisto di patrimonio immobiliare: il mutuo. Ma transeat, forse Fortis pensa che, se la ricchezza finanziaria netta, che di solito è liquida, è superiore allo stock di debito, è inutile usare anche quella illiquida (immobili) per arrivare a un indicatore più capiente. Ma i dubbi mi restano.
Usando questa grandezza, scopriamo che
[…] l’Italia non ha il secondo debito più alto dell’Eurozona dopo quello greco (come dice la classifica del debito/Pil) bensì soltanto l’undicesimo. Infatti, con una ricchezza finanziaria netta delle famiglie pari nel 2023 a 4.547 miliardi di euro, solo di poco inferiore a quella della Francia (4.697 miliardi), l’Italia ha presentato lo scorso anno un rapporto debito pubblico/ricchezza privata del 63%, collocandosi a centro classifica tra le economie più indebitate della moneta unica, solo poco sopra un Paese “frugale” come l’Austria (59,8%) o un Paese falco “inflessibile” come la Lettonia (54.4%) e ben al di sotto della Grecia (con un livello record del 161,7%), nonché di Portogallo (80,2%), Spagna (77,5%) e Francia (66%).
Ma non è meraviglioso, tutto ciò?
È proprio la consistenza patrimoniale privata interna che ha permesso all’Italia di finanziare in misura rilevante il suo debito pubblico negli ultimi anni attraverso l’acquisto di Btp da parte delle famiglie, mentre altri Paesi, Francia in testa, hanno dovuto invece fare affidamento principalmente sugli investimenti esteri e sono oggi molto esposti con essi. In Italia, dunque, non servono assurde ipotesi di patrimoniali sulla ricchezza per abbattere figurativamente un rapporto nel nostro caso davvero poco indicativo come il debito/Pil, visto che è la ricchezza privata stessa la migliore garanzia del nostro debito pubblico e, qualora se ne tenesse adeguatamente conto, lo stesso debito italiano non apparirebbe così “pericoloso” come sembra dal semplice raffronto con il Pil.
Cosa notate, qui? Che Fortis torna a parlare di “investimenti esteri” identificandoli esattamente con gli acquisti di debito nazionale da parte di non residenti. Quindi, secondo Fortis, il debito pubblico è reso sostenibile da attivi finanziari netti delle famiglie (vedremo tra poco come), entrate fiscali (su reddito ma anche patrimonio), e “investimenti” di non residenti, cioè acquisti di debito da parte di soggetti che quel debito non dovranno rimborsare a mezzo di maggiori imposte e/o minore welfare.
Se usate la logica, vedrete che la sola componente “sicura” e “indolore” di tale asserita sostenibilità del debito pubblico è data dalla ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Perché? Semplice: perché le famiglie possono sempre cambiare la composizione di tale ricchezza, cioè vendere parte degli attivi finanziari, e comprare debito pubblico. La riprova? Ma che diamine, il fatto che le famiglie abbiano comprato tanti tanti tanti Btp. Tacendo del fatto che anche i non residenti lo hanno fatto.
Cosa vendere per comprare Btp
Le famiglie hanno usato, si presume, in prevalenza i saldi liquidi di conto corrente. Quindi non hanno dovuto vendere altri attivi finanziari. Del resto, secondo la Banca d’Italia, a fine 2022 i depositi di conto corrente rappresentavano ben il 28 per cento della ricchezza finanziaria delle famiglie. Immagino che tali saldi non siano tutti investibili: una parte ha una funzione precauzionale, oltre che legata alle transazioni compiute.
Ma se questo canale di finanziamento del debito si inaridisse, come potremmo fare? Forse chiedere alle famiglie di vendere altre attività finanziarie per comprare i Btp. Ma, in quel caso, avremmo una ricomposizione del portafoglio finanziario non esattamente sana, perché le famiglie venderebbero ad esempio obbligazioni private, azioni, fondi comuni, polizze assicurative. Molti di questi strumenti già contengono Btp, che dovrebbero quindi essere venduti, prima che le famiglie vadano a riacquistarli.
Ma chi comprerebbe le attività finanziarie vendute dalle famiglie, e a che prezzo? E, soprattutto, perché? Questo, Fortis non lo spiega. Il suo modello a circuito chiuso funziona perfettamente, almeno ai suoi occhi. Il fatto che, in caso di latitanza di compratori, quelle attività finanziarie subirebbero perdite in conto capitale, impoverendo le famiglie, non è tema che interessi Fortis. Per lui basta sapere che “le famiglie”, se e quando dovesse palesarsi l’esigenza, saranno immediatamente disponibili a comprare il nostro debito pubblico. Sarà vero, poi?
Per concludere:
Il debito pubblico italiano è certamente elevato in valore assoluto e deve esserne assolutamente limitata la crescita. Questo è ovvio. Ma il nostro è un debito certamente più sostenibile di altri se si considera che è finanziato dall’estero solo per poco più di un quarto; che cresce inoltre principalmente a causa di interessi troppo alti e non equi; e che è abbondantemente sostenuto da una elevata ricchezza privata interna.
Allora: il nostro debito pubblico è poco comprato dai non residenti. Quindi, se vi fosse necessità, quella quota potrebbe aumentare? Certo che sì, ma sarebbero i residenti a pagare le tasse necessarie a rimborsare quel debito, reso appetibile ai non residenti a mezzo di maggiori rendimenti. Cioè avremmo quella compensazione tra debito pubblico e ricchezza privata che Fortis nega essere alla base dei suoi argomenti.
Ma non temete: il nostro debito cresce troppo perché paga interessi “troppo alti e non equi”. Nel senso che il mondo non ci capisce e sbaglia candeggio, è ovvio. Da ultimo, possiamo sempre chiedere ai nostri concittadini di comprare debito pubblico vendendo altri attivi finanziari che hanno in portafoglio. A chi, a che prezzo e perché, non è dato sapere. Mi ricorda molto il sollevamento da terra tirandosi per le stringhe. O anche il vincolo di portafoglio o i controlli sui capitali, che erano parte del panorama italiano quando Fortis percorreva la sua carriera professionale.
Quel liquido oggetto di desiderio
Se gli attivi finanziari avessero improvvisi problemi di liquidabilità, potremmo sempre usare la seconda linea difensiva, che Fortis ha lasciato fuori dal suo ricco paniere di ciliegie: gli immobili. Ma a chi li venderemmo? A connazionali, che per pagarli dovrebbero vendere parte dei propri attivi finanziari, purché non titoli di stato? O ai non residenti? E a che prezzi? Beh, anche se dovessero essere comprati da non residenti, i nostri connazionali venditori incasserebbero liquidità e potrebbero investirla nel nostro debito. Certo, potrebbero trovarsi privi di un tetto ma questi sono dettagli minori, nel grande schema delle cose.
Ora, non vorrei apparire liquidatorio dell’imponente impianto concettuale creato da Fortis, ma ho come l’impressione che esso si regga sulla concupiscenza verso i saldi liquidi di conto corrente, che sono il classico frutto da cogliere senza troppa fatica, o così qualcuno crede. Ma certamente è mio limite quello di non cogliere l’unitarietà della costruzione.
Queste ciliegie sono davvero squisite, non trovate? Sì lo so, sono praticamente liquide come un conto corrente, ma così si bevono che è un piacere.
L’angolo della riflessione: da più parti si segnala, con patriottico compiacimento, che i non residenti oggi possiedono solo un quarto dello stock di debito italiano. Mal contati, circa 750 miliardi di euro. Domanda: voi pensate che, se i non residenti iniziassero a vendere, le quotazioni resterebbero imperturbate e i residenti pure?
Secondo punto: la Banca d’Italia a sua volta possiede, per conto della Bce nell’ambito delle operazioni di Quantitative Easing (QE), circa un quarto del nostro debito pubblico. Che, quindi, è considerato in mano a entità residente. Ma il QE è terminato, quindi la Banca d’Italia non riacquisterà i titoli scaduti. Chi lo farà? Lo vedremo ma sappiate che possiamo sempre contare sulla ricchezza finanziaria netta degli italiani. O no?
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