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L’apriscatole a deficit del keynesiano Blanchard

Su Project Syndicate, un commento di Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, che riprende il suo intervento al Festival dell’Economia di Trento. La tesi: serve una nuova cornice fiscale per l’Eurozona. Bene. Lo svolgimento…beh, direi che è sempre quello dell’economista su un’isola deserta ed una scatoletta di cibo: “supponiamo di avere un apriscatole”.

La premessa di Blanchard:

In paesi dove i tassi d’interesse sono molto bassi ed il debito pubblico è considerato sicuro dagli investitori -rendendolo meno costoso da un punto di vista sia economico e fiscale- possono essere necessari deficit fiscali più ampi, per compensare le limitazioni della politica monetaria. L’Eurozona ha raggiunto questo stadio.

Questa è la tesi che sostiene: poiché i tassi oggi sono molto bassi, possiamo fare più debito e spingere la crescita. Il che è anche semplicistico. Perché i tassi sono bassi? Ci sono motivazioni demografiche, tecnologiche, di commercio internazionale, finanziarie? E per quanto tempo potranno restarlo, in caso di creazione di nuovo deficit e debito? Su questo, credo di non aver visto elaborazioni da parte di Blanchard. La cui posizione mi puzza tanto di incoerenza temporale.

 

Blanchard prosegue affermando che

La politica fiscale è stata sottoutilizzata come strumento ciclico, col risultato che il prodotto dell’Eurozona non è ancora a livello potenziale.

E qui siamo nel keynesismo più manifesto, quello che vede solo la gestione della domanda e si disinteressa dell’offerta. Le due dimensioni andrebbero invece gestite congiuntamente, altrimenti non facciamo altro che produrre economisti convinti che basti il deficit e d’incanto la gente diventa occupabile. Il che è un problema, perché di presidenze dell’Inps ce n’è una sola, ed è al momento già felicemente occupata.

E quindi, ecco il precetto di Blanchard: serve rimuovere i due totem, quello del debito al 60% del Pil ed il deficit al 3%. Il che si potrebbe anche fare, visto che quei due numeri non sono scolpiti nelle Tavole della Legge. Ma quali sarebbero in caso i nuovi target? Il 70, 90, 150% di Pil per il debito? Il 5, il 7, il 10% di Pil per il deficit? Boh.

Perché alla fine tutto poggia sull’ineliminabile esigenza di calcolare il Pil potenziale, mi pare, e da quello verificare se c’è un buco di attività. Ma soprattutto, servirebbe capire anche come siamo messi dal lato dell’offerta, non solo della domanda. Ma per un keynesiano contemporaneo questa dimensione pare non esistere, o essere solo un fastidio di cui liberarsi.

Ma torniamo a noi: serve più deficit e debito perché il costo del debito è basso, almeno per alcuni paesi, dice Blanchard. Ma che dovrebbe fare la Commissione europea, per gestire le politiche fiscali dei singoli stati e renderle compatibili con una moneta comune?

Come primo passo, la Commissione Ue dovrebbe smettere di microgestire le politiche fiscali degli stati membri. La Commissione dovrebbe intervenire solo quando un governo è su una traiettoria che porta ad accumulare un debito realmente insostenibile (il che certamente accade sotto una leadership irresponsabile). Altrimenti, il lavoro della Commissione dovrebbe essere quello di fornire informazioni ai mercati riguardo la salute dell’economia di uno stato membro ed il suo probabile percorso di debito.

Tutto suggestivo ma che diavolo significa, in concreto? Se la Commissione elaborasse stime di crescita tali da evidenziare che il debito di un paese è su un percorso insostenibile, ma lo stato interessato (uno a caso) rispondesse “non è vero niente, il vostro è un giudizio politico ed un complotto contro la nostra sovranità, abbiamo calcolato moltiplicatori pari a 10 per questi sussidi, il debito crollerà, lasciateci lavorare!”, che faremmo? Torneremmo esattamente alla condizione attuale, o peggio. Secondo Blanchard il ruolo della Commissione dovrebbe essere simile a quello delle agenzie di rating, quindi? Sono piuttosto sconcertato, vi confesso. E l’etichetta di “leadership irresponsabile” quando si assegnerebbe, esattamente?

E veniamo alle cosiddette prescrizioni di Blanchard:

Lo stimolo deve prendere la forma di una espansione fiscale per compensare quello che la Bce non può fornire. Tuttavia nessun paese ha incentivo a farlo da solo perché, con stati membri così profondamente integrati, una quota di ogni espansione fiscale sarà inevitabilmente destinata a tradursi nella forma di accresciuto import.

E sin qui, lo sappiamo da sempre. E quindi?

Quello che serve, quindi, è o un meccanismo di coordinamento attraverso il quale ogni paese si impegna ad una più ampia, auto-finanziata espansione fiscale, oppure (preferibile ma più controverso) un bilancio comune, finanziato da eurobond, che può quindi essere usato per finanziare maggiore spesa in ogni paese, quando e se necessario.

 

Ma certo, che stupidi! Come non averci pensato prima? Una espansione fiscale “auto-finanziata” che diavolo sarebbe, comunque? Una applicazione del Teorema di Haavelmo, che poi è la quintessenza dell’aumento potenziale di dimensioni dello stato? Vai a saperlo. Oppure una bella unione di trasferimenti, dove il demagogo nazionalista di turno si alza la mattina, promette tutto ai suoi connazionali, stravince le elezioni e poi si reca ad incassare il sussidio senza condizioni degli altri paesi. Bello, no?

Se queste sono le premesse, Blanchard mi pare il perfetto ministro dell’Economia di un governo come l’attuale italiano. Se invece le sue parole sono state fraintese, diciamo che si è scordato di dire che un’unione fiscale richiede necessariamente un’unione politica, e che comunque gli interessi nazionali sono ineliminabili, quindi ci sarà sempre un faticoso negoziato, che produrrà esiti inferiori alle attese.

Andiamo a riassumere:

  • Blanchard vuole più deficit e debito, perché convinto che anche in quel caso i tassi resteranno bassi (questo è atto di fede o un’incoerenza temporale);
  • Si rende conto che in Eurozona ci sono 19 paesi da coordinare, quindi un’espansione simultanea non è fattibile;
  • Ripiega sul Teorema di Haavelmo (credo) come second best e come sua opzione ideologica;
  • Assegna alla Commissione europea il ruolo di elaborare previsioni (e io che pensavo che già accadesse, che sprovveduto che sono);
  • Non elabora sui meccanismi sanzionatori per i paesi devianti, perché prendere atto che c’è una ineliminabile dimensione politica nella cooperazione è qualcosa che lo scompensa metodologicamente;
  • Ignora, quindi, che un’unione fiscale necessita di un’unione politica come pre-condizione ontologica;

Direi che proprio non ci siamo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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