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L’agenda di Biden per la politica estera statunitense

Torna il dossier “AMERICANA” realizzato congiuntamente da Osservatorio Globalizzazione e Kritica Economica, che in questa nuova puntata tocca l’agenda di politica estera del candidato democratico Joe Biden. Marco D’Attoma ci spiega che conseguenze avrebbe un eventuale successo dell’ex vicepresidente sulla traiettoria americana nella scena globale.

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Le relazioni internazionali sono sempre state caratterizzate da alleanze, tradimenti, congiure che hanno reso lo scenario internazionale continuamente mutevole nel corso della storia. Il ‘900 ad esempio, caratterizzato da eventi storici e bellici come le due Guerre mondiali e la Guerra fredda, ha visto il concretizzarsi di un Mondo che ha scardinato definitivamente il paradigma eurocentrico, ed ha generato un sistema bipolare (tripolare se consideriamo i cosiddetti Stati non allineati) che è perdurato fino alla caduta del muro di Berlino. Fino ad allora gli Stati europei occidentali avevano mantenuto una special relationship con l’alleato statunitense, anzi proprio gli USA sono stati storicamente tra i maggiori promotori delle politiche di integrazione regionale, che nel 2009 hanno portato alla consacrazione definitiva di quella che oggi chiamiamo Unione Europea.

Però questo interesse degli USA nei confronti del continente europeo non è stato dovuto ad una questione di vicinanza culturale, o per garantire una fantomatica pace, ma per gestire degli interessi puramente geopolitici e per creare un argine in Europa contro il comunismo sovietico. La sconfitta del gigante sovietico ha sovvertito drasticamente l’ordine internazionale portando alla formazione di un sistema fortemente multipolare (almeno in senso economico). Tra questi Stakeholders ritroviamo un esponente che aveva perso smalto nel corso degli anni, ma che almeno in senso economico è riuscito a recuperare un po’ di autorevolezza: questo attore è proprio il continente europeo, sotto l’effige dell’UE, che trovatasi sotto la potenza di fuoco della Guerra fredda è riuscito ad autodeterminarsi nel nuovo ordine globale.

Come già anzidetto, questo sistema era stato sollecitato proprio dagli USA nel ‘900, ma oggi l’UE da essere un alleato assiomatico degli USA è diventato un competitor, almeno in senso commerciale. Durante l’amministrazione Trump, marchiata dallo slogan “America first”, le alleanze che sembravano indiscutibili negli anni precedenti, sono diventate improvvisamente superflue, poco rilevanti, e questo atteggiamento lo si è avvertito durante la guerra commerciale che se da un lato era rivolta prevalentemente contro il gigante cinese, dall’altro non ha risparmiato neanche l’UE.

Anche sul piano militare, come l’ISPI ha riportato recentemente in un suo dossier, la struttura che ha unito particolarmente il continente europeo rispetto agli USA, ovvero la NATO, che era sorta proprio durante la guerra fredda in funzione antisovietica, risorta nelle guerra nella ex-Jugoslavia e nella questione post 11 settembre, con Trump è divenuta uno spreco economico ad appannaggio dei Paesi europei, in particolare della Germania, che stando alle critiche del Presidente statunitense, contribuirebbe economicamente troppo poco al mantenimento della struttura militare. Mentre il presidente francese Emmanuel Macron ha definito questa organizzazione come “Brain death” riportando in auge un progetto di esercito europeo autonomo e defilato, che sembrerebbe di riportare un po’ l’Europa negli anni ’50 quando proprio la Francia si fece paladina di un progetto di difesa integrata molto ambizioso per poi decidere di affossarlo.

Questo scenario alquanto sinottico delle relazioni tra USA e UE si interseca in un’altra questione che potrebbe riguardare la relazione tra UE e USA, ovvero le elezioni statunitensi, che porteranno o all’insediamento di un nuovo inquilino alla White House a gennaio oppure alla riconferma di Donald Trump. Il candidato democratico, Joe Biden, politico di lungo corso, ha rivestito il ruolo di vicepresidente sotto la presidenza Obama, ma rispetto a quella presidenza troverà, se dovesse vincere le elezioni, uno scenario completamente diverso, con una America che si troverebbe costretta a dover ridisegnare l’assetto multilaterale che ha caratterizzato la politica estera a partire dal secondo dopoguerra. Una vittoria di Biden cosa comporterebbe per l’UE?

Sicuramente l’atteggiamento di Biden sarebbe nettamente diverso, e in alcuni casi opposto, rispetto a quello dimostrato dall’egocentrico presidente repubblicano. Dove Trump ha voluto mostrare la propria possanza nei confronti dell’UE probabilmente Biden cercherà di portare l’alleato storico verso un tavolo diplomatico. Questo anche considerando che il continente europeo è alle prese con dei problemi esterni da non sottovalutare e che necessitano in alcuni casi di un interlocutore importante come gli USA per risolvere alcune questioni cruciali (in parte provocate da scelte velleitarie degli USA in amministrazioni passate, sia democratiche che repubblicane). Il flusso migratorio verso l’Europa meridionale, la Libia, i ricatti di Erdogan, la Brexit, il caso bielorusso e per completare il tutto la guerra del Nagorno-Karabakh, sono problemi che l’UE non può gestire in maniera autonoma. Quindi una vittoria democratica potrebbe significare un ritorno degli USA ai tavoli internazionali che riguardano questioni legate a rapporti diplomatici, ai diritti umani e al commercio internazionale, e che attraverso nuovi trattati potrebbero portare alla risoluzione di questioni che ci riguardano da vicino.

Da non sottovalutare neanche il fattore climatico, perché con Trump gli USA hanno deciso di non applicare i cosiddetti Accordi di Parigi, mentre proprio Joe Biden non solo ha annunciato un pieno reintegro di quegli accordi, ma anche una svolta green della produzione energetica, che prospetterebbe gli USA verso una indipendenza energetica entro il 2050, almeno per quanto promesso durante la campagna elettorale.

Sicuramente la vittoria democratica significherebbe una piena ripresa del commercio UE-USA, anche perché Biden non si presenta certo come un nazionalista protezionista, e quindi le imprese esportatrici europee potrebbero tirare un sospiro di sollievo. Sebbene il tanto criticato accordo commerciale conosciuto come TTIP non sia più in considerazione, gli USA rappresentano il partner commerciale più importante per i Paesi europei con un importante attivo nella bilancia commerciale a nostro favore. Quindi un ritorno al passato verso un pieno reintegro del rispetto delle regole disciplinate dal WTO andrebbe a nostro favore.

Per concludere, da come si è potuto notare da quanto detto, Trump non è certo stato un grande estimatore del multilateralismo, e non solo per l’atteggiamento verso l’UE ma anche per l’opting-out degli USA da UNESCO e dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per “l’ossessione che questi organi hanno nei confronti di Israele”: quindi probabilmente l’atteggiamento di Biden dovrebbe portare a riconsiderare un rientro degli USA in queste due importanti braccia delle Nazioni Unite insieme al rientro all’interno dell’OMS tanto condannato per la questione COVID-19. La vittoria di Biden se da un punto di vista anagrafico potrebbe non essere vista come un grande passo in avanti (considerando che ha vissuto ben 77 primavere!), sicuramente lo potrebbe essere in ottica delle relazioni UE – USA.

Quindi la vittoria di Biden, in chiave interna potrebbe non sembrare una grande innovazione, poiché il candidato potrebbe non avere il carisma di Sanders o la freschezza e la determinazione di Ocasio-Cortez, ma sicuramente per noi europei potrebbe risultare determinante.

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  7. L’agenda di Biden per la politica estera statunitense – di Marco D’Attoma

“Americana”, il dossier congiunto di Kritica Economica e Osservatorio Globalizzazione, è realizzato col patrocinio dell’associazione culturale “Krisis“.

 

Gage Skidmore/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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