Il sistema Italia è da anni in crisi ed il miracolo economico è ormai un lontano ricordo. Ce lo dice Paolo Quercia, esperto della Fondazione Fare futuro, nell’imponente saggio Fare Italia nel mondo – Le sfide post-globali delle nuove relazioni internazionali, attraverso questo dato: il nostro reddito pro capite negli anni cinquanta era pari al 50% di quello degli americani, è salito all’80% agli inizi degli anni ottanta, per poi ridiscendere oggi al 66%.
E’ iniziato il declino del nostro Paese? Il suo ormai da tempo persistente stato di crisi economica è strutturale e contingente, oppure è sistemico ed endemico?
A queste domande si potrebbe cercare di rispondere utilizzando il seguente passo dell’Enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI: “Talvolta nei riguardi della globalizzazione si notano atteggiamenti fatalistici, come se la dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana.”
Insomma, se le cose nel nostro Paese non vanno bene, dovremmo evitare di prendercela con qualcun altro o con la malasorte ed assumercene la responsabilità: contro gli stati di crisi sono sempre possibili reazioni efficaci.
I popoli anglosassoni, in questo, sono bravissimi: lo hanno fatto gli inglesi negli anni ottanta, sotto la guida di Margaret Thatcher, lo stanno facendo in questo momento gli statunitensi sotto la guida di Barack Obama.
Entrando nel merito della questione, esaminiamo i dati, straordinari, del nostro export, il quale, contro ogni ipotesi di crisi sistemica, è cresciuto recentemente in maniera sostenuta.
Esso è passato in valore assoluto dai 352 miliardi di Euro del 2004 ai 448 miliardi di Euro del 2007; e, in relazione al PIL, dalla quota del 39,5% del 2003 alla quota del 47,3% del 2007; contenendo il deficit della nostra bilancia commerciale dell’anno 2008 in soli –7,3 miliardi, contro i –44,2 della Francia, i – 65,1 della Spagna ed i – 82,2 della Gran Bretagna.
Tutto questo non sarebbe avvenuto senza una imprenditoria di prima qualità, una imprenditoria abituata da sempre a lottare sul mercato per compensare la mancanza di materie prime del nostro Paese (diversamente, ad esempio, dalla Russia con le sue immense possibilità nel settore dell’energia), una imprenditoria che conosce la difficile arte di trovare l’utile nella trasformazione, nel cosiddetto Made in Italy. Si può citare, una per tutte, la straordinaria impresa della FIAT di Marchionne, recentemente sbarcata negli Stati Uniti a salvare la Chrysler.
Dunque il problema non è nell’efficienza della nostra classe imprenditrice.
Peraltro dobbiamo anche escludere che il problema sia in una cattiva gestione dei rapporti internazionali da parte della nostra classe politica: il saggio di Paolo Quercia ci porta in giro per il mondo, facendoci vedere l’esatto opposto. La nostra classe politica preposta alle relazioni internazionali appare fra le migliori al mondo, sia con governi di sinistra sia con governi di destra; basti pensare allo straordinario successo del G8 di L’Aquila 2009.
Dove è, dunque, il problema?
Proviamo a guardare un’altra serie di dati, quella dei cosiddetti IDE, acronimo di Investimenti Diretti Esteri.
Sono dati sconfortanti: nel 2006, se la Gran Bretagna ha attratto 139,6 miliardi di dollari di IDE; la Francia 81,1; la Germania 42,9; la Spagna 40; orbene, il nostro Paese ne ha attratti solamente 16,6.
Insomma, se l’imprenditore italiano lotta con le unghie e con i denti, riportando anche brillanti successi, quello estero si guarda bene dal mettersi nei guai venendo a fare il suo mestiere da noi.
Gli operatori economici sanno che tutto questo è dovuto ad una sola cosa: al malfunzionamento delle nostre Istituzioni, anzi al loro progressivo, inesorabile, gravissimo deterioramento.
Crisi della Giustizia in primis, ma anche crisi nella formazione della classe politica (il velinismo docet, ma anche l’avvocatismo, se vi piace questo neologismo inventato seduta stante dal vostro reporter), diffusione estrema dei fenomeni di corruzione e di clientelismo, cooptazione familistica (vedi concorsi universitari) ed altro ancora. Insomma siamo ben lontani da un funzionamento delle Istituzioni caratterizzato dal principio della responsabilità nella trasparenza; e, senza responsabilità nella trasparenza, non è possibile alcuna etica, alcuna politica, alcuna pubblica opinione consapevole.
A riprova il fenomeno della Lega Nord: una larga parte del Settentrione vuol fare da solo, vuole Istituzioni sue particolari (ad esempio le ronde, il dialetto al posto della lingua italiana, le gabbie salariali, etc.) e, per converso, ha deciso di desistere dall’obiettivo di far funzionare le Istituzioni in tutto il Paese. Scusate se è poco.
Purtroppo, contro questi fenomeni, la reazione della classe politica è del tutto insufficiente; e ciò da parte di entrambe le fazioni politiche contrapposte, troppo impegnate nella reciproca contrapposizione per il potere fine a se stesso. E la risposta alle domande di Paolo Quercia è che, se non ci sarà un radicale cambiamento della politica, il declino del nostro Paese sarà ineluttabile.