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L’Inter di Simone Inzaghi vola indisturbata verso il 20° Titolo di Campione d’Italia

 

Una squadra che ha rasentato la perfezione, trainata dai gol di Lautaro, da un centrocampo di assoluto valore e da una difesa maestosa. Ma sul dominio totale del Serpente ha inciso anche una concorrenza a dir poco sbiadita.

 

 

Ormai manca soltanto l'aritmetica a ratificare ufficialmente la conquista di un Campionato governato in maniera autorevole e disinvolta dall'Inter. La compagine di Simone Inzaghi nel corso di questo torneo ha dominato in lungo ed in largo, palesando una eminēntia imbarazzante, di quelle che annientano totalmente le ambizioni altrui ed oscurano integralmente le speranze del prossimo. Un predominio schiacciante, asfissiante, con rari riscontri nella storia del calcio. Una supremazia che molto presto potrà consentire al Serpente di cucirsi sul petto la famigerata seconda stella, che da quelle parti aspettano ormai con trepidazione. Una stella che rappresenterebbe al meglio la storia gloriosa di una società senza tempo, la cui nobiltà affonda le radici in epoche rigorosamente in bianco e nero ma che risulta sempre attuale, viva, lucida e brillante. E che questa stagione sta contribuendo non poco a mantenere inalterata nel proprio splendore, nella propria magnificenza. In quest'ennesima glorificazione i meriti maggiori sono senz'altro riconducibili ad un protagonista che si sta ergendo su tutti, rispondente al nome di Lautaro Martinez. L'argentino, dopo anni con alti e bassi, in cui s'era limitato a dispensare in dosi modeste la sua poderosa entità, facendo intravedere solo in parte le sue immense potenzialità, sta finalmente attestandosi su livelli eccellenti, trovando la sua vera dimensione mostruosa. Le sue caterve di reti, con le quali ha sinora marchiato a fuoco le aree di rigore altrui, sono degne di un vero bombardiere, uno di quelli in grado di scagliare cannonate a lunghissima gittata, attingendo ad un'artiglieria illimitata e di straordinaria qualità gentilmente fornita da un compartimento centrale d'assoluto rispetto facente capo a Barella, Calhanoglu e compagni. Come dire, il diligente centrocampo plasma il bel gioco e l'imponente Lautaro gli dà il tocco finale, risolutivo. Tutto si crea, nulla si distrugge. A contribuire alla nuova egemonia nerazzurra vi è sicuramente anche la retroguardia, arcigna, solida, compatta, maestosa, a tratti inviolabile, capace di fornire gli appropriati rifugi e gli indispensabili soccorsi ai propri indomiti e valorosi combattenti. Insomma, in questo torneo l'armata nerazzurra è stata di gran lunga la migliore di tutto lo schieramento di massima divisione, lambendo la perfezione, creando una netta linea di confine fra sé e la concorrenza. Ad onor del vero occorre però precisare che la cavalcata trionfale dell'Inter è stata resa ancor più “eloquente” dalla presenza di una rivalità non idonea, oserei dire malmessa, quasi sbilenca. Le principali “indiziate” del ruolo di antagoniste, Napoli e Juventus, dopo un girone d'andata interlocutorio ed a tratti illusorio, sono via via apparse sempre meno adatte a rappresentarne la funzione, mostrandosi totalmente inadeguate ad opporre una seria resistenza allo strapotere meneghino. E le loro presunte spedite aspirazioni sono terminate troppo velocemente su di un binario morto. Il Napoli, dopo una prima parte di campionato sì insoddisfacente ma che ad ogni modo lasciava ancora intravedere qualche flebile speranza di rientro in auge, si è lentamente defilato da ogni possibilità di rimettersi in sesto, sino a diventare la desolata controfigura dello spauracchio della passata annata fatata, ed oggi è quanto mai tangibile il rischio che possa concludere la stagione a mani vuote. Per una regressione tuttora inspiegabile, sia nelle proporzioni, sia nella rapidità di attuazione. E che di certo non può trovare una risposta credibile nella sola cessione della roccia coreana Kim Min-Jae o nell'uscita di scena di mister Luciano Spalletti (per quanto non siano state perdite trascurabili...). Non si può trovare facilmente l'enucleazione di un fenomeno involutivo così repentino, in grado, nel volgere di pochissimi mesi, di sostituire un vigoroso esercito con un mini drappello composto da uomini assimilabili a veri dilettanti allo sbaraglio. Solo la Juventus 1961-'62 era riuscita ad attuare, suo malgrado, una regressione così marcata da Campione uscente, classificandosi 12^ (a 6 punti dalla Serie B). E che dire della Juventus attuale? Essa nel giro di poche settimane, dopo aver forgiato tante false illusioni, si è ritrovata a dover dislocare dal complesso principale le proprie corpulente aspirazioni, ponendole in una lugubre dependance abbandonata. Ad un certo punto del campionato pareva seriamente pronta a balzare di slancio sul cocuzzolo delle ambizioni, salvo vedersi prontamente ricacciare indietro dalla realtà, che ci mostra un team ancora immaturo, in fase di rodaggio, alle prese con un drastico rinnovamento, e con una nuova generazione che sta faticando non poco a mantenere le promesse. E mi riferisco ai vari Caviglia, Yildiz, Miretti, Gatti e Weah (per tacere ovviamente di Fagioli), tutta gente che sulla carta avrebbe dovuto far spiccare il volo alla compagnia di Allegri ma che nei fatti ha tarpato le ali ad un team che adesso vede in pericolo persino il triste ripiego del 4° posto (o del 5°), ultima scialuppa di salvataggio di quello che sta assumendo le sembianze di un autentico relitto alla deriva. Per la gioia di due magiche outsider come Bologna (che non accede alla massima Europa dal remoto 1964!) e Atalanta, e di una rediviva Roma, letteralmente rinata dopo la cura prescrittale dal nuovo trainer Daniele De Rossi, ergendosi a classico esempio di quanto un allenatore possa incidere nel rendimento di una squadra.

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