• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Economia > L’ISEE e i Btp che non sono ricchezza

L’ISEE e i Btp che non sono ricchezza

Gira un acconto di pesce d'aprile secondo cui i titoli di stato potrebbero essere esclusi dal calcolo dell'ISEE. Ma forse hanno ragione i proponenti: non di attività si tratta ma di ipoteca sempre più pesante

Mi è caduto l’occhio (e altre parti anatomiche) su una notizia diffusa dall’Ansa e rilanciata diligentemente ma senza sviluppo da parte delle altre testate:

Arriva dalla manovra una spinta ai nuovi Btp people.
Nell’indice della legge di bilancio circolato nelle ultime ore compare una norma per escludere i titoli di Stato dal calcolo dell’Isee.
La misura rientra nel pacchetto famiglia annunciato dalla ministra Eugenia Roccella.
Quest’anno il ministero dell’Economia ha effettuato due emissioni del Btp Valore, il titolo pensato appositamente per i piccoli risparmiatori. Nella prima edizione di giugno sono stati raccolti 18 miliardi e nella seconda di ottobre 17 miliardi.

Pensavo fosse una sorta di acconto sul prossimo pesce d’aprile, probabilmente sarà solo uno dei tanti peti sempre più maleodoranti che un governo disperato e una maggioranza presa a ceffoni dalla realtà emetteranno nelle prossime settimane. L’alternativa sarebbe qualcosa di decisamente peggiore.

COSA È L’ISEE

L’ISEE, come ci ricorda Wikipedia, è l’indicatore della situazione economica equivalente, lo strumento che misura la condizione economica delle famiglie italiane e che seleziona gli accessi a numerose misure di welfare. L’indicatore tiene conto di reddito, patrimonio (mobiliare e immobiliare) e caratteristiche di un nucleo familiare, per numerosità e tipologia. Il DPCM 159/2013, che disciplina lo strumento e i criteri di sua determinazione, spiega che l’indicatore della situazione economica (ISE) è la somma di quello della situazione reddituale (ISR) e del venti per cento di quello della situazione patrimoniale (ISP).

In quest’ultima rientrano, ovviamente, componenti immobiliari e mobiliari quali conti correnti e certificati di deposito, obbligazioni e titoli di stato, quote di organismi di investimento collettivo del risparmio, azioni, eccetera.

Ora, se comprendo questa notizia, sorge l’ipotesi che i possessori di “titoli di stato”, possano vedere rimossa tale tipologia di patrimonio mobiliare dal calcolo delle consistenze patrimoniali e, di conseguenza, beneficiare di un ISEE più basso, che aprirebbe le porte di molte “provvidenze” di welfare.

Non serve un docente di scienza delle finanze per comprendere che si tratta di una misura folle ma soprattutto indecente, per iniquità. Una misura che, con un tratto di penna, decide che il debito pubblico non è ricchezza. In assenza di ulteriori dettagli, vale la pena compiere qualche riflessione aggiuntiva. In primo luogo, e prescindendo per un attimo dalle sopracitate demenziali iniquità, dubito sia possibile limitarsi ai titoli di stato italiani e non anche a quelli della cosiddetta white list Ocse, che poi sono quelli sui quali il prelievo fiscale in Italia gode dell’aliquota agevolata del 12,5%.

Quindi, non si comprende perché affermare che si tratterebbe di “spinta ai Btp people”, visto che la misura non potrebbe non valere anche per i detentori, ad esempio, di Bund.

Ma il punto vero è che una ideuzza del genere scardinerebbe la componente patrimoniale dell’ISEE, rendendo lo strumento inapplicabile e sollevando più che evidenti dubbi di incostituzionalità per l’accesso con prova dei mezzi (means test) al welfare.

NOSTALGIA DEI CONTROLLI SUI CAPITALI

Ora, io comprendo che i tempi vieppiù disperati che la finanza pubblica italiana vive impongano di cercare con ogni mezzo di spingere il collocamento dei nostri titoli di stato. Sono altrettanto certo che il numero di quanti guardano, sospirando, ai bei tempi andati in cui vigevano vincoli di portafoglio e controlli sui capitali, è in costante aumento tra i politici.

Ma lanciare spin di questo tipo, che ricordano vagamente i titoli di stato patriottici (che ovviamente non hanno mai visto la luce nelle forme immaginate o farneticate), indica un salto di “qualità” nella scala della disperazione.

Quindi tutto finirà con una bella riga sopra questa ideuzza, e una compassionevole mano sulla testa dei suoi ideatori. Ma il clima in questo paese è quello, lo avrete capito. Del resto, se persino negli Stati Uniti c’è crescente inquietudine per il collocamento di quantità industriali di debito pubblico, figuratevi alla periferia dell’impero: in un piccolo, decaduto e provinciale paese che ancora sospira a una inesistente grandezza.

Del resto, non si inventa realmente nulla: quando, nel 2014, per finanziare il taglio Irap, il governo Renzi alzò al 26% l’imposta sostitutiva sulle attività finanziarie, mantenendo al 12,5% quella sui titoli di stato, l’allora titolare del MEF si aggregò alla folla (rigorosamente soi disant progressista) che considerava tale misura come “di sinistra”, e non considerava i frutti dei titoli di stato come ricchezza finanziaria.

Alla fine, potrebbero aver ragione loro: comprare un titolo di stato italiano e pagare le tasse in questo paese potrebbe rivelarsi non un’attività ma una pietra al collo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità