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Kirghizistan, i crimini conto l’umanità del 2010 restano impuniti

Giugno 2010quattro giorni di odio e di violenza etnica tra kirghizi e uzbeki nelle città di Osh e Jalal-Abad, nel Kirghizistan meridionale, causano centinaia di morti, migliaia di feriti e decine di migliaia di sfollati. Le organizzazioni per i diritti umani concordano che vi siano stati atti di violenza da entrambe le parti ma che le conseguenze peggiori le abbiano subite i cittadini di etnia uzbeka, con la connivenza o la complicità palese delle forze di sicurezza kirghize.

 

A distanza di due anni, le autorità del Kirghizistan continuano a negare l’innegabile. Nonostante, poco dopo gli scontri, il governo avesse accolto la richiesta di costituire di una Commissione internazionale d’inchiesta, e il Procuratore generale avesse ammesso che vi erano stati numerosi casi di tortura e sollecitato l’introduzione di garanzie a tutela dell’integrità fisica dei detenuti, secondo Amnesty International i crimini contro l’umanità (uccisioni di civili, stupri e torture) del giugno 2010 restano largamente impuniti.

Se inchieste e processi ci sono, gli imputati sono invariabilmente uzbechi (risulta una sola condanna nei confronti di un imputato kirghizo, oltretutto rilasciato presto su cauzione) e su di loro grava una presunzione di colpevolezza: secondo la Procura di Osh, su 105 processi celebrati per i fatti del 2010, che hanno coinvolto 121 imputati, solo due sono terminati con un’assoluzione.

Uno dei due assolti è Farrukh Gapirov, 23 anni, figlio dell’attivista per i diritti umani Ravshan Gapirov. In appello, il giudice si è fatto l’idea che una confessione sotto tortura non era sufficiente per comprovare la colpevolezza dell’imputato in un tentato omicidio e nella partecipazione ai disordini di massa. L’inchiesta sui poliziotti responsabili delle torture non è mai partita.

In definitiva, le autorità kirghize hanno sconfessato le stesse conclusioni cui, nel maggio 2011, era giunta la Commissione internazionale d’inchiesta: macché crimini contro l’umanità commessi contro la popolazione civile uzbeka, caso mai le vittime sono state quelle di etnia kirghiza.

Tra i crimini più odiosi riscontrati dalla Commissione, già denunciati dalle organizzazioni per i diritti umani subito dopo le violenze del giugno 2010, vi sono stati decine di casi di stupro. La procura regionale e cittadina di Osh hanno fatto sapere ad Amnesty International che i casi registrati sono solo otto; la Commissione ne ha confermati almeno 20, sottolineando che il numero effettivo potrebbe essere più elevato. Secondo gli attivisti locali, decine e decine di stupri sarebbero stati denunciati alla polizia che non avrebbe agito, altri non sarebbero stati denunciati per vergogna o timore di rappresaglie.

La mancata assunzione di responsabilità, da parte del governo del Kirghizistan, per lo scoppio della violenza etnica di 24 mesi fa ha ancora oggi conseguenze profonde sulla mancata tutela dei diritti umani dei cittadini uzbechi.Maltrattamenti e torture continuano a essere la regola. Nel 2011 sono stati denunciati 44 casi: sul 17 per cento di questi è stato avviato un procedimento giudiziario ma non è mai stato usato l’articolo 305-1 del codice penale, che punisce il reato di tortura. Cinque poliziotti sono stati condannati per abuso di potere e, oltretutto, la pena è stata sospesa.

Uno dei casi di tortura è quello di Usmanzhan Khalmirzaev, un cittadino di etnia uzbeka e passaporto russo, morto il 9 agosto 2011, due giorni dopo essere stato arrestato da quattro poliziotti in borghese nel villaggio di Bazar-Korgon. Gli agenti gli hanno stretto il volto con una maschera antigas e hanno iniziato a picchiarlo. Quando è caduto a terra, uno di loro gli ha dato tre ginocchiate in petto. Quando ha ripreso coscienza, gli hanno chiesto una mazzetta equivalente a 6000 dollari, minacciandolo in caso contrario di denunciarlo come autore delle violenze del 2010. I familiari hanno racimolato un decimo della somma e dopo quattro ore hanno ottenuto il suo rilascio. È morto il giorno dopo il ricovero in ospedale. A seguito delle proteste del consolato russo, le autorità kirghize hanno aperto un’inchiesta, il cui esito si fa ancora attendere.

In assenza di un’autorità credibilmente super-partes, i rapporti tra le due comunità sono ancora a rischio. Ne sa qualcosa Tatiana Tomina, avvocata di etnia russa che assume spesso le difese di imputati uzbeki. Nell’agosto 2011 è stata aggredita da quattro donne all’uscita del tribunale di Osh: insulti, calci, pugni, lanci di sassi e colpi di buste piene di cibo in faccia. La replica nel febbraio di quest’anno, stavolta dentro il tribunale, quando è stata aggredita dai parenti di una vittima kirghiza: di nuovi insulti e tutti i documenti della difesa fatti a pezzi. In entrambi i casi, nessuno è intervenuto a proteggerla.

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