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Kim Dotcom e il caso Megaupload: innovazione o pirateria?

Kim Dotcom, proprietario del popolare sito di file hosting Megaupload è comparso alla prima udienza del processo relativo all’estradizione negli USA, dove è imputato, insieme ad altre 3 persone, per i reati di violazione del copyright e riciclaggio di denaro. Il processo è l’occasione per ritornare sul caso, alla luce della recente pubblicazione dell’avvocato Lessig che spiega perché Dotcom non deve essere estradato e parla di infondatezza delle accuse.

di Daniela Conte

Lo scorso 21 settembre si è tenuta ad Auckland, in Nuova Zelanda, la prima udienza del processo per l’estradizione negli USA di Kim Schmitz – noto come Kim Dotcom, il proprietario, mediante la società Megaupload-Limited, del famoso sito internet Megaupload e dei siti collegati Megavideo e Megaporn. E’ stata l’occasione, per i media di tutto il mondo, di occuparsi nuovamente di questo interessantissimo caso, che potrebbe fare “scuola” in materia di violazione del copyright e di frode via cavo, e sul quale sono concentrate le aspettative di numerosissimi internauti e operatori nel settore.

La vicenda Megaupload: le accuse e le conseguenze

Come certamente tutti ricorderete, Megaupload (oggi chiuso) era un sito internet internazionale di file hosting, che consentiva – dopo la registrazione – di caricare file fino a 2 giga e scaricare file fino a 1 giga. Dopo il primo caricamento corretto, l’utente riceveva un URL univoco dal quale il file poteva essere scaricato. Gli utenti free avevano in dotazione uno spazio di archiviazione pari a 200 giga, quelli premium spazio illimitato. Veniva utilizzato anche un potente algoritmo per evitare i file duplicati. All’apice del successo, Megaupload ha raggiunto il 4% del traffico di Internet, con circa 50 milioni di utenti.

Il 19 gennaio 2012 il Dipartimento di Giustizia degli USA sequestra i siti internet (che vengono chiusi e oscurati), a seguito dell’accusa nei confronti di Kim Dotcom e di altri 3 imputati di violazione del copyright e di frode via cavo (pirateria). L’evento scatena le reazioni dei tanti utenti del sito, in particolare di quelli Premium, preoccupati di perdere i loro archivi di file sul sito e intenzionati a chiedere il rimborso di quanto pagato per gli account.

Kim Dotcom ottiene gli arresti domiciliari in Nuova Zelanda, dove risiede; gli Stati Uniti chiedono l’estradizione, ritenendo che debba essere processato negli USA (dove, se condannato, potrebbe scontare decenni di carcere). I suoi beni (immobili, conti correnti, ecc.) vengono sequestrati.

Questo il tweet pubblicato da Kim Dotcom, lo scorso 29 marzo:

Dopo vari rinvii del processo di estradizione, lo scorso 21 settembre si è tenuta la prima udienza. Il giudizio potrebbe proseguire per settimane. La stampa neozelandese, tra tutti il The New Zealand Herald, si è schierata a favore di Kim Dotcom. Il difensore di quest’ultimo, l’avvocato di Auckland Ron Mansfield, ha detto che, in base al Copyright Act degli Stati Uniti, il suo cliente non può essere perseguito perché Megaupload era, di fatto, soltanto un provider di servizi internet.

La difesa di Lawrence Lessig dell’Harvard Law University: il parere pubblicato

L’attenzione dei media internazionali, tuttavia, si è concentrata su un altro importante evento di questi giorni: la pubblicazione dell’Affidavit (nei Paesi di common law è una dichiarazione giurata in merito a una o più questioni giuridiche) di Lawrence Lessig, avvocato e docente dell’Harvard Law School e all’Harvard Law University, nonchè noto esperto di diritto della proprietà intellettuale nel contesto di Internet.

Ecco i punti essenziali del documento:

  • Gli utenti di Megaupload, come quelli di Loopnet, utilizzano processi automatici di archiviazione su cloud, e scaricano e condividono materiale digitale con altri utenti su una piattaforma tecnologica a doppio utilizzo. Se gli utenti non caricassero contenuto, il sistema di archiviazione su cloud di Megaupload sarebbe privo di contenuti. Analogamente, se nessun utente utilizzasse l’URL assegnato, non ci sarebbe alcuna distribuzione online;
  • Le motivazioni del Dipartimento di Giustizia a sostegno della richiesta di estradizione di Kim Dotcom non sono sufficienti per ravvisare il “fumus boni juris” riconosciuto dalla legge federale statunitense e soggetto al Trattato di Estradizione Stati Uniti – Nuova Zelanda. E’ stato fatto un tentativo, non riuscito, di estrarre dati da fonti multiple e di mettere insieme un grande numero di circostanze altrimenti scollegate “utilizzando fraseologia sistematica e giustapporre frasi in ordine per creare un’impressione di coerenza e di sostanza”;
  • Nella misura in cui sono accusati nel Superceding Indictment (atto di accusa) e nel ROC, le azioni degli imputati non sono vietate dalle leggi penali degli Stati Uniti. Il Dipartimento di Giustizia ha cercato di creare una falsa impressione di colpa criminale e non sono affidabili.

Sui social media crescono i pareri e le opinioni a difesa di Kim Dotcom, lo dimostra anche l’hashtag nato per l’occasione #InternetFreedom:

E voi cosa ne pensate: Kim Dotcom è un innovatore o un pirata? Aspettiamo i vostri commenti. Noi vi aggiorneremo sulle novità del processo: continuate a seguirci!

 

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