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Juventus e Democrazia Cristiana

Juventus e Democrazia Cristiana

Ripensando alla storia della Juventus dagli anni ’60 in poi, un paragone, o meglio una traccia parallela (anche per il valore sociale e politico che il calcio ha assunto nel tempo) ne ha seguito il percorso. Le parabole che ho in mente, con molti punti di contatto, sono quelle della Juve e della Democrazia Cristiana.

Per molti in questi anni DC e Juve hanno significato cose accomunanti: squadra e partito paese, dove tutti potevano riconoscersi in una medietà figlia della poca competenza, ovvia per una popolazione che la mattina deve andare a lavorare; rifugio di senso per i tanti alla ricerca di sicurezze e sistematicità in due campi complicati da decifrare; fulcro di un sistema intricato e retto dalla poca trasparenza di tutti gli avversari; specchio nazionale di rappresentanza, ambasciatrici dei nostri modelli di stato e di calcio.

La Juve come la DC aveva pochi ma ottimi appassionati veri che ne propagandavano i buoni frutti e le perfette intese, moltissimi aderenti che, turandosi il naso, erano vicini alle squadre vincenti, molti ma divisi avversari i quali, consci del potere di sistema che le due squadre facevano, si adattavano cercando i loro spazi.

I percorsi paralleli di Juve e DC, molto vicini fino all’inizio degli anni ’90, si sono distanziati con Tangentopoli, fine di una Repubblica tenuta su dalla guerra fredda e dagli interessi di un settore industriale che la fine degli anni ’80 aveva irrimediabilmente trasformato. La Juve ebbe un contraccolpo con il nuovo potere milanista diventato d’un tratto irraggiungibile, ma le capacità di Agnelli di capire chi poteva ridefinire un nuovo sistema ha portato alla Triade e ad altre vittorie.


Ma nel 2006 è arrivata con ritardo anche la Tangentopoli juventina, distruggendo il sistema-Triade, indebolito dalla perdita di potere di Carraro, ma soprattutto imploso dalla guerra interna con i nuovi Agnelli.


Oggi, come la DC post-Tangentopoli, anche la Juve vive momenti di grande incertezza, senza una leadership interna che possa prendere in mano un nuovo corso. È qui il punto del discorso: alla Juve serve l’uomo forte, capace di tirare fuori l’azienda dalle ceneri e dai discorsi di stile che fregano una mazza a tutti (tranne a chi vorrebbe crearne una marca d’abbigliamento), di ridefinire un sistema basato su altre logiche, che non siano quelle predatoriali di Moggi e Giraudo, ma di sapiente distribuzione di servigi e prebende. Non serve più accentrare un potere e regalarlo a pochi eletti, ma distribuirlo (insieme ai soldi ovviamente) in maniera più diffusa e paritaria, a partire dai soldini Sky.



Serve in poche parole un Berlusconi del calcio, un dis-integrato del sistema capace di dire cose nuove in un tempo brevissimo, un nuovo riferimento per i medio-piccoli, un avversario morbido ma inconcepibile e inafferrabile per Inter e Milan.

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