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Italia: cartoline da un paese morente

Mentre molti quotidiani oggi riescono a fare la prima pagina con un demenziale “La Grecia è salva”, arriva il dato di gennaio della produzione industriale italiana, e non è un bel vedere.

La variazione mensile è pari a meno 2,5 per cento, a fronte di attese poste per una contrazione dell’1,1 per cento. Su base annuale, corretta per i giorni lavorati, la contrazione è del 5 per cento, a fronte di attese poste a meno 1,5 per cento.

Il tendenziale per i beni durevoli di consumo segna un crollo di addirittura il 12,9 per cento. Ora, è innegabile che sia in corso in Eurozona qualcosa che somiglia molto ad un double dip, e la stessa Germania ha pubblicato dati negativi degli ordini di fabbrica. Dopo il tentativo di ripresa che ha caratterizzato l’ultima parte del 2011, siamo tornati ai crash. I dati italiani ci accomunano ai paesi in sofferenza più acuta.

Aggiungete a questa gelata del manifatturiero la nuova fiammata di cassa integrazione a inizio anno, e otterrete lo scenario: il paese si sta rimpicciolendo, la pressione sui livelli occupazionali presto tornerà ad essere devastante (e quei livelli non potranno essere salvaguardati, ovviamente), la domanda di consumi è distrutta da un mercato del lavoro agonizzante e dal più che probabile aumento del risparmio con finalità precauzionali. Da qui la lettura del dato sui beni durevoli di consumo è piuttosto agevole: chi comprerebbe un’auto, degli elettrodomestici, arredamento con questa situazione di feroce incertezza, quando non di forte sofferenza del bilancio domestico? Con queste premesse, è fatale che la recessione sia destinata ad approfondirsi, ed aprire nuovi buchi nel bilancio pubblico. Che verranno colmati con crescente pressione fiscale. E’ probabile che in molti non abbiano ancora realizzato la portata devastante dell’Imu, peraltro.

Lo spread si restringe, al costo di una pressione fiscale di natura patrimoniale che ormai sta visibilmente sconfinando nell’esproprio. E mentre discutiamo di questo, sarebbe bene avere consapevolezza che la natura prettamente oligarchico-parassitaria del paese è rimasta largamente intonsa, sia nel settore pubblico che in quello privato. Questo è ancora il paese dei grand commis da oltre mezzo milione l’anno e dei banchieri falliti che ci fanno lezione sul sistema-paese, in attesa di attribuire a terzi il loro miserabile fallimento, oltre che di una corruzione trionfante e di un sistema dei partiti che festeggia “la nuova stagione” tenendosi stretti i rimborsi elettorali. Possiamo essere felici per lo scampato default, ma questa “salvezza” la pagheremo a carissimo prezzo.

Che sia giunto anche per i famosi moderati il momento della ribellione?

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Francesco Finucci (---.---.---.25) 11 marzo 2012 00:35
    Francesco Finucci

    Ribellione significa Rivoluzione, Rivoluzione significa Guerra Civile, Guerra Civile significa povertà e personaggi molto, ma molto peggiori a capo del paese, di come non se ne vedono da 70 anni, per essere espliciti. Altra forma di ribellione a breve termine NON ESISTE, perlomeno in italia, perlomeno in questo periodo e con questi presupposti. Per questo rimango alquanto scettico, e rimango convinto che l’alternativa alla povertà non è il collasso economico, politico, sociale e culturale che la ribellione comporta

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