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Istanbul: un’altra strage su cui meditare

Non era difficile prevedere che la strage di Parigi non sarebbe rimasta isolata: nel giro di due mesi sono venute quelle in Libia, a Baghdad, altre minori e adesso quella ad Istanbul. Questa intensificazione nel ritmo non è casuale e segna una svolta su cui meditare per capire che sta succedendo.

Al Quaeda puntava su stragi meticolosamente preparate dai propri uomini in molto mesi (l’11 settembre) oppure sull’iniziativa dei “lupi solitari”, difficili da individuare per le polizie occidentali, ma impossibili da dirigere e preordinare per Al Quaeda, proprio perché non inquadrate.

L’Isis, superata l’iniziale impostazione tutta concentrata sul “nemico vicino” (le classi dirigenti nazionali arabe), sta cercando (e trovando) una saldatura con il mondo dei “lupi solitari” inquadrandoli nelle proprie fila e sta organizzando l’invio di propri combattenti per missioni suicide. Questo schema organizzativo centralizzato consente di pianificare gli attentati, accelerandone il ritmo. E’ la tattica dell’attacco “a sciame” che applica anche sui campi di battaglia in Siria ed Iraq e che è molto più pericolosa, soprattutto per i suoi effetti psicologici. L’Isis è meno interessata di Aq agli effetti “spettacolari” dell’azione (il “cataclisma” dell’11 settembre), punta sull’intensità del ritmo, anche a costo di veder fallire qualche attentato. L’importante è tenere l’avversario sotto pressione.

E che gli attentatori siano uomini dell’organizzazione e non lupi solitari, lo dice il comunicato di rivendicazione che indica per nome e cognome il terrorista suicida, prima ancora che la polizia lo abbia identificato.
Quindi, do per scontato un prossimo attentato in Europa, con una maggiore probabilità, nell’ordine, per la Germania (da punire per la pur debole associazione ai raid aerei contro il Califfato) e la Francia (per massimizzare l’effetto di martellamento concentrato).

Per l’Italia, sarebbe la prima volta e questo potrebbe suggerirla come obiettivo proprio perché farebbe più “notizia”, ma ci sono difficoltà oggettive a muoversi in un contesto di questo tipo e questo vanificherebbe l’effetto “avvertimento” alla Germania perché colpirebbe il paese più restio a partecipare in prima linea. Comunque, mai dire mai.

C’è anche da segnalare che, se nel periodo dell’occupazione americana, le azioni contro altri islamici si concentravano contro gli sciiti con alcune azioni eccezionali contro l’Egitto, ora c’è una maggiore distribuzione che colpisce più ad ampio raggio che implica una sottolineatura della guerra civile inter islamica, aspetto che l’Occidente, nel suo abbaglio ideologico, si ostina a non vedere o a pensare come marginale.

Ma soprattutto c’è una evidenza da cogliere: la sostanziale inefficacia dello scudo delle intelligence, in particolare occidentali, nei confronti dell’aggressione terroristica. E’ urgente un ripensamento complessivo della linea d’azione sin qui seguita e che è chiaramente fallimentare. Ogni ritardo in questo senso può essere micidiale e aprire la strada ad altri eccidi.

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