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Israele sta compiendo un genocidio?

Fra quanti sostengono la causa palestinese è molto in voga l’idea che Israele stia compiendo il genocidio del popolo palestinese: per piacere, non diciamo fesserie. Un genocidio è cosa diversa da una strage, molto diversa prima di tutto sul piano dei numeri: un massacro conta centinaia, a volte migliaia di vittime; un genocidio milioni. Mi pare che faccia qualche differenza e che, su questo piano, i numeri abbiano una loro importanza. Non è un caso che i negazionisti tendono soprattutto a contestare i numeri della persecuzione nazista, perché se le vittime fossero state due o trecento mila o anche un milione, difficilmente si sarebbe potuto parlare di “sterminio del popolo ebraico in Europa”. Viceversa, questa espressione acquista pienamente senso proprio perché le vittime sono state diversi milioni. Ma, qualcuno obietta, le migliaia di morti dei massacri tengono conto solo dei morti in azioni di guerra, ma non di quelli causati dagli stenti prodotti dalla mancanza di cibo e medicine, talvolta prodotti dalle odiose misure di assedio degli israeliani o delle condizioni di vita in cui sono costretti i palestinesi.

E’ verissimo che l’esercito di Tel Aviv troppo spesso adotta disposizioni che producono penurie alimentari o sanitare che spingono le condizioni di vita al limite della sussistenza, ma non sono tali da provocare (almeno sin qui) epidemie e carestie, anche se la vita è molto stentata. Così come è vero che i palestinesi sono costretti in condizioni di vita assai precarie (a dir poco) e che sono spesso vittime di uno stillicidio di ordini vessatori, ma anche questo non significa che sia in atto un genocidio (neppure “a rate” come qualcuno sostiene).

E a dimostrarlo c’è il fatto che la popolazione palestinese, nei 40 anni seguiti alla Guerra dei Sei Giorni, non solo non è diminuita, ma cresce a ritmo anche maggiore di quella israeliana. Come qualsiasi osservatore sa, il timore maggiore di Israele è proprio questo differenziale demografico che, appunto, esclude che sia in atto alcun genocidio. Voi l’avete mai visto un genocidio in cui la popolazione che si vorrebbe sterminare cresce invece di scomparire?

Per cui, per cortesia, piantiamola con questa scemenza del genocidio che ha effetti assolutamente controproducenti ai fini del riconoscimento dei diritti dei palestinesi, perché fornisce uno straordinario argomento propagandistico agli oltranzisti filoisraeliani, che subito gridano all’antisemitismo. Le parole vanno usate con grande cautela evitando abusi che le svuotino di significato: parlare di genocidio palestinese, per esempio, ha l’effetto controintuitivo di favorire la propaganda negazionista dei nostalgici di Hitler, relativizzando il grande crimine del nazismo. Dunque, impariamo a pesare le parole prima di usarle.

Di conseguenza viene meno anche un altro argomento propagandistico come quello di ritorcere contro Israele l’accusa di nazismo. A volte l’esercito israeliano ricorre a tecniche di controguerriglia che ricordano sinistramente le rappresaglie naziste (anche se, va detto, che la prassi ignobile delle rappresaglie non fu una esclusiva dei tedeschi, ma vi fecero ricorso anche altri eserciti). In un articolo precedente sull’attacco a Gaza ho scritto che la logica era quella di prendere in ostaggio la popolazione civile per isolare la guerriglia ed ho commentato testualmente:

“Mi pesa scriverlo, ma è una logica da Marzabotto ed è rivoltante vedere i figli ed i nipoti delle vittime di Auschwitz adottare la logica dei loro persecutori. Ed avere gli stessi risultati di chi li ha preceduti, perché, alla fine, la popolazione riconosce il proprio nemico nell’esercito aggressore”.

Confermo: è insopportabile vedere l’esercito degli eredi delle vittime, fare propria la logica dei persecutori, ma, appunto, se Israele fosse nazista, questo comportamento sarebbe ovvio e non ci sarebbe alcuna contraddizione stridente, questa sorge proprio dal fatto che Israele è una democrazia, per quanto imperfetta e retta sul paradosso di negare agli altri i diritti che riserva a se stessa.

Il richiamo al termine di paragone nazista deve servire per indurre le comunità ebraiche ed i sostenitori tutti di Israele a meditare sul peso morale di certi comportamenti, non per sostenere che Israele è nazista; se volete una “terapia d’urto” per risvegliare il senso etico obnubilato dalla logica di guerra. In questo senso ho firmato un appello che termina con la richiesta di una “Norimberga per Israele” (ovviamente da intendersi come processo per crimini di guerra ai responsabili politici e militari dei massacri in corso).

Questo conflitto è molto particolare: non è la riedizione della seconda guerra mondiale, nella quale ci si poteva (e doveva) schierare senza riserve o ambiguità contro l’Asse, che rappresentava il male da battere. Qui le cose non stanno in questo modo: qui nessuno dei due è “il male da vincere”, non c’è un nemico da battere ed una parte da portare alla vittoria sull’altra. Qui entrambi i contendenti hanno diritto ad esistere e ragioni da far valere ed il nostro compito non è quello di fare il tifo per uno dei due, come se assistessimo ad uno scontro fra gladiatori, ma operare per una pace con giustizia, nella quale entrambi i popoli trovino adeguato riconoscimento dei propri diritti.

I palestinesi hanno diritto alla terra e all’autodeterminazione, gli israeliani hanno diritto alla sicurezza ed al riconoscimento del proprio Stato. Noi, soprattutto qui in Europa, abbiamo il dovere di concorrere alle condizioni per cui questa intesa possa avvenire. Ma per essere gli interpreti delle ragioni dell’uno verso l’altro, occorre un grande equilibro che implica, quando necessario, la denuncia di errori e crimini di ciascuno. Come ha detto una celebre scrittrice israeliana “additare le colpe del proprio paese è una forma di patriottismo”. Una delle cose più intollerabili della propaganda israeliana è l’uso strumentale del genocidio ebraico e la costante accusa di antisemitismo verso chiunque rivolga la benché minima critica a Israele. A parte il fatto che, con lo stesso metro, l’accusa di antisemitismo potrebbe essere ritorta contro gli israeliani, visto che anche i palestinesi sono semiti, è inaccettabile questa pretesa di “stato speciale” che deriverebbe dal ricordo di Auschwitz. Il genocidio ebraico è stato uno dei grandissimi crimini del Novecento, ma questo non autorizza Israele a fare le porcherie che sta facendo e non lo mette al riparo dalle proteste che merita.

Allo stesso modo, però, anche i palestinesi devono capire che gli attentati sono un inutile spargimento di sangue, che serve solo a dare ad Israele l’alibi per i ricorrenti pestaggi che ci troviamo a denunciare. Basti il confronto fra il numero delle vittime delle due parti, per capire quanto sia stupidamente criminale questa politica di attentati che si risolve in una serie “punture di spillo”, che non spostano di un millimetro i rapporti di forza, ma esasperano il popolo israeliano invece di disporlo verso una politica di pace.

I palestinesi sono vittime per un terzo della brutalità dell’esercito israeliano, ma per i due terzi dei propri errori politici: come nel 1948, quando, dando ascolto a quello spregevole figuro del gran Muftì di Gerusalemme, rifiutarono la federazione israelo-palestinese; come dal 1956 al 1973, quando riposero le loro speranze nelle armi degli eserciti arabi lasciandosi strumentalizzare dai rispettivi regimi che non esitarono a massacrarli (come in Giordania) quando lo trovarono conveniente; come alla fine degli anni settanta, quando rifiutarono le condizioni di Camp David; come nel 1991, quando si giocarono tutta la simpatia conquistata con l’intifada, applaudendo ai missili Scud di Saddam contro Israele; e potremmo proseguire.

Israele probabilmente ha compiuto la maggior parte dei crimini in questa guerra, ma sicuramente i palestinesi hanno fatto la maggior parte degli errori politici.

Per quel che mi riguarda, non mi sottraggo al compito di denunciare le colpe di Israele, pur dispiacendo a molti amici “politicamente corretti” anche di sinistra, che trovano troppo forti certe parole, ma non accetto minimamente né l’assimilazione dello stato ebraico al nazismo né di ritenere Israele un nemico da battere o, peggio, di negarne il diritto di Israele ad esistere. Soprattutto rifiuto una logica preventiva di schieramento: mi ritengo amico in egual misura del popolo israeliano e di quello palestinese, e proprio in quanto amico di entrambi, non mi sottraggo al dovere morale della critica di errori e crimini. Tacere le critiche che si ritengono giuste è il peggior tradimento che si possa fare ad un amico. Noto che i palestinesi sono i più deboli e, nella maggior parte dei casi, come questo, sono gli aggrediti, ma noto anche che anche gli israeliani subiscono aggressioni che, se sono meno forti militarmente, sono ugualmente deprecabili sul piano politico e morale. Poi continuo ad essere schierato per il riconoscimento dei diritti di ciascuno.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.119) 13 agosto 2014 21:50

    http://www.youtube.com/watch?v=IlKK...



     Moni Ovadia illustre ebreo che dice la realtà sul conflict israelo palestinese. a differenza di questo autore che giustifica la morte di innocenti... ricordo l attacco alle strutture della Onu, quali scuole ed ospedali, che equivalgono non solo ad una violazione del diritto internazionale, e del buon senso, ma ad un attacco diretto a tutti i membri delle nazioni unite.
  • Di Giuseppe Aragno (---.---.---.72) 13 agosto 2014 22:31
    Giuseppe Aragno

    D’accordo: non si tratta di genocidio. Perché? Perché è una questione di numeri. Migliaia di morti contro milioni. Di che si tratta allora, se non è un genocidio? Di una strage, che non è cosa da nulla, soprattutto se si accompagna a “uno stillicidio di ordini vessatori”, di odiose “disposizioni che producono penurie alimentari o sanitarie che spingono le condizioni di vita al limite della sussistenza”. Un limite che colloca Israele oltre il confine della barbarie. Concordata l’atroce definizione – strage - bisognerà nutrire la speranza – in verità piuttosto disperata - che gli oltranzisti filoisraeliani non trasformino anche l’accusa di strage, con codicillo di vessazioni, limite di sopravvivenza eccetera, in “uno straordinario argomento propagandistico” e la piantino di gridare all’antisemitismo. Se non dovessero farlo, pazienza. Le cose stanno come stanno e non saranno gli oltranzisti filoisraeliani a decidere cosa si possa o non si possa dire. E’ vero ciò che scrive Giannuli: “le parole vanno usate con grande cautela evitando abusi che le svuotino di significato”. Questo, però, vale per tutte le parole, anche l’antisemitismo, che non può essere brandito come una clava contro ogni tentativo di accertare una verità che ormai, dopo i bombardamenti mirati sulle scuole dell’ONU, si rivela a dir poco angosciante. Si nomini, quindi, una Commissione d’Inchiesta internazionale e si accerti se a Gaza l’esercito israeliano ha commesso bestiali crimini di guerra, colpendo volutamente i rifugiati protetti dalle Nazioni Unite; l’accusa è stata confermata da testimoni oculari, funzionari dell’ONU, i quali non solo hanno rivelato che gli israeliani erano stati informati per tempo della presenza dei rifugiati, ma che nelle scuole dell’Onu non c’erano né missili, né combattenti, come sostiene Israele, ma gente terrorizzata. Molti bambini, tanti, troppi, qualcosa che fa pensare a un “bambinicidio”. Anch’io ho firmato appelli e richieste di processi per crimini di guerra, ma bisognerebbe approntare e firmare anche un appello in cui chiedere all’Onu di ricorrere a severissime sanzioni internazionali, qualora Israele dovesse rifiutare di collaborare. Checché ne pensino i fondamentalisti filoisraeliani, infatti, in genere le risoluzioni dell’Onu sono per Israele poco più che carta straccia, 

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.181) 16 agosto 2014 21:35
      Fabio Della Pergola

      Mi sa che il commentatore ignora che le risoluzioni dell’ONU sono di due tipi: o risoluzioni dell’Assemblea Generale, o di una delle varie commissioni che ne derivano, che possono avere solo valore "raccomandatorio" http://www.treccani.it/enciclopedia.... Sono cioè pure e semplici "esortazioni" che chiunque è libero di prendere o non prendere in considerazione.

      Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU invece possono avere anche carattere costrittivo. Ma se uno dei membri con diritto di veto pone il suo stop le risoluzioni non possono essere adottate. 

  • Di (---.---.---.89) 16 agosto 2014 20:33

    Che post vergognoso, questa è proprio informazione a 90 gradi.

  • Di Giuseppe Aragno (---.---.---.72) 16 agosto 2014 23:46
    Giuseppe Aragno

    Sinceramente mi pare che la precisazione di Della Pergola c’entri molto poco con ciò che ha scritto il “commentatore”. Aggiungo, per rispetto della verità storica, che quanto afferma è inesatto: non è vero che non esistono risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che riguardino Israele. La risoluzione 425 del 1978 del Consiglio di sicurezza dell’ONU imponeva il rispetto dell’indipendenza politica, della sovranità e dell’integrità territoria del Libano all’interno dei confini riconosciuti dalla comunità internazionale e, di conseguenza, intimava a Israele di cessare ogni azione militare contro l’integrità del territorio libanese e ordinava il ritiro immediato delle sue forze da tutto il Libano. La Risoluzione 426 del Consiglio di sicurezza, poi, integrava la 425, inviando forze dell’UNIFIL in Libano. Nel tempo si sono poi contati fino a 7.000 caschi blu. Esito? Gli israeliani si ritirarono nel 1985! Non basta. Essi mantennero il controllo su una fascia di territorio a ridosso del confine. L’abbandono completo si ebbe solo nel 2000, cioè 15 anni dopo. In quanto al veto, non cancella la vergogna. E’ il caso del rifiuto opposto nel 2002 alla Commissione d’inchiesta su Jenin, che equivale a un ammissione di colpa; chiudo, ricordando, perché il quadro sia più chiaro, che in un solo anno, nel 2000, l’ONU ha votato qualcosa come otto risoluzioni di condanna della politica di Israele nei territori palestinesi occupati. Dissenzienti solo Israele e gli USA, naturalmente. Potrei continuare a lungo ma mi pare basti e senza scomodare la Treccani limito a confermare: carta straccia.

  • Di (---.---.---.221) 22 agosto 2014 07:59

    Quindi: Ilan Papppe che scrive di pulizia etnica, in essere da decenni, sarebbe una fanfarone.

    • Di (---.---.---.181) 8 settembre 2014 08:37

      Ilan Pappè scrive che la pulizia etnica fu pianificata, altri storici come Benny Morris hanno scritto che è esistita, ma non fu pianificata, fu la conseguenza della guerra. Se lei preferisce l’opinione di Pappè è un suo diritto, ma non è l’unico storico israeliano ad essersi espresso sulla questione né l’opinione di un solo storico è al di sopra di qualsiasi critica. In ogni caso mi pare che c’entri poco con il senso di questo post. Dopo la guerra ci furono spostamenti di popolazione ovunque nel mondo e a seguito del conflitto del ’48 un numero di ebrei equivalente a quello dei palestinesi cacciati o fuggiti dalla Palestina, fu cacciato dai paesi arabi.

      In ogni caso basta leggersi le vicende di Hebron, 1929, per capire che la pulizia etnica fu praticata dai palestinesi verso gli ebrei ben prima che accadesse il contrario.

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