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Israele, quanto costa la rottura con Ankara

L’allarme lanciato a Netanyahu è secco, giunge dal Governatore della Banca d’Israele Fischer e da esperti in affari commerciali come Menashe Carmon“Interrompere le relazioni diplomatiche con la Turchia può costare carissimo alla nazione che vive accanto alla crisi mondiale dei mercati una rovente protesta sociale.

Ankara sviluppa nella regione una considerevole forza economica ed è un partner irrinunciabile”. Il volume bilaterale del business fra i due Paesi ha superato nel 2010 i 3000 milioni di dollari e alcuni operatori di Tel Aviv sostengono che “mettere in crisi tutto quel ben di Dio vuol dire non assicurare un futuro al Paese”. Si tratta di un import-export considerevole, Israele stessa è impegnata con 1,35 bilioni di dollari di merce esportata nell’area anatolica.

Nel critico quadro degli ultimi tre anni la sua economia ha registrato un andamento oscillante con una crescita del 4% nel 2008, dello 0.2 nel 2009 e una ripresa al 3.4% nel 2010. Nell’anno in corso, che per Israele presenta difficoltà legate alle novità politiche introdotte dalle “primavere arabe” e ai ricambi avvenuti in Paesi rimasti per decenni amici, Egitto in testa, le importazioni turche erano comunque aumentate con un flusso salito da 648 a 950 milioni di dollari. I businessmen israeliani ricordano al proprio ferreo Esecutivo che gli scambi commerciali necessitano di distensione mentre i passi perentori segnati dalla gestione Lieberman del dicastero degli Esteri vanno nella direzione opposta.

“La crisi con la Turchia può causare un pesante danno alla nostra produzione industriale”, s’è lamentato il capo della Federazione delle Camere di Commercio Uriel Lynn facendo intendere che la classe politica può pagare i suoi errori a breve giro elettorale. La tensione diplomatica non sembra scemare. Anzi.

Accanto a episodi come quelli lamentati nei giorni scorsi da turisti israeliani all’aeroporto di Istanbul, perquisiti “per ragioni di sicurezza” e tenuti in attesa per circa due ore aggiuntive prima del decollo (un comportamento in verità che qualsiasi passeggero di nazionalità non israeliana riscontra al Ben Gurion), il premier Erdogan ha ribadito sia il congelamento degli scambi commerciali sia la sospensione di collaborazioni militari con le comuni esercitazioni aeree e terrestri.

Quest’ultime dovrebbero preoccupare Tel Aviv al pari dei conti di cassa perché non sarà facile per il Ministro della difesa Barak trovare luoghi d’esercitazione sicuri e testati come quelli concessi dal maggior alleato Nato nel Mediterrano orientale. Parlando di quella fetta di mare Erdogan ha ricordato che le navi con la mezzaluna saranno molto più visibili nelle proprie acque territoriali.

Fra il popolo delle tende nelle piazze israeliane aumenta il numero di chi pensa che assaltare Mavi Marmara non è stata una brillante idea. E non scusarsi per le nove vittime è prassi anche peggiore.

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