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Iran: a 25 anni dal "Massacro delle prigioni" le madri cercano giustizia

Alla fine dell'agosto del 1988 tra 4500 e 5000 prigionieri politici, donne e bambini sono stati massacrati in varie prigioni del Paese, con la connivenza delle massime autorità dello Stato. Le madri di Khavaran chiedono ancora giustizia. 

 
In un’estate di 25 anni fa, tra 4500 e 5000 uomini, donne e bambini vennero assassinati in varie prigioni dell’Iran.
 
Alla fine di agosto del 1988, senza preavviso, la direzione delle carceri sospese tutte le visite familiari. Le televisioni e le radio vennero rimosse dai corridoi, la distribuzione dei quotidiani fu annullata e ai prigionieri fu vietato di svolgere esercizi fisici o di recarsi in infermeria.
 
Erano “morti che camminavano” ma ancora non lo sapevano. Migliaia di prigionieri politici vennero presi dalle celle, uno per uno, e portati nelle sale degli interrogatori. Non sapevano che erano di fronte a un processo sommario. Speravano che da un momento all’altro gli sarebbe stato comunicato un perdono, un’amnistia, un atto di clemenza dato che nella maggior parte dei casi avevano quasi completato la condanna.
 
Del resto, la sanguinosissima guerra con l’Iraq era terminata, l’8 agosto con la fine delle ostilità e il 20 con la formale entrata in vigore del cessate-il-fuoco.
 
Però, un mese prima era accaduto qualcosa. L’Esercito di liberazione nazionale, una forza militare costituita dai Mujaheddin del popolo iraniano riparati in Iraq sotto la protezione di Saddam Hussein, aveva lanciato un attacco in Iran, respinto a fatica (i Mujaheddin stanno ancora subendo le conseguenze di quell’alleanza).
 
Nei processi-lampo celebrati appena fuori dalle celle, ai prigionieri venivano poste due domande:
  • qual è la tua affiliazione politica? Se la risposta era “Mujaheddin”, il processo era finito. Sentenza: esecuzione immediata.
  • Stesso esito se la risposta alla seconda domanda, sulla fede religiosa, fosse risultata errata.
Il “massacro delle prigioni” fu una mattanza premeditata e organizzata, eseguita nella piena consapevolezza e col completo assenso dei massimi vertici del governo della repubblica islamica, la cui responsabilità ha persino lambito l’ex candidato alla presidenza, ora agli arresti domiciliari, Mir-Hosein Mousavi.
 
Non si saprà mai il numero esatto delle persone messe a morte in quei mesi. Non c’è stata mai alcuna indagine. Molti familiari non sanno neanche dove sono sepolti i loro cari.
 
C’è un motivo per cui parliamo di un massacro avvenuto un quarto di secolo fa.
 
Il motivo è che la persecuzione nei confronti dei familiari delle vittime continua ancora oggi. Venerdì scorso, come ogni venerdì che precede il 1° settembre da 25 anni a questa parte, le autorità hanno impedito di visitare il cimitero di Khavaran, a Teheran (nella foto di Jafar Behkish), dove si ritiene siano stati sepolte, in fosse comuni, molte delle vittime del “massacro delle prigioni”.
 
Mansoureh Behkish è una delle madri di Khavaran e da anni è presa di mira dalle autorità. Ha perso molti parenti nel “massacro delle prigioni”. Ogni estate viene convocata dai servizi di sicurezza che le intimano di smetterla di provare a recarsi a Khavaran, di parlare coi giornalisti, di scrivere lettere e appelli.
 
L’hanno arrestata e rilasciata molte volte fino a quando, il 25 dicembre 2011, l’hanno condannata per “propaganda contro il sistema” e “collusione per danneggiare la sicurezza nazionale”. È libera ma con un residuo di pena di sei mesi da scontare e potrebbe essere richiamata in carcere in ogni momento.
“Saluti a te Khavaran e alla tua terra e a tutti quelli che sono stati messi a dormire sotto la tua terra / Tu hai preso i nostri cari e tenuto i loro corpi per 25 anni / In un posto dove non ci sono nomi, non ci sono simboli e tutto è coperto da erbaccia e spine / Ma un giorno questo luogo diventerà un roseto, succederà / Si, sono passati 25 anni, sono passati velocemente / ma cosa è successo a noi, noi lo sappiamo / si, abbiamo sopportato tutto e sopporteremo tutto / ma speriamo che un giorno ci sarà libertà / e un futuro migliore per la gente di questa terra”. (Forough Tajbakhsh, una delle madri di Khavaran) 
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