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Invictus. Clint Eastwood racconta Mandela e il rugby che unificò lo spirito sudafricano

 

Il 26 febbraio esce nelle sale italiane "Invictus- L’invincibile" il nuovo film dell’ormai affermato regista Clint Eastwood, che sfrutta al meglio le sue doti quando si concentra sulla storia e su cosa i protagonisti hanno da comunicare, più di quando dirige se stesso e gioca sulla sua smania di primeggiare. Si parte già da una base importante, il libro di John Carlin "Ama il tuo nemico. Nelson Mandela e il gioco che fece una Nazione" riadattato in sceneggiatura per raccontare la storia della rinnovata unificazione post apartheid degli animi sudafricani, una comunione difficile e contrastata dalla paura e dal razzismo che fatica a scomparire, che regola ancora le vite di bianchi e neri, divisi in signori e servi nelle case.
 
 
 
Nel 1990 al governo si insedia Nelson Mandela (Morgan Freeman), eletto primo presidente di colore del Sudafrica e scarcerato dopo 28 anni di prigionia imposta dai reggenti pro apartheid, si accinge a unificare il suo Paese. Non è un cammino facile quello intrapreso da Mandela, i gruppi attivisti sono ancora pieni di rabbia e di paura, i luoghi di lavoro diffidenti nei confronti della parità e il rugby la cui squadra non diede il meglio di se in quegli anni, considerato per soli bianchi coinvolgeva poco le masse. Di lì a poco però il Sudafrica avrebbe ospitato la Coppa del Mondo, siamo nel 1995, occasione più unica che rara per fare leva sullo spirito nazionale d’unità che Mandela aveva sempre cercato di far prevalere. Ed ecco crescere l’interesse di Madiba (nome rispettoso affidatogli dagli anziani della famiglia e usato da tutti i suoi collaboratori) per il rugby, per il lavoro del capitano Francois Pienaar (Matt Damon) che sembra non riuscire a trovare la forza per farsi seguire dalla squadra, per portarla alla vittoria e incentivare il dialogo, al duro impegno e all’importanza che il titolo mondiale potrebbe avere per il popolo. Durante lo svolgimento della storia nasce una timida e reverenziale amicizia fra i due "capitani" uno scambio di forza ed esperienza di cui Pienaar fa tesoro visitando la cella del capo di stato, lo stesso che prendendo un tè con lui gli rivelò di aver trovato la forza di sopravvivere alla prigionia grazie ad un poemetto di William Ernest Henley "Invictus".
 
 
 
Sebbene la storia appassioni come poche altre sugli schermi al momento c’è spazio anche per delle pennellate di commedia nel quadro di Eastwood: le riunioni formali e politiche di Mandela intervallate dai risultati delle partite di Rugby sussurrati all’orecchio, la costante presenza agli allenamenti per supportare la squadra, le notti davanti al televisore per seguire da vicino il suo più grande investimento sociale.
 
 
Non ci sono abbastanza aggettivi per descrivere Morgan Freeman in questo ruolo, ha lavorato sul personaggio quasi due anni e i risultati si vedono eccome. Dispiace che nel doppiaggio italiano non si riesca a capire che Freeman ha imparato anche il tono di voce di Madiba, impressionante e commovente la somiglianza che riesce a riprodurre sullo schermo. Convincente, come poche altre volte a mio parere, il biondino Matt Damon con accento inglese e fisico approntato per l’occasione risulta una splendida spalla di un mostro sacro del cinema, sfoggiando come non mai il lato umano del suo essere attore. Se siete appassionati di sport sicuramente saprete come andrà a finire, ma vale la pena rivedere i momenti sul grande schermo, il tifo da stadio si mescola ad un’emozione diversa e più complessa, un respiro di sollievo lungo una vita.
 
 
 
Out of the night that covers me, 
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.
In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.
Beyond this place of wrath and tears

Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.
It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.
 
 
Dal profondo della notte che mi avvolge
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio quali che siano gli dei
per la mia indomita anima.
Nella morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro
né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte il mio capo sanguina, ma non si china.
Visto dall’altra parte questo luogo di rabbia e lacrime appare minaccioso
ma l’orrore delle ombre e la minaccia degli anni
non mi trovano e non mi troveranno timoroso.
Non importa quanto sia stretto il varco,
quanto piena di castighi la vita.
Io sono padrone del mio destino.
Io sono il capitano della mia anima.
 
 
 
 

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