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Inizia l’era del nuovo Patto di stabilità

Il consiglio dei ministri presenta le linee guida del Piano Strutturale di Bilancio: crescita limitata per la spesa e cosiddette riforme. Saranno tagli veri o aumenti di tasse ai soliti noti?

Ieri il consiglio dei ministri ha esaminato lo schema del Piano Strutturale di Bilancio di medio termine, introdotto nell’ambito della riforma delle regole di bilancio europee. Il documento, in altri termini, che deve conseguire quella “traiettoria tecnica” disegnata dalla Commissione Ue, entro la quale c’è l’uscita dalla procedura di deficit eccessivo, cioè tornare sotto al 3 per cento in rapporto al Pil, che tuttavia in questa nuova versione del Patto di stabilità è solo una tappa prima di approdare alla soglia “tedesca” di 1,5 per cento. Oltre alla riduzione del rapporto debito-Pil di un punto percentuale medio annuo.

Tanta roba, dunque. Però esponenti di governo e maggioranza sostengono che questo nuovo patto di stabilità è meno penalizzante del precedente. Che tuttavia non ricordo quando sia stato mai applicato, nella regola del debito. Ma transeat: i nostri eroi dicono che con questa versione si liberano 35 miliardi di euro annui di minore austerità, chi sono io per contraddirli?

A parte ciò, e in attesa della revisione Istat del 23 settembre, che ci regalerà un Pil più pingue riguardo agli scorsi anni, cosa che permetterà all’attuale maggioranza di darsi il cinque per la grande opera di Giorgia Meloni, che faceva crescere l’economia già anni prima di arrivare a Palazzo Chigi, in assenza del quadro programmatico (cioè come raggiungere gli obiettivi), il cdm informa che “nell’orizzonte temporale considerato dal Piano, il tasso di crescita della spesa netta si attesterà su un valore medio prossimo all’1,5 per cento”.

Di che spesa parliamo

La spesa è quella primaria netta, che esclude interessi, cofinanziamenti europei, stabilizzatori automatici quali i sussidi di disoccupazione (che dovrebbe evitare movimenti pro ciclici), e aumenti di entrate. Sì, perché queste ultime sono e restano l’ultima spiaggia per quadrare i conti. Tale spesa ammonta a poco più di mille miliardi annui, di cui solo il 29 per cento è di origine statale.

Secondo la previsione del governo, questo aumento nominale medio di 1,5 per cento annuo della spesa primaria netta consentirà di scendere sotto il 3 per cento di deficit già nel 2026, in anticipo rispetto alla previsione della Commissione. L’orizzonte temporale di aggiustamento cercato dall’Italia è di sette anni anziché degli ordinari quattro. Per avere questa dilazione, occorre implementare delle riforme concordate con la Commissione, secondo lo schema-PNRR. Ma di quali riforme parliamo? Lo indica il comunicato di Palazzo Chigi:

Il Piano include riforme ed investimenti che proseguono il percorso intrapreso con il PNRR e lo aggiornano per agire con maggiore incisività su sfide quali la PA, giustizia, miglioramento dell’ambiente imprenditoriale, compliance fiscale.

Non è chiarissimo cosa sia il “miglioramento dell’ambiente imprenditoriale”. Potrebbe essere la politica della concorrenza, cioè quella cosa che in questo esecutivo si esplicita nella legge annuale della concorrenza che norma i dehors dei locali pubblici. Per tutto il resto, attendiamo. Sappiamo che non sarà la messa a gara delle concessioni balneari a spingere la crescita ma serve anche quella. Ad esempio alle entrate. C’è poi tra le riforme la leggendaria “compliance fiscale”, e qui attendiamo di capire se si tratterà di nuove rottamazioni o bonus agli autonomi per indurli a pagare qualcosa per il futuro e il pregresso, al loro buon cuore. Una strana compliance, in effetti, ma confidiamo che a Bruxelles guarderanno ben altre metriche.

 

Nota tutt’altro che a margine: l’aumento medio di spesa pubblica primaria a 1,5 per cento annuo si intende nominale. Quindi, dovremmo avere crescita reale in un intorno dello zero o lievemente negativa. Si può fare, per carità, ma consideriamo che la spesa sanitaria deve aumentare, ceteris paribus, in conseguenza dell’invecchiamento, e che anche quella pensionistica aumenta per motivi demografici, anche senza che qualche genio la spinga con proposte demenziali. Tra i grandi aggregati c’è poi la spesa per acquisti della PA e le prestazioni sociali, che in questi anni è decollata.

Spesa materialmente o politicamente incomprimibile?

Il mio timore è che, se tali voci di spesa dovessero risultare materialmente o politicamente incomprimibili, si finirebbe a replicare quanto fatto negli ultimi lustri: e cioè aumentare le entrate in modo strutturale. Ma aspetto a insaponare la corda. Venendo invece al qui e ora, resta da capire come costruire la legge di bilancio 2025. Un calcolo approssimato ma preciso lo fornisce Gianni Trovati oggi sul Sole:

La replica delle misure in vigore quest’anno (decontribuzione, Irpef a tre aliquote e così via) nella definizione comunitaria delle «politiche invariate» che comprende anche le stime sugli effetti dell’invecchiamento determinerebbe secondo l’Upb un aumento nell’ordine del 3,3% medio, cioè intorno ai 33 miliardi annui. La crescita tracciata dal Governo ne prevede invece solo 15. Un aiuto arriverà dalla revisione delle stime di entrata e da un obiettivo di Pil all’1,3-1,4%. Anche così però, mancando la leva dell’extradeficit serviranno coperture aggiuntive reali per oltre 10 miliardi. In un contesto nel quale la crescita della spesa si limiterà a seguire sostanzialmente il tasso di inflazione, evitando quindi incrementi reali.

Tutto molto chiaro. Serve una decina di miliardi di risorse aggiuntive, sempre che si intenda mantenere la decontribuzione e la cosiddetta riforma Irpef che boccheggia di anno in anno. Ma Giancarlo Giorgetti (e non solo lui) ha detto che queste misure resteranno, cadesse il cielo. Quindi aspettiamo e capiremo. Sapendo che la “potatura” delle tax expenditures su voci minori produrrebbe (chi l’avrebbe immaginato?) un gettito risibile, e che invece agire su quelle maggiori come sanità, lavoro dipendente e mutui prima casa è politicamente un campo minato. Vi ho già detto come penso finirà: verrà aggredita la spesa pensionistica. Silenziosamente, pacatamente. Mentre qualche imbonitore vi dirà che stanno superando la legge Fornero. Accadrà, ma in senso più restrittivo. Certo, c’è sempre la possibilità che la crescita ci gratifichi di entrate aggiuntive spontanee, non abbattiamoci così presto.

Per tutto il resto, sentiremo ululare all’austerità perché la crescita della spesa primaria netta è considerato insufficiente. L’aspetto più interessante sarà vedere e sentire fischiettare molti anti-austeri, di quelli della compagnia “stampa che ti passa”, che oggi sono in maggioranza. Penso si dedicheranno a nuove clamorose rivelazioni su vaccini e scie chimiche. Ma resta loro l’argomento principe: questo nuovo patto di stabilità libera 35 miliardi annui. Di soldi immaginari, ma chi si accontenta gode.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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