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Incontri d’autore Enzo Ciampi - Mio cugino il fascista

"Alex era il penultimo della fila. L’avevo già visto, l’avevo riconosciuto dai capelli grigi e cortissimi, chiazzati di sangue."

Enzo, prima di tutto grazie per la disponibilità e per avere accettato tutti gli imprevisti capitati in corso d’opera. Ogni attimo di più mi meraviglia come per un motivo professionale e di passione personale si possa giungere a scoprire persone così particolari e ricche di energia come tu hai dimostrato di essere. Un amico in fase crescente, tutto in divenire.

A questo punto, domanda d’obbligo, visto il periodo storico del tuo libro (che tra l’altro è il motivo del mio primo interesse!): cosa ti ha convinto a scegliere questa ambientazione spazio temporale?


Grazie alla tua domanda, mi torna in mente che tutti e tre i libri che ho scritto fino ad oggi sono ambientati in epoca di guerre civili. Ma non c’era nulla di preordinato. “Mio cugino il fascista” è il primo dei tre . Credo di essere stato fortemente attratto dal dramma delle coscienze divise, delle tragedie che rendono nemiche persone legate da affetti personali o storie familiari. Secondariamente, mi ha aiutato la buona conoscenza storica del periodo: fascismo - guerra - Resistenza. Il contesto storico è rappresentato da un aspetto poco noto e poco studiato di quel periodo, ovvero il finanziamento della lotta di liberazione. La diversità di questo romanzo, rispetto a tanti altri ambientati nella stessa epoca, consiste nel fatto che i partigiani delle montagne, o i “ragazzi di Salò”, si vedono pochissimo, ed hanno un ruolo marginale. Non ci sono eroi, i personaggi sono visti attraverso i loro limiti , le loro debolezze e la loro paura. Del resto le grandi cause, per essere tali, non richiedono necessariamente grandi uomini.
Michele fa parte della rete cospirativa, ma in sostanza fa un lavoro di intermediario finanziario fra Milano e la Svizzera, fino a quando il caso non rende avventurosa e rischiosa, suo malgrado, la partecipazione alla Resistenza. La lotta politica, armata e non, ha sempre avuto un ingente costo economico, oltre naturalmente a costi umani enormi. Anche questo – l’onnipotenza del denaro - è un tema ricorrente in ciò che ho scritto fino ad oggi: nell’antica Roma, come nel XX secolo.

Per la caratterizzazione dei tuoi personaggi hai preso ispirazione da qualcuno in particolare?

I personaggi principali sono di fantasia, ma riflettono i caratteri ed i modi di pensare di quell’epoca. A volte si trovano, nella narrazione, ad incrociarsi con personaggi realmente esistiti, un gioco divertente un po’ pericoloso – lo ammetto – perché il confine con l’arbitrio è molto sottile. Specie se qua a là si inseriscono, con i dovuti adattamenti , piccoli episodi tratti dalla memorialistica, in particolare dalle memorie di Alfredo Pizzoni ( anche lui fa una “comparsa”, ma solo per rendergli omaggio).
Tu che dici, Patrizia, il gioco è riuscito? 

Secondo me, tutto l’insieme del romanzo ricalca in pieno lo spirito del tempo anche grazie alla scelta dei personaggi e alla loro personalità. La domanda che sorge spontanea, a questo punto è: quanto della tua vita personale hai portato all’interno?

In Michele, l’io narrante, c’è un po’ di me stesso da giovane. La stessa goffaggine con le ragazze, la stessa insicurezza, la stessa paura di avere paura.
Ma anche lo stesso desiderio di cercare ciò che è giusto, la capacità di riflettere senza giudicare, la stessa propensione a raccontare; ed anche la generosità. E l’amor di Patria.
Ci sono luoghi della mia infanzia, come la Versilia. C’è Roma: anche se è una Roma degli anni ’30, vista negli ambienti altolocati dell’epoca, non è cambiato di molto il disincanto, il sottile scetticismo di fondo, la mentalità di stanca e sonnacchiosa assuefazione al potere.
Da persone della mia famiglia ho conosciuto molte storie di quel tempo: non le ho riportate, se non per particolari secondari (mio padre ha fatto la guerra in Albania), ma ho cercato di ricostruire il dramma di quegli anni terribili: la separazione delle famiglie, l’attesa della pace, la paura che non sarebbe ai stato possibile risollevarsi. Ed anche il fumo delle sigarette; le “mise” delle signore; i surrogati di caffè; i teatri di varietà semivuoti con le ballerine in cerca di chi offrisse loro una cena; le chiacchiere all’interno dei rifugi per non pensare alle bombe.
Ines – il personaggio che amo di più, confesso - era il tipo di ragazza che non ho mai avuto. Alex, con al sua sfrontatezza, era quello che, di solito, le aveva. Le divertenti lezioni su come fare, quelle che nel libro Alex impartisce a Michele, le ho ricevute per davvero da un mio cugino, che adesso non c’è più, e al quale volevo un gran bene.

Il tema dell’amicizia risalta imperioso lungo tutta la trama; riflette un tuo sentire, un tuo valore principe?

Il valore dell’amicizia è fondamentale: in “ Mio cugino il fascista” viene messo a confronto con altri valori che sembrano doverlo continuamente soppiantare, ma non ci riescono mai. Il conflitto interiore dell’ “io” narrante, Michele, nasce proprio dall’obbligo – per lui sgradito – di rimetterlo continuamente in discussione. Michele, dentro di sé, vorrebbe che Alex gli semplificasse il compito, rinunciando ai propri valori, che sembrano essere all’opposto dei suoi. Solo alla fine si rende conto che senza Alex, lui non avrebbe mai scoperto in cosa credere. Senza il cugino fascista , non avrebbe mai rischiato la vita per combattere il fascismo.

Quando hai deciso di cominciare a scrivere in modo serio?

Ho deciso di scrivere “sul serio” semplicemente quando ho trovato il coraggio di farlo, pur desiderandolo fin da ragazzo. Quando avevo un lavoro fisso – prestigioso e ben pagato – pensavo sempre che avrei potuto farlo nei ritagli di tempo.
Nei week-end. In vacanza. E non lo facevo mai. Rimandavo, e il tempo passava. 
L’ambientazione storica, già di per sè, richiede maggiore attenzine, l’ispirazione o la vocazione letteraria non sono sufficienti. Occorrono studio, ricerche, confronto con le fonti. Quindi, molto tempo e molta fatica e per me, che fondamentalmente sono un pigro, questo ha implicato il prendere una decisione: una cosa, o l’altra. 
Io ho scelto l’altra.

Come sei riuscito a convincere la casa editrice? e (domanda d’obbligo) hai qualche suggerimento per chi si avvicina per la prima volta a questo mestiere?

Chi vuole pubblicare deve sapere in anticipo che le case editrici in realtà, difficilmente possiamo “convincerle”, specie se prima non abbiamo convinto un po’di lettori, requisito che però un esordiente non può avere.
E’ un circolo vizioso dal quale è difficile uscire. Non basta aver fatto un buon lavoro; questo deve anche essere facilmente commerciabile.
Siamo portati a pensare che il testo valido è quello che viene pubblicato, perché è stato scelto fra mille. Non è così. Non tutto quello che arriva sugli scaffali delle librerie è di qualità. Buoni lavori vengono scartati insieme a tanti lavori che tanto buoni non sono.
Nello sterminato cimitero dei manoscritti rifiutati vige la “livella” di Totò, miseria e nobiltà non si distinguono più.
Ci sono pochi casi di esordi di grande successo, l’ultimo è Paolo Giordano, il resto è lacrime e sangue. L’unico consiglio che posso dare è di crearsi una corazza, essere pronti a sentirsi falliti prima ancora di cominciare: il primo rifiuto si assorbe benino, il ventesimo no di certo.
Ma se sei arrivato al ventesimo, significa che ci credi. E se ci credi, rimandi la resa al ventunesimo.

La tua famiglia ti è stata vicina? Ti ha incitato? ti è stata d’aiuto?

La persona che vive con me – mia moglie Gianna – mi è stata di grande aiuto.
Quando da un giorno all’altro ho dato le dimissioni, non ha battuto ciglio.
Sapeva che non ne potevo più; e se non ne potevo più, era perché mi mancava qualcosa.
L’intelligenza delle donne si esprime, spesso, anche con il silenzio. Il suo non era un silenzio ostile, né rassegnato. Era complice.

Hai un tuo metodo di scrittura, sai, che so, un rituale... rileggi quello che scrivi subito? ti autocorreggi o hai un lettore numero uno di tua fiducia che apporta le modifiche?

Un metodo di scrittura? Magari lo avessi!
Sono dispersivo, disordinato, disorganizzato; salto continuamente da un’idea ad un’altra senza decidermi. 
Spesso la mia pigrizia riemerge e trionfa. Ho l’abitudine di fermarmi ad un certo punto, approfittando di un’interruzione causale (una lunga telefonata, ad esempio), e utilizzare la sosta per rileggere tutto ciò che ho scritto.
Se distruggo il file, disgustato, allora è stato tutto tempo perso. Se invece comincio a correggere minuziosamente, ripulire, riassemblare...allora è segno che andrò fino in fondo, perché improvvisamente divento efficiente, analitico, determinato a finire.
Occorre essere spietati nei confronti di se stessi e di ciò che si è creato e, soprattutto, non esitare a tagliare il superfluo. Buone forbici valgono quanto una buona idea.

Qualche scrittore in particolare ha avuto una influenza diretta o indiretta sulla tua scelta di scrivere?

Non saprei dire quale autore mi abbia influenzato. Ci sono scrittori che hanno il dono di ricreare il linguaggio in modo personale ed originale, che fanno della parola una magia.
Io non posseggo quel dono, e non lo avrò mai. Scrivo in modo piuttosto lineare ed essenziale – molto anglosassone, dicono – utilizzo con parsimonia l’introspezione, sono molto più realista che intimista.
Mi piace che la psicologia e il carattere dei personaggi emergano dalle azioni e dai dialoghi. Insomma, mi piace raccontare storie, possibilmente ben costruite.
Storie vere, o storie di fantasia, ma verosimili. Così come i personaggi devono essere, per me, non “belli”, ma credibili.
Mi piace anche raccontare la Storia, come si sarà capito, scorrendo i miei titoli. “Le congiure parallele”, ad esempio, non è un romanzo, è un saggio storico (la ricostruzione delle “idi di marzo”), nel quale cerco di dimostrare che è possibile rendere avvincente la Storia senza deformarla, o volgarizzarla. 
Lo studio alla base deve essere rigoroso, ma deve pesare sull’autore, non sul lettore.
Riguardo a questo, però, vorrei dire che “Mio cugino il fascista” non è, a mio avviso, un romanzo storico (anche se qualcuno lo ha classificato come tale). E’ solo un romanzo. 
C’è l’amicizia, ci sono due storie d’amore molto diverse fra loro, c’è anche un po’ di avventura. 
Non credo che basti ambientare una narrazione nel passato perché sia possibile classificarla in un certo modo. Ma nemmeno sono troppo interessato alle definizioni, quindi fate pure!

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