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Il terremoto che ha sconvolto una nazione

La vita si osserva, si respira, si spreca, si assapora, si getta via, si conquista.

Per la vita si lotta, si piange, si sfiorano tragedie, si conquistano premi, si asciugano lacrime, si ignorano dolori e morte, per la vita.

E poi, la vita cessa, la vita non c’è più, ma non c’è neppure la morte, non nei tuoi occhi, non nel tuo cuore, non nelle tue membra, non nei tuoi polmoni. La morte è lì. La puoi toccare, la puoi sfiorare, la puoi annusare, la puoi gridare, la puoi scalciare, la puoi spostare, la puoi ignorare, la puoi avvertire.

Hai chiuso gli occhi ieri e il tuo mondo era lì. Hai racolto i tuoi orecchini, quelli preziosi, non perché costosi, ma perché dono di un’antichità familiare che da sempre ha legato il passato al futuro; hai chiuso i tuoi documenti nella cartellina, in ordine perfetti. Una relazione importante, preparata nei minimi dettagli, dopo mesi di ricerche, di studi, di sacrifici. Hai disposto i vestiti per la scuola, sulla sedia in fondo al letto, stirati apposta per essere carina, per farti notare da quel ragazzo che ieri ti ha degnato del primo sguardo, e il cuore ti batte, la vita ti sorride, la fiducia è riposta nel tuo cuore. Hai messo la tua bimba nella culla, le hai accarezzato dolcemente la testa, hai respirato il suo profumo, perfetto, delicato, come nessuno mai. Hai stretto la mano di tuo marito prima di addormentarti, forza del tuo mondo, certezza del tuo domani, protezione del tuo piccolo cuore delicato. L’hai osservata mentre si addormentava, le hai sussurrato il tuo amore, le hai sfiorato la pelle, hai ringraziato dio che ti ha donato la vita nella vita. Avete litigato, vi siete detti cose terribili, per rabbia, per un momentaneo atto di cedimento, per la voglia di gridare, per il bisogno di sfogare altro, dentro la solidità di un rapporto ancora incerto. Ti sei addormentata sola, hai scritto sul tuo diario, hai pregato per il tuo futuro, per il tuo dolore, per la tua perdita, la tua vittoria. Hai sistemato la cucina, anni di sacrifici, un mutuo di cui ora sei fiero, per lei, per te, per la vostra casa, per una vita nuova.

Soprammobili, regali di matrimonio. Lampade antiche, pezzi di case che si portano di trasloco in trasloco per assicurare continuità al cambiamento, perché il passato ci sia di sostegno ovunque, perché le radici sono quanto di più prezioso possiamo avere, oltre l’amicizia, oltre l’amore, oltre i legami ci sono gli oggetti. Quelle mille piccole insignificanti cose che segnano il nostro territorio. Quel quadro pagato due lire che ci dona gioia al rientro di casa. La borsetta per cui abbiamo risparmiato un mese dopo l’altro. La penna del nonno, l’album di famiglia, le foto di mamma e papà da giovani, il maglione preferito, il profumo di un amore passato, l’anello di fidanzamento lasciato in bagno sullo specchio, il portatile con i nostri appunti, i diari di una vita, il baule dei ricordi, i primi libri di scuola, la nostra biblioteca privata. I nostri amici animali, compagni di sempre, di ogni silenzio, di ogni dolore, di ogni lacrima, di ogni risata. Le piante curate per anni, i piatti, le tazze, i vestiti, le coperte, i soldi risparmiati, i documenti. Già i documenti.

Ora siamo tutti qui, fuori, increduli tremanti esseri viventi ignari della loro esistenza. Non esiste più un passato, non si pensa di certo al futuro. E il presente, quello, semplicemente non c’è. Non c’è la macchina, le chiavi, la possibilità di muoversi. Non c’è cibo, acqua, calore. Non c’è riparo, non c’è sicurezza. In pratica non c’è identità.

Ed è qui che la mente vacilla, qui nell’incapacità di credere c’è l’illusione che tutto questo sia un sogno, orrendo incubo, scherzo crudele, tutto, ma non la realtà.

La tv trasmette visi perduti, sguardi vacui, frasi sconnesse, persone cocciute che non vogliono allontanarsi per uno stupido cane o per un inutile oggetto. Che sarà mai, diciamo da qui. Che fuori di testa che sono, invece che andare da un’altra parte si incaponiscono e vogliono rimanere lì.

Ma è lì che la loro vita si è sgretolata. Lì il loro passato ha cessato materialmente di esistere. Lì il futuro si è spento. L’ultima parola, l’ultimo gesto, l’ultimo pensiero, queste sono le cose più vive per tutti loro. I loro cari, i loro affetti, i loro animali, queste le prime preoccupazioni. Parimenti, dove la forza di resistere viene meno, sono gli oggetti che si cercano per aggrapparsi a qualcosa. Gli anziani che vivono soli, i giovani lontano da casa... cosa rimane loro, loro che non hanno un caro cui aggrapparsi, un cuscino da stringere, un letto accogliente sui cui riversare il dolore. Non c’è posto conosciuto dove rifugiarsi, saranno ospiti della loro stessa vita per chissà quanti mesi. Dovranno ritrovare il coraggio per ricominciare tutto da zero, tutto. 

E in mezzo al dolore, telecamere con ignoti volti che li rincorrono, li svegliano in piena notte mentre cercano ristoro chiusi dentro alle macchine, chi le ha, o in tendoni anonimi, l’uno vicino all’altro. Sconosciuti uniti da un comune destino si trovano a confortarsi. L’arroganza, l’indifferenza, tutto svanisce. La paura della solitudine e della non storia è troppo forte. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci ascolti e sia nostro testimone per poter dire di essere vivi, per essere rassicurati che in qualche modo anche questo terrore avrà una fine, che c’è di sicuro un motivo oscuro dietro il dolore, la sofferenza, la non vita e la morte.

Cosa possiamo fare noi da qui? dalle nostre case? certo, mandare soldi, partire volontari, inviare beni di prima necessità... ma ci sono cose che possiamo non fare: accusare, speculare, sciacallare, sfruttare. Possiamo non ridere troppo, per un segno di rispetto. Possiamo continuare al meglio la nostra vita ringraziando di ciò che abbiamo per quanto poco possa essere. Possiamo ricordarci dei nostri cari lontani e fare un colpo di telefono all’amico che da tanto non sentiamo. Possiamo cogliere l’attimo e scusarci con chi abbiamo fatto star male o perdonare chi ci ha fatto soffrire. Possiamo andare al cimitero e lasciare un fiore su una lapide dimenticata, non importa se non è di un nostro caro... possiamo ascoltare di più e tralasciare di meno. Possiamo ricordarci il valore di un domani e la forza e l’importanza del nostro passato. Cosa possono fare i giornalisti? Scrivere non più "sul" terremoto e "sulle" persone in difficoltà ma "delle" persone che affrontano una realtà a cui non erano preparate. Potrebbero smettere di porre domande stupide e comnciare ad offrire risposte. Usare i loro mezzi per raggiungere il cuore di ognuno, perché tutti possiamo nel nostro piccolo fare qualcosa. Quando queste tragedie colpiscono altri paesi, non ci sfiorano. Nessuno si attiva qui. Su Facebook è il delirio. Ovunque il tam tam dei numeri per le donazioni, i conti correnti per i bonifici e gli indirizzi dei punti di raccolta si spandono a macchia d’olio. In radio, ad esempio su 105, ogni cosa è dedicata ai bisognosi, non si fanno programmi sul terremoto per fare audience. Anche negli orari in cui c’è più seguito si è preferita una linea differente, mite e diretta. Questo è aiutare. Basta accuse, basta riempirsi le parole con Berlusconi, il Papa, la Gelmini, la Destra, la Sinistra... basta... tanto di loro si parla comunque. Volgiamo lo sguardo oltre. Pensiamo seriamente per un attimo che questo scempio sia accaduto nella nostra città, che la casa crollata sia la nostra... pensiamo di essere noi quelli che osservano il comportamento del mondo senza capire di essere vivi.

Cominciamo a sentire. Cominciamo ad avvertire la vera vita. Ascoltiamo. Sentiamo. Quelle persone, siamo noi. Costruiamo per loro un nuovo passato e cominciamo a disegnare un futuro almeno possibile.

(Per le foto di questo articolo ringrazio Pino Scaccia, una persona che stimo, un giornalista che fa della sua professione molto più di un lavoro)

Commenti all'articolo

  • Di Rocco Pellegrini (---.---.---.2) 11 aprile 2009 13:19

     articolo bello e commovente. Complimenti Patrizia.

  • Di il bula d’abruzzo (---.---.---.82) 11 aprile 2009 14:03

    Purtoppo qui siamo in Italia dove il la solidarietà delle persone semplici non riesce a compensare il menefreghismo dei piani alti dove conta più il dire che il fare, tanto siamo italiani.Complimenti Patrizia per aver saputo cogliere l’anima di una tragedia immane.

  • Di Patrizia Dall’Occa (---.---.---.214) 11 aprile 2009 14:30
    Patrizia Dall'Occa

    Quando scrivo normalmente mi lascio prendere dall’emozione, dal lato personale, da quello che io sento, magari esagerando nel sottolineare il sentimento. Miro all’empatia, questo sì. Questo articolo, in particolare, è volutamente anti tutto, anti polemica, anti riflessione pratica, anti sezionamento del fatto. Queste parole vogliono ad ogni costo arrivare dritte al cuore. E’ spocchiosa questa affermazione, mi rendo conto, fa così strano parlare di reale sentimento oggi giorno che quando ce lo troviamo di fronte ci sentiamo in difficoltà. E credo che in questo risiedano i voti negativi, comunque ben accetti, a ciò che ho scritto. Ma non mi rimangio una sola parola. Da quando il disastro è avvenuto non passa giorno senza che pensi a come poter agire pur rimanendo ferma. Non sono una volontaria, né potrei esserlo per vari motivi. Ho mandato diversi sms, limitatamente a quanto era in mio potere fare. Ma mi ronza nella mente l’idea che qui, anche non volendo, si continui a speculare sulla reale concreta evidente sofferenza di persone come noi.
    Le istituzioni? faranno quello che faranno. Ma le istituzioni sono macchine complesse, che dipendono da troppi uomini, che stanno sotto uomini, che dipendono ancora da altri. Uomini. Persone con un cervello e un cuore che se non possono agire come insieme potranno però ragionare come singoli e trovare un modo alternativo per raggiungere lo scopo. Il GOVERNO non può fare? bene, ma sono sicura che ogni singolo parlamentare, onorevole, essere umano possa mettere mano al portafoglio e versare, anche in segreto, anche scaricandolo dalle tasse, un euro per queste persone. E’ questo che voglio far capire. Basta accusare, abbassiamo lo sguardo dalla cima alla base e agiamo. Io lo dico a te che leggi, tu fallo con gli amici che conoscono amici e così la catena di aiuti aumenta a dismisura oltre quelli che sono già presenti, oltre chi ha le mani tagliate per spostare macerie... oltre il dovere e il lavoro. Oltre. Abbassiamo lo sguardo, e in silenzio ascoltiamo.

  • Di paolo praolini (---.---.---.74) 12 aprile 2009 20:37

    Questo è uno di quegli articoli che rendono Agoravox diversa dal resto.
    Mi sono commosso e ho sentito e quasi rivissuto certe situazioni pur non essendomi appartenute.
    Sei entrata nel cuore del lettore e questo è un privilegio di pochi, di chi scrive con il cuore e non con la testa.
    L’aspetto emotivo di chi vive queste esperienze è molto complesso, ma tu l’hai inquadrato perfettamente.
    La perdita del proprio passato, dei propri affetti, il futuro nebuloso, creano profonda incertezza e l’impossibilità di affrontare qualsiasi progetto futuro.
    Brava!

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