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Inceneritori: Enzo Favoino smaschera le tesi a favore

Enzo Favoino, della Scuola Agraria del Parco di Monza, ha avuto un ruolo importante nella innovazione dei sistemi di gestione dei rifiuti in Italia e ha spesso l’occasione di lavorare con le Istituzioni Europee e diversi governi nazionali per la definizione delle strategie di settore.

Favoino nei giorni scorsi è stato fortemente critico sul Decreto attuativo dell’art. 35 dello “sblocca-Italia”, e la relativa previsione di 12 nuovi inceneritori.

Secondo il governo Renzi il decreto sblocca Italia servirebbe ad evitare le infrazioni alle direttive europee.

Per Favoino invece «la UE non ci mette in mora “perché non ci sono inceneritori”, quanto per il mancato rispetto dell’obbligo (sancito dalla Direttiva 99/31 sulle discariche) di pretrattamento del rifiuto che va in discarica. Una cosa che segnaliamo da tempo. Ora, al di là di alcuni assunti e passaggi di calcolo arbitrari, su cui si potrebbe ampiamente discutere e varrebbe la pena farlo, il difetto di analisi principale alla base dello schema di Decreto è che considera l’incenerimento come necessario, mentre è solo uno dei pretrattamenti possibili, e – con ogni evidenza – il meno adatto, per diversi motivi: è quello che richiede i tempi più lunghi di realizzazione, e questo è un fattore da considerare se si intende dare una risposta sollecita alle criticità; è poi il più esigente in termini di risorse finanziarie (i costi di investimento specifici sono 3-4 volte superiori rispetto ad impianti di trattamento a freddo), e questo a sua volta distrarrebbe risorse preziose da quella che deve costituire la vera priorità, ossia le attrezzature per la raccolta differenziata e l’impiantistica per riciclo e compostaggio. La criticità maggiore che devo segnalare, tuttavia, risiede nella “rigidità operativa” dell’inceneritore, che una volta realizzato richiede di fare l’unica cosa che può e sa fare: bruciare rifiuto indifferenziato. E questo, a lungo andare, determina frizioni con lo sviluppo dei programmi di raccolta differenziata, che è quello che ci viene chiesto di fare dagli obiettivi nazionali, ma anche, e sempre di più, dallo sviluppo del dibattito sulla “Economia Circolare” in sede Europea.

Ecco, qui c’è un altro clamoroso difetto di analisi dello schema di Decreto: infatti il calcolo delle capacità di incenerimento necessarie assume l’obiettivo nazionale attuale ed europeo al 2020, senza considerare che con ogni probabilità verrà proposto l’aumento di quest’ultimo dal 50 al 70%: già questo di per sé inficia i calcoli alla base della bozza di Decreto.

Senza contare che già molte Regioni italiane hanno programmi di settore che prevedono più del 65% di raccolta differenziata, in alcuni casi (ad es. il Veneto) marcatamente di più. Si imporrà a tali regioni di retrogradare i propri obiettivi al 65%, come assunto dallo schema di Decreto? Non sono questioni marginali».

Esistono alternative sostenibili agli inceneritori e alle discariche e – evidenzia Favoino – «la necessità è quella di sistemi in grado di dare una risposta sollecita agli obblighi di pretrattamento, tenendo dunque conto degli attuali volumi di rifiuto residuo dalle raccolte differenziate senza che però tali opzioni vadano a condizionare lo sviluppo progressivo dei programmi di raccolta differenziata e di riduzione. Per questo tanti territori, in Italia ed in Europa, stanno ora programmando nella direzione degli impianti di trattamento “a freddo” con recupero di materia dal rifiuto. Si tratta di impianti che, combinando sistemi di selezione e di stabilizzazione biologica, possono essere agevolmente e progressivamente convertiti in impianti di trattamento dell’organico pulito (per farne compost) e dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata (per valorizzarli sul mercato delle materie di recupero).

La precondizione è una buona raccolta dell’organico, in grado di rendere il rifiuto residuo meno “sporco” e più lavorabile, ma questo è proprio quello che riusciamo ad avere con i modelli italiani di raccolta differenziata dell’organico, che si sono ormai ampiamente dimostrati i più efficienti, tanto da essere stati esportati in vari altri Paesi della UE e non solo.

La principale critica che in genere viene mossa a tali sistemi è di “non riuscire ad evitare la discarica”. Ma è una critica che difetta di analisi, perché anzitutto anche l’incenerimento ha bisogno di discariche (anzi, due tipologie di discarica: per le ceneri volanti e per le scorie); inoltre, abbiamo evidenze, di cui il nostro territorio è ormai ricchissimo, di distretti anche vasti che arrivano alla minimizzazione del rifiuto avviato a discarica grazie a quanto avviene a monte: l’ottimizzazione continua della raccolta differenziata, i programmi di riduzione, l’introduzione dei sistemi di tariffazione puntuale, ecc. E questo chiede quella “flessibilità” di sistema che viene messa a repentaglio dalla necessità di alimentare un inceneritore».

Il sistema degli inceneritori, vincolando i territori alla produzione di rifiuti dimostra tutta la sua rigidità ed è questo il vero problema per lo scienziato.

«La crescita delle raccolte differenziate, l’adozione di pratiche di riduzione, tutte cose messe a fondamento delle strategie evolutive ambientali, ma anche economiche, della UE, tendono a fare minimizzare il rifiuto residuo. L’incenerimento, proprio per le ingenti risorse finanziarie necessarie, richiede garanzie di qualche tipo sulla sua utilizzazione secondo i dati “di targa”. Dove tali garanzie vengono meno, si è nell’area del rischio finanziario, per i costruttori privati (sono state clamorose le difficoltà in tale senso di un grosso operatore del mercato dell’energia in Germania, il cui ramo di attività ambientali non era appetibile ai potenziali acquirenti perché includeva diversi inceneritori, la cui profittabilità ed ammortamento era messa a rischio dalla contrazione progressiva dei rifiuti inceneribili) o per le amministrazioni pubbliche. Per queste, le scelte non sono tante: rallentare i programmi di espansione della raccolta differenziata, il che contravviene in modo clamoroso alle indicazioni strategiche nazionali e comunitarie, oppure incorrere in penali nei casi, frequenti, di contratti “vuoto per pieno”, che costringono a conferire all’incenerimento tonnellaggi prefissati onde garantire il ritorno dell’investimento iniziale. E anche qui ci sono stati casi clamorosi, come i Comuni della Versilia a cui viene chiesto di pagare diverse decine di milioni di Euro di penali semplicemente perché, onde rispettare gli obblighi di legge sulla raccolta differenziata, avevano introdotto la raccolta domiciliare, ma con ciò stesso erano venuti meno agli obblighi del contratto “vuoto per pieno”».

In Europa gli inceneritori e discariche diventano sempre più obsoleti e non riceveranno più finanziamenti comunitari, questo perché secondo Favoino «A livello UE, c’è stata una riflessione sul fatto che tali finanziamenti comportano un sovvertimento di fatto delle priorità di azione sulla gestione dei rifiuti.

Peraltro, l’abolizione di qualunque finanziamento ad inceneritori e discariche è stato chiesto esplicitamente negli ultimi pronunciamenti dell’Europarlamento, quelli mediante i quali si è inteso “dettare l’agenda” e la strategia alla Commissione, che sta ora lavorando alla finalizzazione del pacchetto sulla Economia Circolare.

Il venire meno di tali finanziamenti in conto capitale, ma anche il parallelo restringimento delle provviste finanziarie per i sussidi alla produzione energetica da incenerimento (un altro fattore distorsivo che ha ampiamente influenzato il settore in Italia negli ultimi decenni) comporta di per sé un aumento delle tariffe da praticare per i conferimenti, dell’ordine di diverse decine di Euro/t.»

E se è vero – conclude infine il ricercatore – che in alcuni paesi europei si bruciano più rifiuti che in Italia, «è anche vero che ora c’è una ampia riflessione su tale situazione. Perché la Danimarca, che può certo essere considerata un modello per le politiche di sostenibilità nei trasporti e nella produzione energetica, non lo è altrettanto – contrariamente alla vulgata - nella gestione dei rifiuti. Il loro ampio ricorso all’incenerimento confligge infatti già con gli obiettivi attuali di recupero materia stabiliti dalla UE, ed a maggior ragione con quelli futuri. Tanto che la UE dovette adottare una formulazione “rilassata” degli obblighi di raccolta differenziata, in modo da tenere conto della situazione danese, ove sino ad oggi c’è da registrare la pressoché totale assenza, ad esempio, della raccolta differenziata dello scarto alimentare… E tanto che lo stesso Governo danese ha adottato, l’anno scorso, la strategia nazionale di gestione delle risorse con lo slogan (riportato addirittura nella copertina) “incenerire di meno, riciclare di più”, per riallineare il Paese alle indicazioni provenienti dal dibattito in UE e dal quadro geopolitico internazionale, che costringe positivamente a passare al modello di economia circolare.

Ecco, è paradossale che, proprio mentre altrove tabellano una “exit strategy” progressiva dall’incenerimento, in Italia si pensi a realizzarne altri, inserendo una ulteriore rigidità e contraddizione in un Paese che ha invece bisogno di indicazioni chiare ed univoche: pigiamo sull’acceleratore della raccolta differenziata e della riduzione, manteniamo flessibilità nei sistemi di trattamento del rifiuto residuo, e portiamo a sistema quegli esempi virtuosi che portano tanti Comuni e Città italiane, al Nord come al Sud, ad avere già i record di minimizzazione dei rifiuti residui. Sono sistemi che stanno ispirando emulazione in tutto il mondo, e sarebbe il caso di promuoverli ed esportarli, anziché importare dall’estero tecnologie in corso di superamento. Se lo fanno già tanti territori, lo possono fare, bene e subito, anche i territori accanto. Ma hanno bisogno di “guidance”, di capacità di indirizzo, e dei sostegni finanziari iniziali che verrebbero invece assorbiti, nelle ipotesi prefigurate dallo schema di Decreto, dalla realizzazione di una dozzina di nuovi inceneritori. Ecco, non è il caso che ciò succeda».

 

Foto: Wikipedia

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