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(In)ter(per)culturando: Fino a quando di Paola Vuolo

Paola Vuolo sceglie una prima persona, per il suo esordio narrativo, Fino a quando (SenzaPatria editore, collana opera prima) in uscita in questo periodo.
Abbozza uno scenario vago, in un presente contemporaneo al lettore poi riavvolge il nastro.
E il passato scorre tra le pagine
 
Colvisio sul Seveso non era sempre avvolta dalla nebbia, però è così che io la ricordo. L’anno era il 1975. Il tempo è quello della mia infanzia. Ora tutto è finito. Ma non dimenticherò mai nessuna delle persone di allora anche se i nomi, i volti, le voci, diventano ogni giorno un po’ più lontani.
(incipit prima del capitolo 1)
 
Poche righe a introdurre questo romanzo breve, centodieci pagine (prezzo di copertina: euro dodici) divise in capitoli a loro volta scanditi da periodare brevi, che corrono e scorrono sul palato di chi legge.
La voce recupera gradualmente i fili di memorie che s’illuminano mentre vengono recuperate, piano piano la nebbia di Colvisio sul Seveso si fa più rada, la si può penetrare.
Il narratore racconta del suo quotidiano, della sua famiglia tra fratelli e sorelle, della scuola e gli amici, le vacanze e i cambiamenti. Il narratore osserva e registra. È un’osservazione lenta, un registrare fatto di dettagli e virate, tra immagini, volti, dialoghi e scene singole a sbavare l’insieme.
 
Giovedì polpettone. A me piaceva. Mi divertivo a schiacciare con la forchetta la carne morbida nel piatto, la ingoiavo senza masticare. Era un gusto caldo. Mamma diceva di masticare bene altrimenti non avrei digerito. Ma io non ci pensavo nemmeno, era una perdita di tempo. Una volta ingoiai un boccone tanto grosso che per poco non mi stozzai. Capii che stavo male, mi girava la testa, andai di corsa in giardino. Pezzi di patatine fritte. Li vomitai affacciato al muretto di cinta che separava il nostro giardino da quello dei signori Levi.
(pag.16-17)
 
È una scrittura ancorata all’immediatezza trasparente dell’infanzia, del narratore il lettore scopre il nome dopo un po’, da un dialogo: Gennarino. E sempre dopo un po’ scopre quanto questo narratore abbia voglia di raccontare del mondo che ha sfiorato, dei posti, la gente, i legami, le piccole cose per lui importanti, importanti per un bambino che ha la curiosità dei nove anni, la curiosità per le cose semplici che quasi mai lo sono, semplici.
 
Basta un evento, l’annuncio che Adele, una delle sorelle di Gennarino, è incinta; basta a cambiare ogni equilibrio, a sfaldare i legami d’un famiglia che si sgretola davanti agli occhi d’un bambino che fatica a spiegarsi ciò che vede. Gennarino non smette di registrare, ogni nuovo personaggio entra, partecipa a discorsi, aggiunge alla tavolozza del bambino nuove cromature, non sempre nitide ma comunque distinguibili.
 
Una narrazione pregna di scene incastrate, di dialoghi a contestualizzare pensieri, logiche e dinamiche. Col candore dell’infanzia e la disillusione di chi alcuni strati sotterranei li percepisce, pur non capendoli del tutto.
 
Un esordio meritevole d’attenzione, quasi delicato (quasi perché a mio avviso la consapevolezza dell'adulto resta ancorata al flusso narrativo, alla direzione generale che srotola memorie e voci) giocato sulle comprensioni incomprensibili d’un protagonista che guarda al mondo dei grandi con curiosità e apprensione, fin troppo attento ai dettagli. Non riconoscere l’odore del proprio padre è molto più d’un dettaglio, però.
 
 
 
Link
La scheda del libro dove è possibile leggere on line il primo capitolo.
Il sito dell’editore.

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