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(In)ter(per)culturando: Caio Fernando Abreu attraverso gli occhi del traduttore Bruno Persico - parte I


- Tu não avisou que vinha - ela resmungou no seu velho jeito azedo, que antigamente ele não compreendia. Mas agora, tantos anos depois, aprendera a traduzir como que-saudade, seja-benvindo, que-bom-ver-você ou qualquer coisa assim. Mais carinhosa, embora inábil.
Abraçou-a, desajeitado. Não era um hábito, contatos, afagos. Afundou tonto, rápido, naquele cheiro conhecido - cigarro, cebola, cachorro, sabonete, creme de beleza e carne velha, sozinha há anos. Segurando-o pelas duas orelhas, como de costume, ela o beijou na testa. Depois foi puxando-o pela mão, para dentro.
- A senhora não tem telefone - explicou. - Resolvi fazer uma surpresa.
Acendendo luzes, certa ânsia, ela o puxava cada vez mais para dentro. Mal podia rever a escada, a estante, a cristaleira, os porta-retratos empoeirados. A cadela se enrolou nas pernas dele, ganindo baixinho.
- Sai, Linda - ela gritou, ameaçando um pontapé. A cadela pulou de lado, ela riu. - Só ameaço, ela respeita. Coitada, quase cega. Uma inútil, sarnenta. Só sabe dormir, comer e cagar, esperando a morte.

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- Non mi hai detto che venivi - farfugliò con quel suo tono aspro a lui familiare, che un tempo non capiva. Ma che ora, dopo tanti anni, aveva imparato a interpretare come un quanto-mi-sei-mancato, dài-entra, che-bello-rivederti, o qualcosa di simile. Più affettuosa, anche se un po’; goffa.
Lui l'abbracciò, impacciato. Non era consueto per loro, quel contatto, quelle carezze. Sprofondò intontito, rapido, in quell'odore conosciuto - sigaretta, cipolla, cane, sapone, crema di bellezza, carne vecchia, e tanti anni di solitudine. Afferrandogli le orecchie, come usava fare, lo baciò sulla fronte. Poi prese a tirarlo con la mano verso l'interno.
- Ma come facevo ad avvisarti se non hai un telefono - rispose. - Ho deciso di farti una sorpresa.
Mentre accendeva luci, una certa ansia, lo tirava sempre di più verso l'interno. A mala pena riuscì a distinguere la scala, la libreria, la cristalliera, i portafotografie impolverati che non vedeva da tempo. La cagnetta che gli si attorcigliò intorno alle gambe, con un guaire sommesso.
- Via, Linda - lei gridò minacciando di darle un calcio. La cagnetta si tirò in disparte, e lei rise. - Basta una minaccia e obbedisce. Povera, è quasi cieca. Un essere inutile, rognoso. Sa solo dormire, mangiare e cagare, aspettando la morte.

(Traduzione del professor Bruno Persico - racconto 'Linda, una storia orribile' in Italia pubblicato da Quarup in 'I draghi non conoscono il paradiso').
 
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I draghi non conoscono il paradiso è stato pubblicato da Quarup nel 2008.
Caio Fernando Abreu nacque nel 1948 a Santiago e morì nel 1996 dopo che nel’94 gli fu diagnosticato l’Aids. In Italia la produzione di Abreu, comunque ampia nonostante la prematura scomparsa, è fin ora limitata alla traduzione e pubblicazione del romanzo ‘Dov’è finita Dulce Veiga?’ del 1993, la raccolta di racconti ‘Molto lontano da Marienbad’ del 1995 (entrambi per l’editore Zanzibar) e ‘I draghi non conoscono il paradiso’ – per l’appunto – del 2008.
 
Il traduttore degli ultimi due libri di Abreu, Bruno Persico, laureato in Lingue e Letterature Straniere, vive a Bologna dove svolge numerose attività culturali e linguistiche (ha fondato, per citarne una, il CeLuBra, Centro di Cultura Luso-Brasiliana). Lascio proprio al professor Persico, alla sua voce, alcune osservazioni sulla scrittura di Caio Fernando Abreu ma anche su alcuni aspetti del traduttore e del mestiere di traduttore.
 
Prima, alcune brevi annotazioni.
 
È possibile leggere Abreu, sempre tradotto dal professor Persico, sulla rivista quadrimestrale di Mobydick, Tratti. Nel volume di Febbraio 2011, infatti, è presente un racconto, Alla partenza di un capelvenere. Ma è anche possibile rintracciarlo nel web, un’ottima occasione per leggere una scheggia della produzione di Abreu.
 
Il libro pubblicato da Quarup è un oggetto dalla veste semplice, ricco di mondi, contesti, storie, lingue, salti tra generi e spennellate sociali. Prezzo ragionevole (poco meno di tredici euro, 176 pagine senza intermezzi riempitivi, le storie sono proposte una dietro l’altra), attualmente però non è di facile reperibilità. Segnalo la recensione di Alfredo Ronci del 23 gennio 2009, su Lankelot, dove si ragiona in profondità su questo libro quanto sulla scrittura e la vita di Abreu.
 
La lingua di Abreu mi ha colpito dal primo racconto. Ho poi scoperto che varia, questa lingua, non in modo macroscopico – evidentemente – ma con abile capacità di plasmare ritmi, pause, scelte linguistiche con ciò che Abreu vuole raccontare, soprattutto con la modalità narrativa (più o meno realistica, più o meno surreale, fantasiosa o simbolica)
 
Abreu sperimenta, miscela tecniche, approcci. In alcuni racconti si entra in brevi frame a spiegare vite intere. In altri prende forma il monologo d’un personaggio-narratore. Ancora, Abreu prende per mano il lettore in un viaggio a seguire solo alcuni personaggi, a sottolinearne alcuni momenti storici individuali, dialoghi, silenzi.
 
L’amore è se non proprio ‘il’ nodo centrale, è una delle radici più solide. L’amore tutto, assottigliato in ogni possibile contesto, circostanza, registrazione e individualità. Quello ammesso quanto quello negato, quello vissuto e quello atteso, quello perso e quello cercato, quello conosciuto e quello immaginato. Amore come elemento sacro e indivisibile dalla stessa essenza dell’umano.
 
Ci sono poi altre tematiche, che ritornano in ‘I draghi non conoscono il paradiso’, tematiche estremamente care all’autore, si avverte leggendo una cura, un’affezione per diretta conoscenza, rispetto ad esempio alla condizione di ‘malattia’ quanto al vivere tra sregolatezze o miserie ma anche la grande confusione di essere, vivere, rapportarsi a ciò che sta fuori, fuori sé, fuori i propri piccoli spazi guadagnati. In alcuni racconti le tematiche diventano decisamente pressanti, ossessive, leitmotiv insistenti che rischiano di scatenare nel lettore indigestione.
 
La grande capacità che ha quest’autore di svelare gradualmente mondi ingrandendo la lente narrativa (e svelandoli, questi mondi, li inspessisce tra dettagli, gesti, sensorialità quanto espressioni del volto) in alcuni racconti lascia senza parole, per abilità, uso artigianale di termini, suoni, evocazioni, strati. È dunque importante il lavoro del traduttore, quanto meno per chi legge Abreu in italiano.
 
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‘I draghi non conoscono il paradiso’ può essere considerato una raccolta di racconti, sebbene l’autore stesso introducendo il libro suggerisce: “Ma se vuole, il lettore può anche considerare questo libro come una specie di romanzo mobile. Un romanzo smontabile i cui 13 pezzi possono completarsi, illuminarsi, ampliarsi…”. E in effetti ci sono diversi leitmotiv che ritornano, elementi che legano le storie tra loro con ossessioni, tematiche e intrecci.
Nella Sua esperienza di traduttore, è complessivamente più impegnativo tradurre un romanzo (anche breve) o una raccolta di racconti?
 
Non ho mai tradotto un romanzo vero e proprio, ma immagino che il processo traduttivo di un romanzo sia più lineare per la maggior coesione linguistica di un testo a più ampio respiro. Nel caso di Abreu, e in particolar modo nella raccolta “I draghi”, pur nell’unitarietà del progetto letterario, ciascun racconto si distingue dall’altro per genere e linguaggio: al monologo interiore, ad esempio, subentra il monologo drammatico, al testo narrativo autorale si avvicenda quello scritto in forma quasi epistolare. Non di rado inoltre Abreu alterna diversi registri e moduli narrativi all’interno dello stesso testo, aumentandone la complessità ma anche movimentando il ritmo a beneficio della narrazione. Tutto ciò richiede da parte del traduttore un costante atteggiamento di ascolto e decodifica della voce dell’autore (e dei suoi personaggi) che è in continua modulazione e che va quindi resa in modo tale da rispettare e riprodurre nel testo di arrivo questa complessità.
 
 
[Prossimamente il seguito dell'intervista].
 
 
Ringrazio Bruno Persico per la disponibilità e per aver reso possibile la pubblicazione qui di uno stralcio tratto dal racconto 'Linda, una storia orribile' nella versione originale di Abreu, seguito dalla traduzione dello stesso professor Persico. Grazie.

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