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(In)ter(per)culturando: ’Andando a capo, ogni tanto’ di Guido Leotta e zone limitrofe

‘Andando a capo, ogni tanto’ di Guido Leotta (Mobydick, collana ‘Lenuvole’, Aprile 2011) è un piccolo libro, 56 pagine aperte, dove le parole respirano, hanno lo spazio e il ritmo per farlo assieme al lettore.
 
Si tratta di una raccolta poetica divisa in quattro sezioni tematiche, componimenti anche molto diversi tra loro ma tutti caratterizzati da una lingua che mescola sonorità ed espressività vicine al parlato, in una miscela immediata, semplice quel tanto che basta a permettere comprensioni suggerendo ulteriori gusti nel fondo.
 
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SUI TRENI DEL MATTINO, PRIMA
 
di andare in scena, ci trovi chi ripassa
in fretta la sua parte, altri a darsi una mano
di bianco sulle gote, e qualcuno talmente
concentrato che pare stia dormendo.
[…]
In mezzo stanno saggi scalcinati,
approssimate prove, andirivieni ciechi
che attendono occasioni: “Eh no, ma
questa volta poi, perbacco…”. Nessuno
che fa troppo caso a chi ha sbagliato
il tempo della sua battuta, e si è precipitato
giù nel posto giusto ma al momento errato.
(pag. 40, sezione ‘Il timoniere non c’è’)
_____
 
I versi si spezzano e si sfilacciano cadenzando il respiro tra frasi e immagini, suoni e pensieri. Leotta non cerca virtuosismi, non è nell’uso controllato e linguisticamente ricercato che concentra sforzi ed energie. Piuttosto sono i contesti, questo mescolare sentimenti differenti, fotogrammi d’un quotidiano comune, perfino banale nella sua nuda semplicità.
 
_____
COME HO FATTO A SCOVARTI?
 
Forse seguendo un canto,
la traccia di una nota controluce:
nell’aria la tua eco d’acquila
che fende valli taciturne
sotto il ghiaccio di picchi
acuminati. Silenzio bianco,
involucro prezioso di riservatezza,
ma solo perché sai che puoi
spezzarlo con un avverbio soffice,
[…]
(pag. 27, sezione ‘Acrobati della malinconia’)
_____
 
Si avvertono tra le pagine, sapori, colori e atmosfere che incedono, insistono. Leotta sembra avvertire l’insistente necessità di recuperare dettagli, qualunque tipo di dettaglio affettivo, visivo, sonoro e percettivo in inquadrature che impongono un ritmo preciso, respiri consapevoli di seguire un tempo che ciclicamente rallenta.
 
È una flusso denso, questo libro, a tratti duramente consapevole ma anche empatico, fotografa interni ed esterni, s’insinua tra fatiche e amori, cerca sguardi, li incatena questi sguardi, tenta di coinvolgerli in un viaggio breve costantemente interrotto da fermate anche nei luoghi più piccoli e sperduti dell’animo umano.
 
Eppure resiste un alone di speranza, un gusto mai troppo amaro, mai troppo acido o indigesto. Leotta scrive dell “incrollabile fiducia nella capacità dell’uomo di darsi e dare amore” come scrive Massimo Montevecchi nella prefazione, un aroma prezioso in tempi di grandi apocalissi, ossessioni verso il dolore e il male altrui nonché in un tempo cieco e chiuso.
 
______
COSA VOLETE CHE VI DICA, CARI,
 
giunti a quel punto, per ciò
che mi riguarda, siate tranquilli
e fate come più vi aggrada. Quindi
se il prete vi pare confortevole
prendetelo a noleggio, se invece
preferite un trombettista: meglio.
Da parte, per evitare di restare
al palo nell’attesa (dimentico e
dimenticato, forse ridotto a tremante
gelatina), prendo la palla al balzo,
ora, e suggerisco finché ho fiato,
e fervida memoria in abbondanza:
stringetevi più forte a quanti amate,
[…]
(pag.51, sezione ‘Umori & Spiriti’)
_____
 
Guido Leotta, nato a Faenza nel 1957, ha pubblicato racconti, monologhi, storie per ragazzi, romanzi (segnalo in particolare quelli scritti a quattro mani con Franco Foschi ‘Senza via d’uscita’, Mobydick 2010, e 'Il tempo è un cerchio infinito e paziente', Perdisa Editore 2007, ma anche con Giampiero RigosiPiano Delta’, Mobydick 2009, già spettacolo teatrale), liriche. Pubblicato su riviste ed antologie italiane e straniere. Editore.
 
Mobydick è una piccola casa editrice di Faenza, nasce come cooperativa culturale ed editoriale nel 1985, si distingue da subito per le collane di narrativa, poesia e classici (segnalo la preziosa pubblicazione di ' L'enigma e le maschere' di Ferdinando Pessoa del 2003 che ho molto amato). Numerosi autori che hanno oggi percorsi letterari noti sono stati pubblicati da Mobydick quand'erano ancora talenti da conoscere come Lucarelli, Baldini, Tassinari, Fois, Rigosi, Varesi. Ma Mobydick è anche produzioni miscelative tra parole e musica come nella collana 'Carta da musica' ma anche pubblicazioni di progetti coraggiosi come 'FramMenti (storie di un fortino di periferia)' una trattazione saggistica di Barbara Garlaschelli edita nel 2006 (alcune brevi considerazioni su AgoraVox del 7 gennaio 2010).
 
Mobydick fa parte di quell'editoria attenta, che cerca e va cercata, inevitabilmente coinvolta nelle dinamiche fagocitanti della grande distribuzione la quale impone ritmi veloci, continui ricambi e poco spazio per gli editori medio piccoli che non si piegano a talune dinamiche. Ma è anche una casa editrice consapevole, che non cede alle facili lusinghe del marketing luccicante, preferisce lavorare sui diversi linguaggi, su voci e progetti che hanno qualcosa da dire e lasciare.
 
Rivolgo alcune domande a Guido Leotta:
 
Il titolo, “Andando a capo, ogni tanto”, evoca una precisa necessità di ‘frenare’. Da un punto di vista grammaticale, andare a capo impone di staccare i pensieri in modo netto, di riprendere fiato. Tutte necessità che si avvertono, aleggiano, nel libro, tra sezioni e singoli componimenti. Scrivendo, avevi la necessità di recuperare periodiche pause? Pensi sia un’esigenza generale, o dovrebbe esserci questa necessità di rallentare? In una routine che ormai anche in Italia è dominata da frenesie e cose rapide, dall’azzeramento di pause e ‘spazi bianchi’?
 
GL: L’esigenza, a volte confusa e contraddittoria, la mia personale, è quella di frenare un poco. Poi, magari, è un suggerimento che mi piacerebbe estendere anche ad altri, altrove. Ma l’esigenza parte da me, quando a volte mi perdo e mi distraggo nel gran vociare e nel gran correre. Col rischio di smarrire i margini delle cose più importanti.
 
I componimenti sono divisi in quattro gruppi che sono vere e proprie sezioni tematiche: Acque & vini, Acrobati della malinconia, Il timoniere non c’è, Umori & Spiriti. Me le racconta?
 
GL: Niente di particolarmente progettuale. Mano a mano che i testi “saltavano fuori” mi veniva abbastanza naturale infilarli in un “cassetto”. Acque & vini cerca di raccontare il fluire delle cose (o il loro ristagnare …); Acrobati della malinconia gioca con questo sentimento, magari scherzandoci un po’ su (ma a volte neanche troppo); Il timoniere non c’è raccoglie testi più smarginati, che toccano argomenti per me meno usuali, e magari lo fanno con modalità di scrittura vagamente “altre”. Umori & spiriti chiude il cerchio aperto con Acque & vini, e magari si parla un po’ anche di faccende di più ampio respiro. Ci ho provato, per lo meno.
 
In una recente presentazione bolognese ha individuato una sorta di ‘spartiacque editoriale’ nel periodo a cavallo tra la pubblicazione de “Il pendolo di Foucault” di Umberto Eco (prima edizione per Bompiani del 1988) e “Insciallah” di Oriana Fallaci (prima edizione per Rizzoli del 1990); uno spartiacque editoriale che inevitabilmente ha anche segnato le produzioni letterarie in Italia. In che senso? Cos’è successo al prodotto editoriale, secondo lei, negli ultimi vent’anni? Il periodo de “Il pendolo di Foucault” e di “Insciallah” è un punto di non ritorno?
 
GL: Semplicemente: fino alla fine degli anni Ottanta – a me pare – era ben forte un sentimento ormai desueto (e collegato con tutti gli aspetti dello scrivere): si “aspettava” con una certa ansia il nuovo libro del nostro eroe letterario, magari dopo una attesa durata anni, lo si leggeva avidamente, se ne parlava con gli amici, si aspettava LA presentazione … Oggi, mentre trionfano le “presentazioni da condominio” - come molto affettuosamente chiamo il profluvio di incontri con autori a volte di nessuno spessore, di nessuna esperienza, di nessuna progettualità, che però hanno un certo numero di amici e parenti che garantiscono un tot copie vendute nella libreria sotto casa - l’autore è spesso una macchina inserita in una macchina (quella editoriale) che non ha quasi più direttori di collana motivati, editor rigorosi, correttori di bozze attenti. D’altra parte anche le librerie vedono falciati i loro dipendenti (e con loro, la professionalità, la passione …), e tutto questo perché i conti devono quadrare. Anzi: e questo perché gli azionisti ricevano il loro dividendo a fine anno. Un amico scrittore di romanzi noir dice sempre che lo scrivere (quello “fisico”) è diventato la parte meno impegnativa del suo tempo: bisogna essere nel posto giusto al momento giusto per coltivare i giusti contatti, etc. La mia idea di scrittura è sicuramente “retrò”, e quindi chiudo qui il sermone per evitare toni biblici che annoierebbero, e basta!
 
C’è un’innegabile connubio in lei tra letteratura e musica, rintracciabile in molti progetti che ha curato come la collana “Carta da Musica” per Mobydick che propone l’ormai c.d. ‘libro cd’ (e che nel 2010 ha festeggiato vent’anni di attività) ma anche nelle sue attività di musicista nel quintetto jazz Faxtet dove suona sax e flauto. Come concilia queste due passioni? C’è qualcosa che riesce a dire solo con la musica, piuttosto che con le parole?
 
GL: Come mi capita di ripetere: con ogni brano musicale mi piacerebbe raccontare una storia, mentre vorrei che le mie storie (poetiche o narrative) “suonassero” come musica. Un’ambizione mica piccola, che qualche rara volta riesce, ed è un momento magico di equilibrio tra due grandi amori che non ho mai saputo mettere in classifica tra loro.
 
 
Ringrazio Guido Leotta.
 

Link
La scheda del libro dal sito dell’editore.
 
 
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Nella fotografia: Guido Leotta alla presentazione presso la libreria Irnerio a Bologna il 02-04-2011.

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