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 Home page > Tribuna Libera > In morte di fratello immigrato

In morte di fratello immigrato

Non starò qui a celebrare le veglie funebri delle vittime dei barconi; non mi interessa. Vorrei invece dissertare su cosa è giusto e cosa non lo è (posto che qualcuno ancora se ne interessi..).

Le società occidentali si stanno polarizzando molto velocemente, creando molti nuovi ricchi, e milioni di nuovi poveri. L'uomo della strada avverte una strana sensazione di disagio, insicurezza, ed un senso del futuro incombente ostile come forse mai dal Dopoguerra. Percepisce sommariamente che qualcuno lo sta fregando, ma la moltiplicazione dei falsi indizi, ed il bombardamento di notizie contenenti il nulla assoluto lo distolgono, lo fiaccano, riducendolo sempre più a mero consumatore inconsapevole.

La classe politica, svuotata di potere, è sempre più vassalla di multinazionali, finanziare e non, che riescono a sottrarsi legalmente alle imposte, ed ad esercitare un controllo che viola le leggi della concorrenza e del liberismo, alle quali invece ricorrono per padroneggiare il mondo del lavoro. Posto che per attuare queste dinamiche si sta ricorrendo ad un "sistema truffa", quali sarebbero i limiti di una sana competizione?

In altre parole, anche se esistesse la sola meritocrazia, sarebbe accettabile che un solo uomo, o poche decine, fossero "proprietari del mondo", anche avendolo meritato per intelligenza, laboriosità, spirito di sacrificio?

Chiaro che la sola ipotesi confligga con quella che ognuno possa ritenere essere la condizione di dignitaà umana. L'idea stessa ci ripugna, ci indigna, ci fa nascere un moto spontaneo contro quella che subito si illumina come ingiustizia palese, evidente, inaccettabile. Lo stesso sentimento che proviamo verso chi ci vuole privare dei diritti sociali, della possibilità di lavorare in condizioni sostenibili, contro chi si approfitta di una posizione di superiorità per imporci regole vessatorie e opprimenti. Bene.

Questo sentimento può avere dignità di esistenza solo se applicato universalmente, e non piegato alle logiche dei nostri bisogni e problemi contingenti. Abbiamo goduto per decenni di condizioni economiche invidiabili, delegando quello che succedeva nel resto del mondo a episodio lontano. Abbiamo lasciato paesi nel baratro della fame, della violenza, delle sofferenze più atroci.

Dove era il nostro senso di giustizia allora? Dove è adesso? Se noi cittadini dell'occidente lo avessimo coltivato, diffuso, imposto, ora sarebbe molto più difficile strapparci, poco a poco, i nostri diritti, le nostre conquiste di uguaglianza. E, nonostante la crisi, questa è l'unica via maestra che può portare ad un cambiamento in senso positivo. Come pensiamo di fermare i ladri, quando noi stessi abbiamo saccheggiato il pianeta col nostro stile di vita per primi? Con quale coraggio protestiamo contro la troika, quando lasciamo che gente muoia miseramente per cercare di raggiungerci accontentadosi dei nostri avanzi, dei lavori che non vogliamo, di vite ai margini che non possiamo neppure immaginare?

Se non sapremo comprendere questo, non potremo cambiare i processi in atto. Siamo tutti cittadini del mondo, e siamo tutti sullo stesso barcone...

 

 

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