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In guerra per amore, Pif tra Monicelli e Benigni

Ok, ho sparato un titolo un po’ pretenzioso, però mettetevi comodi che vi spiego perché secondo me Pierfrancesco Diliberto rischia di diventare il miglior regista italiano di questi anni. Qualcuno ricorderà che ero rimasto già folgorato da La Mafia uccide solo d’estate, che non era tecnicamente un gran film ma era senza dubbio potente ed estremamente coraggioso. Ora con In guerra per amore Diliberto raddoppia. Nel senso che decide (colpa della produzione, dice lui) di fare un film importannte e, ohibò, ci riesce in pieno.

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Arturo e Flora (si, si chiamano di nuovo così) si amano, siamo in America nel 1943 e loro sono siciliani. Solo che Flora è promessa sposa al figlio di un boss mafioso e l’unico modo per far cambiare idea allo zio, con cui vive, è andare a chiedere la mano direttamente al padre di Flora, che però vive in un paesino in Sicilia, dove, guarda un po’, siamo in piena Seconda Guerra Mondiale.

Così Arturo si arruola ed entra nel contingente che prepara lo sbarco in Sicilia per liberare l’Europa dal nazi-fascismo.

Questa la storia privata che serve a Diliberto per raccontarci il vero fulcro della sua storia. Vale a dire come gli americani si accordarono con Lucky Luciano per avere appoggi dalle famiglie mafiose siciliane e riuscire ad entrare nel modo più semplice possibile in Sicilia e in Italia.

Occhio perchè non è storia inventata. Diliberto ha preparato il film con studi approfonditi e prende spunto da un rapporto scritto dal generale Patton al presidente Roosvelt in cui Patton dice che per entrare in Sicilia gli americani hanno fatto accordi con i mafiosi, e che nel momento in cui gli Usa lasceranno l’isola le famiglie mafiose prenderanno il potere in maniera totale. Saranno anzi proprio gli americani a concedere ai mafiosi ruoli di primo piano nell’amministrazone dell’isola (e poi della penisola, leggi: Democrazia Cristiana).


La storia quindi, ancora una volta, è una storia tosta. Una storia di Mafia (meglio ancora è il racconto di come la Mafia – quasi sconfitta – è tornata al potere), una stroia di guerra. Una storia profondamente attuale, perchè è impossibile non vederci lo stesso modus operandi utilizzato dagli Usa nelle guerra successive, fino a quelle dei nostri giorni.

Poi però c’è il tocco di Pif, ed è un tocco delicato, ironico, da commedia vera. Nel corso del film si ride, ma si ride davvero, in maniera pulita. Abbiamo il personaggio di Arturo (non a caso secondo me l’auore sceglie di comparire come Diliberto alla voce regia e sceneggiatura e come Pif alla voce attore), che è già quasi una maschera. Ingenuo, per capire cosa gli capita attorno (proprio come nel primo film) ci deve sbattere il muso contro… anzi se qualcuno glielo dice esplicitamente è ancora meglio. Delicato, sognatore, decisamente e definitivamente un buono. Lui si imbarca in un’avventura enorme solo per amore.

E ci sono anche una serie di personaggi secondari. Quello consapevole, il tenente interpretato da Andrea Di Stefano, i mafiosi, che vengono sempre ritratti in maniera grottesca ed esagerata, quasi a disprezzarli. E ancora piccole fgure che servono a puntellare il film e gli danno forza. Il gatto e la volpe (Sergio Vespertino e Maurizio Bologna) sono assolutamente straordinari ed indimenticabili.


E ancora c’è un film che è molto più strutturato del primo, molto più film. Funziona meglio sotto tutti i punti di vista. E’ anche evidente che lo sforzo economico è stato maggiore. C’è una grande attenzione alle luci, ai colori. Ci sono una serie di omaggi e di curiosità, di scene da vera e propria commedia all’italiana (magnifica la corsa tra le statue del Duce e della Madonna). Affascinante la riproposizione di una delle foto simbolo dello sbarco americano in Sicilia.

Insomma si ride alla grande su temi duri e importanti, per altro su un episodio pochissimo raccontato al cinema. Ditemi se non siamo tra Monicelli e Benigni.

Quello che più mi rende felice è che Pierfrancesco Diliberto ha ancora notevoli margini di miglioramento e potrà negli anni regalarci film ancora migliori. Me lo auguro e glielo auguro col cuore.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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