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In arte Nino: prossimamente la fiction sul grande Nino Manfredi

Il 29 giugno del 2004 veniva a mancare uno dei più grandi del nostro cinema: Nino Manfredi che, grazie alla sua ironia e distintiva forza vitale, ha conquistato milioni di spettatori. A lui sarà dedicata la fiction “In arte Nino”, che approderà a breve su Rai1.

È un bel tributo, segno di una profonda riconoscenza a uno dei personaggi più popolari, come Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.

A interpretarlo ci pensa l’attore Elio Germano che, insieme al figlio Luca, autore della sceneggiatura, proveranno a ripercorrere la straordinaria carriera di Nino.

Nel cast, Miriam Leone, nei panni della moglie Erminia Ferrari.

Prodotto da Compagnia Leone Cinematografica, la serie narra gli esordi di Nino, dal 1939 al 1959. Il film si apre con il protagonista confinato in ospedale che, ammalato di tubercolosi, riesce a intrattenere i pazienti, strimpellando, anche nei momenti più drammatici, una canzone alla chitarra.

Da lì, l’iscrizione forzata, per volere del padre, alla facoltà di Giurisprudenza e la scoperta, quasi causale, del cinema, che lo porterà a iscriversi all’Accademia di arte drammatica Silvio D’Amico. E parte l’ascesa verso un mondo fatto di successo e popolarità.

Per calarsi nei panni del personaggio, Elio Germano, grande esperto e ammiratore dell’attore, trasforma la sua voce, cimentandosi con estrema padronanza nel dialetto ciociaro e nella postura.

«Gli attori una volta erano un po’ come i calciatori oggi. Il cinema era una cosa molto diffusa e, per un periodo storico, siamo stati la prima cinematografia nel mondo», afferma l’attore.

«Questi grandi artisti erano percepiti dal pubblico quasi come delle persone di casa, perché erano uno specchio della nostra società. Quello era un cinema che aveva come obiettivo raccontare il nostro paese, non si era per forza ossessionati dall’incasso e dal profitto, da queste logiche che oggi sono dominanti. Fare l’attore era come tutti gli altri mestieri, ci si identificava con il proprio lavoro: era un’epoca diversa. Con questo film abbiamo cercato di fare anche questo: rendere omaggio a un’epoca, fatta non solo di attori, ma anche di spazzini, idraulici, muratori, di persone che si identificavano di più con il proprio lavoro, perché c’era ancora un’idea di collettività molto forte, che forse derivava dal nostro mondo contadino», spiega Elio Germano.

«Questo garantiva alle persone di trarre soddisfazione dal proprio mestiere più che dallo stipendio che ne derivava: nel lavoro c’era umanità, anche nel cinema. Questi attori, che poi erano anche dei grandi professionisti, con tutta una serie di trucchi nel proprio bagaglio personale, come dei mestieranti, traboccavano di umanità e questo li rendeva unici e vicini al pubblico, che li percepiva quasi come persone di famiglia. Questo li ha resi speciali ed è il motivo per cui li ricordiamo ancora oggi», conclude l’attore.

 

 

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