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In Italia si lavora troppo?

Orari e costo del lavoro in Italia e in Corea, la competitività del sistema Italia non si misura né, con la quantità né con il costo del lavoro

Mi piace scontrarmi, amichevolmente e senza acrimonia per carità, con l’autore dell’articolo "E i numeri dicono che... in Italia si guadagna di meno, ma si lavora di più" pubblicato ieri su Agoravox, articolo che non condivido.


L’autore sostiene che "il nostro pare abitato da una razza d’inossidabili stacanovisti: un italiano, in media, lavora 1802 ore l’anno, ovvero 372 ore in più delle 1430 di un tedesco – fanno sette ore e passa in più alla settimana, 46 giorni in più all’anno". A seguito di una rapida indagine su internet mi parrebbe di poter dire che le cose non stanno così, vedere al riguardo:
http://www.chen-ying.net/blog/2008/04/17/asiatici-sgobboni-italiani-un-po-meno/
http://en.wikipedia.org/wiki/Working_time


http://en.wikipedia.org/wiki/Workweek

in effetti a me risultano dati diversi, rappresentati nella seguente tabella che sembrerebbe contraddire la tesi sostenuta nell’articolo citato:

Annual work hours per worker (source: OECD (2004), OECD in Figures, OECD, Paris

Annual work hours per worker (source: OECD (2004), OECD in Figures, OECD, Paris

Questi dati confermerebbero che in Italia si lavora 1523 ore all’anno mentre le ore lavorate in Corea sarebbero 2390, cioè quasi il 60 % in più. In generale i dati che si ricavano da internet sembrebbero dimostrare che "i Sudcoreani sono stakanovisti, gli olandesi lazzaroni, gli italiani così così". Almeno a giudicare dai risultati dell’annuale rapporto OCSE sull’orario di lavoro. Emerge che i lavoratori del Paese asiatico sono dei veri sgobboni: tirano di lima per una media di 45 ore a settimana. Il dato si ottiene facendo la media di tutta la forza lavoro di un determinato Paese, considerando anche part-time e saltuari. Ne consegue che 45 ore, di media, sono davvero tante. Al polo opposto ci sono gli olandesi, perché in Olanda ben il 45% della forza lavoro è part-time, il che abbassa notevolmente la media e sgombra il campo dal sospetto che in Olanda si lavori meno che in Italia. Noi italiani, ufficialmente, ci aggiriamo sulle 32 ore, l’undicesimo posto a livello OCSE (su 18 Paesi considerati).

La Cina non fa parte dell’Ocse ma pare che le medie siano attorno, se non sopra, quelle coreane cioè 45, 38 ore settimanali con punte di 50 ore nel commercio al dettaglio. Come se non bastasse i paesi nei quali si lavora di più i costi fiscali, di sicurezza, sindacali e per il welfare incidono molto meno e la flessibilità del lavoro raggiunge livelli impensabili ed improponibili in Italia. Dunque è la conclusione che sorge spontanea, non la domanda: l’Italia non può far concorrenza all’Est del mondo con produzioni che si basino sul prezzo. La sfida deve essere vinta sul piano della qualità, e siccome non siamo neppure in un paese particolarmente avvantaggiato nè sul piano delle risorse naturali nè della tecnologia, le armi che ci rimangono sono: stile, inventiva, gusto, tradizione, fantasia. Nel mondo chi vuol comprare un giocattolo a basso prezzo si rivolge alla Corea e chi vuole tecnologia alla Germania o al Giappone. Però un vino italiano, un abito italiano, un mobile italiano o una Ferrari hanno pochi rivali nel mondo e comunque i rivali non abitano là dove si lavora molto e a basso prezzo. Dobbiamo puntare sull’immagine, sul design, sull’eleganza, sulla tradizione di una produzione di qualità. Altrimenti, per restare sul mercato mondiale saremo costretti a far leva sul prezzo, ma ciò significa lavorare molto di più e con salari più bassi.

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