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Il velo e le bambine: intervista a Taher Djafarizad e Baharak Darvishi

L’imposizione indiscriminata di simboli religiosi non è mai una cosa desiderabile. Ma quando a farne le spese sono bambine e bambini diventa ancora più odiosa e si dovrebbe intervenire per limitarla o vietarla. È una battaglia complicata. Ma Taher Djafarizad e Baharak Darvishi, attivisti laici iraniani da molti anni residenti in Italia, sono impegnati nell’associazione Neda Day per combatterla. Li abbiamo intervistati sul numero 6/2021 della rivista Nessun Dogma.

Di origine iraniana, ma residenti in Italia da molti anni, Taher e Baharak, di formazione sociologo lui e microbiologa lei, sono impegnati nell’associazione Neda Day, fondata in ricordo della studentessa Neda Agha-Soltan (uccisa nel 2009 durante una manifestazione pacifica in Iran), con cui combattono una lunga e non sempre fortunata campagna contro la triste condizione delle spose bambine, contro la lapidazione e per l’abolizione del divieto, nei paesi islamici, di far entrare le donne negli stadi e palazzetti dello sport per assistere a eventi sportivi. Chi ha seguito online la presentazione del libro Il vento tra i capelli, con la presenza di Masih Alinejad, ha avuto l’occasione di vederli e sentirli dialogare con l’autrice. L’ultimo campo d’intervento dell’associazione di cui fanno parte è quello relativo ai simboli religiosi imposti nell’infanzia.

Per quale motivo sarebbe importante limitare l’imposizione di simboli religiosi a bambini e bambine?

[Taher] In molti paesi l’uso del velo e di altri simboli religiosi ha carattere obbligatorio e gli adulti lo impongono anche ai figli in età giovanissima, in particolare alle bambine. Si viola così il diritto di queste di vivere la loro infanzia in condizioni di libertà fisica, dovendo indossare un abbigliamento che è loro d’impaccio e non adatto ai giochi e le priva di quel senso di parità e libertà in un’età di formazione importante. La copertura dei capelli e di parte del viso le espone, non soltanto nei paesi occidentali ospitanti, ma dappertutto, a una vita di relazione con i pari in condizioni di diversità, di imbarazzo sul piano psicologico. Le bambine e i bambini sono individui con diritti sanciti nella Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: i loro genitori, anche quando desiderano aderire alle pratiche estetiche della loro fede, non possono imporre regole discriminanti sul piano culturale e pedagogico alle loro figlie e ai loro figli.

Un divieto non sarebbe in contrasto con la libertà di scelta individuale?

[Taher] No: i simboli religiosi non sono la scelta di un bambino ma un’imposizione dei genitori, poiché nessun bambino sceglie autonomamente di essere “umile e casto” e di “proteggere l’onore della famiglia” nelle forme indicate.

[Baharak] A dire il vero, la pratica dell’imposizione di simboli religiosi è spesso opinabile anche quando riguarda gli adulti. Si pensi ad esempio alle molte donne che non hanno scelto liberamente di indossare il velo ma sono state costrette a causa delle fortissime pressioni sociali e religiose. La natura obbligatoria del copricapo rappresenta la conformità e l’obbedienza imposte e non equivale a una scelta libera. Basti ribadire che, nei primi anni della nascita dell’islam, nessuna donna musulmana portava il velo. I primi versetti sull’hijab nel Corano risalgono a quindici anni dopo che Maometto si era proclamato profeta e all’inizio riguardavano le sue mogli, mentre solo successivamente furono estesi a tutte le donne.

Vuole dire che quando era alla Mecca e nei primi cinque anni a Medina, nessuna donna musulmana portava il velo. Fonti degli hadith [i racconti sulla vita di Maometto considerati parte della sharia] dicono che, quando Omar (che dopo diventò il secondo califfo), stava mangiando nello stesso piatto con il profeta e sua moglie Aisha, toccò le mani di Aisha, e poi disse «Se lei fosse stata mia moglie, nessun uomo l’avrebbe vista o toccata». Dopo qualche giorno da questo episodio, il profeta Maometto dice di aver ricevuto il primo versetto sull’hijab.

[Taher] Quando vengono al mondo, i bambini e le bambine non hanno religione, tradizione e pregiudizi. Sono nuovi esseri umani che, per caso e indipendentemente dalla loro volontà, sono nati in una famiglia con religione, tradizione e pregiudizi. È una sorta di lotteria, per cui c’è chi si trova in condizioni più fortunate: ed è compito della società neutralizzare gli effetti negativi di questa lotteria.

Rimanendo sulla questione del velo imposto alle bambine: per quale motivo è da considerare particolarmente pericoloso per la loro crescita?

[Baharak] Perché promuove la discriminazione sessuale e le disuguaglianze. È emotivamente dannoso. Ha l’obiettivo di creare un muro fisico di isolamento. Alle bambine viene detto: «Se non stai a casa e continui ad andare a scuola o al lavoro, allora devi portare il velo sulla testa per impedire a te stessa di attirare gli uomini e creare fitnah (caos) nella società». Il velo fa parte dell’insistenza misogina che le ragazze sono “diverse” dai ragazzi. Da tutto questo deriva un’ulteriore implicazione culturale per la quale le ragazze velate non devono correre, urlare o ridere troppo forte o addirittura andare in bici e farsi vedere giocare con i ragazzi. Viene incoraggiata fin dall’inizio la disuguaglianza tra ragazze e ragazzi, con la solidificazione dello status femminile nella società. E una volta portato il velo per anni, psicologicamente diventa quasi impossibile toglierlo.

C’è chi afferma che si tratti solo di “cultura del pudore”.

[Taher] Il problema è che quella che viene chiamata “cultura del pudore” è di fatto un’estensione della cultura dello stupro. Il velo e la richiesta di castità e sobrietà nell’abbigliamento portano con sé la vergogna delle donne giudicate “indecorose”. La ragazza o la donna è indecorosa quando non si veste o non si comporta in modo adeguato per evitare lo sguardo maschile e il corteggiamento.

[Baharak] Questo modello culturale di fatto sessualizza le ragazze fin da bambine e le porta a sentirsi responsabili di tutto ciò che accade, cosicché le violenze subite derivano dal fatto di non essersi adeguatamente coperte e protette dagli sguardi maschili. Il velo infantile rimuove anche la responsabilità maschile nei casi di violenza, in quanto posiziona e definisce gli uomini come naturali predatori non in grado di controllare i propri bisogni.

I musulmani dicono che il paradiso è «sotto il piede delle donne» intendendo con questo che l’islam ha un grande rispetto verso di loro. Questo è vero?

[Taher] Per rispondere, è necessaria una premessa: nella tradizione islamica, il Corano non viene interpretato, ma applicato letteralmente. Vediamo allora che cosa dice il Corano rispetto alle donne: «Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono [per esse] i loro beni. Le [donne] virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete l’insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse» (Surat 4, versetto 34); «Ecco quello che Allah vi ordina a proposito dei vostri figli: al maschio la parte di due femmine» (Surat 4, versetto 11); «O mogli del Profeta, non siete simili ad alcuna delle altre donne. Se volete comportarvi devotamente, non siate accondiscendenti nel vostro eloquio, ché non vi desideri chi ha una malattia nel cuore. Parlate invece in modo conveniente» (Surat 33, versetto 32); «Rimanete con dignità nelle vostre case e non mostratevi come era costume ai tempi dell’ignoranza. Eseguite l’orazione, pagate la decima e obbedite ad Allah e al Suo Inviato. O gente della Casa, Allah non vuole altro che allontanare da voi ogni sozzura e rendervi del tutto puri» (Surat 33, versetto 33); «O Profeta, dì alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate» (Surat 33, versetto 59).

Il messaggio che ne risulta è chiaro: le donne valgono meno degli uomini, devono essere sottomesse e se si mostrano troppo la colpa di ogni possibile abuso deve ricadere su di loro. Questo è quello che viene insegnato alle ragazze fin dalla più tenera età ed è il messaggio implicito nell’usanza dell’hijab (dal semplice velo alla copertura integrale del burqa).

Che cosa dovrebbe essere fatto, secondo voi, in Italia e in Europa, per contrastare questo fenomeno?

[Taher] In molti casi grazie a movimenti sociali e politici si è arrivati ad approvare delle leggi che vietano determinati comportamenti (si pensi alla violenza domestica, alle mutilazioni femminili, al lavoro infantile). A nostro parere, in Italia e in Europa dovrebbe anche essere imposto il divieto di simboli religiosi di tutti i tipi e per tutte le bambine e i bambini. Solo in questo modo potrà essere veramente protetta l’infanzia. La priorità dovrebbe essere data ai diritti dei bambini, non ai diritti dei loro genitori, ai dogmi o ai leader religiosi.

L’idea che la lotta per i diritti di bambini e bambine – perché appartenenti a delle minoranze – debba essere lasciato alle “comunità di fede” dimostra quanto siano diventate radicate nelle politiche dell’identità la regressione e il relativismo culturale. Per me, la questione è chiara: gli stati devono farsi carico di proteggere l’infanzia e non possono stare dalla parte degli oppressori.

[Baharak] Il velo non è solo un pezzo di stoffa, ma il simbolo visibile di inferiorità della donna. Indica che nei capelli di una ragazza è riposto l’onore della famiglia, che le donne sono oggetto del desiderio, per cui vanno coperte il più possibile.

Quando una persona pensa di avere il diritto di importi cosa mettere sulla tua testa, è convinto che può decidere anche cosa è giusto o sbagliato, nella tua testa.

È ipocrita dispiacersi per la fine atroce che ha fatto Saman, mentre non abbiamo fatto niente per evitarlo: quante bambine devono morire ancora prima che ci si decida a prevenire? Chi arriva a uccidere una ragazza per la sua vita da occidentale, disprezza la cultura occidentale, però vuole usufruire dei suoi vantaggi.

Approvando una legge che vieti i simboli religiosi per/su i minori, non solo potremo prevenire le tragedie, non lasciando queste decisioni sulle piccole spalle di bambine, ma eviteremo che persone con mentalità maschilista che disprezzano la cultura occidentale scelgano l’Italia per vivere. Lavoreremo per evitare che la mentalità e la cultura maschilista si diffondano e consolidino.

Intervista di Loris Tissino a Taher Djafarizad e Baharak Darvishi

 

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