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Il tramonto del guizzo

Le ali contemporanee devono saper fare molte cose. Non basta più vegetare sulla fascia, in attesa che la palla arrivi e non basta nemmeno superare il terzino con cui si iniziava una battaglia di 90 minuti (se si fosse sviluppato negli Stati Uniti, il calcio sarebbe ancora così: il 7 contro il 3, il 9 contro il 5, ecc.). I giocatori di fascia, ali ormai è un poetismo pre-sacchiano, devono avere fondo per percorrere l’intera fascia, dal proprio portiere al portiere avversario, forza fisica per superare calciatori che sono al loro pari per energia e velocità, la tecnica che basta per fare un buon cross a 100 all’ora (questa la dovrebbero migliorare tutti), intelligenza tattica per coprire in difesa e proporsi negli spazi interni ed esterni per essere serviti in corsa e mai da fermo. Ecco una grande rivoluzione: gli allenatori odiano quando i giocatori di fascia sono serviti da fermo e non sulla corsa a taglio di fronte al difensore o alle sue spalle. I raddoppi sistematici e la lentezza della giocata bloccano i flussi di gioco. Cosa comporta questo? Il tramonto del guizzo.

Il guizzo non è un semplice attimo di energia inutile e decadente, è una scossa di volontà, una sfida bella e buona per cui ci vuole coraggio e fantasia. Il re del guizzo mondiale non può non essere Garrincha, subdotato fisicamente (per il fatto della gamba più corta ma aveva due quadricipiti da paura), ma fantasticamente armonico nei suoi movimenti strappati, ma vorrei accennare però al principe del guizzo, il meglio visto in Europa. 

Jimmy Johnstone era un fringuello scozzese di 155 centimetri e 52 chili. Il calcio per lui era semplice e continua sfida, contro difensori più alti, più forti, più pesanti, più furbi, forse più pagati. A lui restava soltanto una cosa: il guizzo che rimescola le carte, che riesce a sovvertire l’ordine mai scritto delle cose del calcio. 


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