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Il taglia-tasse e Irpef: a debito per un anno

Non solo la decontribuzione ma anche l'eliminazione di un'aliquota Irpef hanno copertura (a deficit) per un solo anno. Basterà dire che "a noi ci ha fregato 'aaa guera"

Come forse ricorderete, uno degli slogan di campagna elettorale di Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni era “più assumi, meno tasse paghi”. Un “precetto” demenziale, come ho più volte ricordato. Che è passato attraverso alcune fasi di rielaborazione, e pareva avviato ad un utilizzo mediamente e vagamente razionale. Invece, complice la perdurante penuria di risorse fiscali, di cui avevamo certezza dall’inizio, pare stia per essere nuovamente declinato in forme demenziali ma probabilmente tali da risultare innocue per le tasche dei contribuenti che ancora pagano le tasse.

IN PRINCIPIO FU IL BANGLADESH

L’excursus, rapidamente. In principio fu la lisergica ideuzza di ridurre l’Ires alle aziende che aumentavano l’occupazione (intesa come costo del lavoro, immagino) “rispetto al fatturato”. Niente meno. Sarebbe stata una rivoluzione tolemaica, più che copernicana. Il premio per aziende ad alta e crescente intensità di lavoro. Un modello Bangladesh, in pratica, con un paese avviato a cucire palloni per multinazionali, magari nel tinello di casa, per dare flessibilità al proprio genio creativo.

Questo orientamento pare il frutto di una robusta credenza di Meloni; che, all’ultimo Salone del mobile (parlando appunto di credenze) riuscì a pronunciare una cosa del genere:

Noi siamo in un tempo nel quale non sempre all’aumento della produzione corrisponde aumento di occupazione. Noi siamo in un mondo nel quale la meccanizzazione dei processi, le delocalizzazioni, tanti fenomeni che hanno a che fare con la modernità comportano che spesso all’aumento della produzione non corrisponde aumento dell’occupazione.

Ma qui noi abbiamo aziende che con la loro manifattura hanno sempre un’alta incidenza di manodopera in rapporto al loro fatturato ed è quello che noi dobbiamo incentivare.

Il mondo non capisce il genio italiano: a morte la meccanizzazione dei processi, quindi! Spero che nel frattempo qualcuno le abbia spiegato come lavora davvero l’industria del mobile. Ma non divaghiamo.

Passano pochi mesi e il focus si restringe, pur restando rigorosamente demenziale. La proposta evolve come

[…] una super-deduzione del costo del lavoro per le imprese che nei tre anni precedenti hanno incrementato il numero di lavoratori: 120% per tutti innalzato al 150% per categorie fragili e nelle zone svantaggiate.

Anche qui, si osserva da un lato il tentativo di aumentare l’intensità del lavoro e dall’altro il premio ad aziende che, in virtù di congiuntura favorevole, avrebbero comunque aumentato gli organici. Ma si inizia a parlare di “categorie fragili e zone svantaggiate”, e la cosa pare poter evolvere verso una tranquilla riedizione delle solite agevolazioni su base geografica e per assunzione di disoccupati di lungo termine e assimilati.

In primavera, il principio da incorporare nella delega fiscale prevede la discesa dell’Ires dal 24% sino al 15% se, entro i due periodi d’imposta successivi, una somma corrispondente in tutto o in parte all’utile sia impiegata in investimenti, con particolare riferimento a quelli qualificati, e in nuove assunzioni riguardanti soggetti deboli (over 50, donne, percettori di reddito di cittadinanza e in regioni meridionali). Poiché le due condizioni non paiono dover essere compresenti, ecco che l’agevolazione evolve inesorabilmente verso una riedizione di Industria 4.0.

RIFORME PER UN ANNO

E invece no. Oggi, leggiamo sul Sole a firma di Marco Mobili e Gianni Trovati, che la riduzione Ires

[…] sarà riservata solo a chi aumenterà il numero di lavoratori assunti a tempo indeterminato, e non premierà quindi gli investimenti qualificati diversi da quelli nel capitale umano.

Quindi, vediamo: un premio solo alle aziende che, trovandosi in congiuntura favorevole, aumenteranno gli assunti permanenti. In pratica, si torna al pro-ciclico. Il che significa che, in congiuntura recessiva, la misura costerà assai poco mentre, in espansione, si butteranno nello sciacquone soldi che avrebbero certamente potuto essere impiegati in modo meno assurdo. Ma ovviamente, in caso dovessimo trovarci in quest’ultimo scenario, potete attendervi misure correttive per evitare l’esborso.

Niente “investimenti qualificati” ad abbattere l’Ires, quindi, e si capisce il motivo: anche in congiuntura non favorevole si sarebbe rischiato un salasso per le casse dello Stato. Quindi, i nostri eroi hanno scelto di dire niet alla misura e poter strombazzare che loro lavorano “per l’occupazione stabile”, mica pizza e fichi. Che però difficilmente avverrà, con questa congiuntura. E vissero tutti felici e contenti, con una manciata di perline colorate.

Ma c’è dell’altro: nello stesso articolo apprendiamo che il famoso “primo modulo” della riforma fiscale, quello che elimina una aliquota Irpef estendendo quella al 23% sino alla soglia di 28 mila euro lordi annui, ha copertura solo per quest’anno. E costa, come sappiamo quattro miliardi. Non solo: tra le fonti di copertura c’è il décalage delle detrazioni per i kulaki, cioè la loro progressiva riduzione. Oggi parte da 120 mila euro, domani potrebbe iniziare da 100 mila. Ma anche così si stima frutterebbe solo un miliardo, un quarto del costo della eliminazione di una aliquota.

E anche il primo modulo della riforma fiscale, quindi, va a fare compagnia alla mitologica decontribuzione, che costa una decina di miliardi ed è coperta (si fa per dire) solo quest’anno. Dal prossimo anno, per mantenere le misure, balleranno 12-14 miliardi. Da reperire a deficit, magari invocando “misure anti-cicliche” oltre alla clemenza “di Bruxelles”, dove stanno signori e signore “che fanno politica e non i banchieri centrali, quindi capiranno”. Sappiamo perfettamente, invece, chi sono quelli che hanno capito assai poco, da subito. Però il consiglio dei ministri che lunedì licenzierà il documento programmatico di bilancio da inviare ai signori e alle signore che stanno a Bruxelles, approverà anche un decreto dallo sfizioso nome di “taglia-tasse”. Per quest’anno, almeno. E rigorosamente a debito.

Giochi di prestigio che capitano, quando non si hanno soldi e si cerca disperatamente di fare gli splendidi, come direbbero a Roma. Ma resta l’exit strategy, per la comunicazione melonesca: basterà dire “a noi ci ha fregato ‘aaa guera“, e passa la paura.

  • Aggiornamento del 16 ottobre – Come previsto, arriva la superdeduzione di almeno il 120% per la parte di costo del lavoro che deriva da incremento degli organici a tempo indeterminato. Così Meloni può intonare il “missione compiuta” sul demenziale slogan “più assumi, meno tasse paghi”, con un regalo alle aziende che sono già in espansione. Amen.
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