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Il silenzio sui tagli per le spese sociali

I “tagli” hanno colpito pesantemente la spesa pubblica, negli ultimi anni. E hanno soprattutto colpito la spesa per i servizi sociali. E ciò è avvenuto in un periodo in cui i bisogni sono in aumento, come nel caso degli anziani non autosufficienti, e, appunto, le risorse diminuiscono, creando così notevoli difficoltà soprattutto alle Regioni e agli altri enti locali.

E stupisce il silenzio che regna intorno a questi tagli. Rispetto ad altri paesi la comunicazione pubblica sul welfare dei servizi è molto carente e frammentaria. Quello dei tagli di spesa sembra essere un tema troppo tecnico per essere affrontato dai media nazionali. Non c'è stato un vero dibattito sui tagli possibili: in quale modo esercitarli, chi preservare dalle scelte più difficili, che cosa mantenere e che cosa sacrificare. Persino sull’azzeramento del fondo per la non autosufficienza, 400 milioni di euro che vengono a mancare da quest’anno, le reazioni sono state a dir poco modeste da parte di sindacati, associazioni del terzo settore e soprattutto dell’associazione dei comuni. Sono loro infatti che più di tutti pagheranno il taglio, perché prevalenti beneficiari di un fondo a destinazione sociale, che l’anno scorso ha rappresentato un quarto della loro spesa sociale per la terza età.

L’unico “successo” si è registrato per il non profit, con i fondi in parte ripristinati sul 5 per mille. Per il resto il panorama è desolante. A partire dal fondo nazionale per le politiche sociali che quest’anno è stato ridotto a 275 milioni di euro (erano più del triplo solo tre anni fa). Il fondo per la famiglia è passato dai 185 milioni dell’anno scorso a 51. Poi ci sono i fondi letteralmente svuotati: dopo il piano straordinario per i nidi è toccato al fondo per la non autosufficienza.

Altri, come quello per gli affitti, sono ridotti a una cifra simbolica: giovani coppie e famiglie in crisi potranno sperare quasi soltanto negli aiuti che Regioni e Comuni hanno deciso di mantenere. Mentre le riduzioni sul servizio civile rischiano di mortificare un’esperienza il cui valore è riconosciuto a livello europeo. Nel complesso, se nel 2008 per i principali fondi sociali lo stanziamento superava i due miliardi di euro, quest’anno siamo a meno di un quarto. I tagli colpiscono la rete dei servizi, erogati a livello locale. Prestazioni gestite a livello nazionale, preponderanti in termini di spesa, non sono state minimamente sfiorate da alcuna ipotesi di riforma. Valga per tutti l’esempio dell’indennità di accompagnamento: una misura granitica per cui verranno spesi quest’anno tredici miliardi di euro. Tutti i servizi sociali dei comuni italiani costano la metà di questa sola misura: 6,6 miliardi nel 2008 secondo l’Istat. Il messaggio che il governo manda è esplicito: ci disimpegniamo dal welfare dei servizi, mentre manteniamo salda la gestione del welfare monetario, quello che riguarda i vari assegni familiari, per l’assistenza e l’invalidità. Un insieme di misure ingessate, poco efficienti e perequative, che assorbono i quattro quinti della nostra spesa sociale. Il divario tra domanda di aiuti e risorse disponibili si allarga particolarmente per i non autosufficienti. Per loro oggi l’offerta di assistenza poggia essenzialmente su due colonne portanti.

Da una parte, la rete dei servizi domiciliari, residenziali e intermedi, che Regioni ed altri enti locali erogano. Per mantenere e sviluppare questa rete, ancora sotto-dotata rispetto a molti paesi europei, le Regioni dovranno sempre più attingere risorse dalla sanità e dal socio-sanitario, che presentano disponibilità ben maggiori del sociale. Con il rischio di “sanitarizzare” l’assistenza, di spostarla verso le situazioni più gravi e di ridurne i contenuti più propriamente sociali, di accompagnamento, promozionali, preventivi. Dall’altra, un’erogazione monetaria nata trent’anni fa e da allora mai migliorata, l’indennità di accompagnamento, insensibile alle condizioni economiche di chi la percepisce e priva di alcun vincolo di utilizzo, quindi votata a essere la fonte primaria del welfare fai-da-te, quello del mercato sommerso delle assistenti familiari. Sarebbe necessaria invece una vera ristrutturazione della spesa sociale: per riformare le erogazioni monetarie nazionali di tipo sociale, superandone i crescenti limiti; per rafforzare un sistema dei servizi penalizzato in Italia a favore dei trasferimenti economici; per qualificare in modo non episodico il lavoro privato di cura.

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