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Il razzismo istituzionalizzato

Nella generale crisi di valori, quello che sta venendo meno sopra tutti è proprio il valore fondamentale del rispetto della vita e della persona umana.

Ne abbiamo prove eclatanti tutti i giorni e per ogni dove e non solo da parte di criminali incalliti, o dittatori spietati o governanti cosiddetti “democratici” in tuta da combattimento e loro volenterosi carnefici, ma di cosiddetti cittadini “comuni”, quelli della porta accanto.
 
Reduci da secoli di violenza generalizzata e bestiale, ivi compreso l’ultimo, il ventesimo, passato alla storia come il “secolo degli assassini” per eccellenza e conclusosi con la mattanza tra etnie nella ex Jugoslavia, avevamo ingenuamente sperato che perlomeno il cittadino comune delle società più evolute come la nostra avesse appreso come la violenza collettiva, gli odi tribali, una volta evocati, travolgano tutto e tutti come un fiume in piena, lasciandosi alle spalle solo lacrime e macerie.
 
E invece …
Nella generale assuefazione alla violenza e alla morte prodotta dai telegiornali all’ora di pranzo e di cena, con massacri inenarrabili raccontati con voce afona, senza incrinature, da mezzibusti che passano subito dopo, con disinvoltura, a parlare di frivolezze, la morte attira un’attenzione volgare ed irrispettosa solo se fa spettacolo (applausi alle bare in uscita dalle chiese come a quella del piccolo Tommy a Parma nel 2007, foto al caduto alla fila per la mostra come ad Urbino l’altro ieri), altrimenti passa nell’indifferenza più assoluta (i bagnanti che continuano tranquillamente a prendere il sole in spiaggia con lì accanto il morto come a Trieste qualche estate fa, per non parlare dei “giornalisti” che chiedono alla vittima ancora sanguinante o ai suoi parenti se perdonano il carnefice come si trattasse di un piccolo sgarbo, o dei “giudici” che mandano libero un criminale che da ubriaco fradicio o sotto effetto di droghe ha travolto con l’auto il passante indifeso ).
 
Ma, soprattutto, razzismo e xenofobia fanno sempre più parte del sentire comune, oltretutto in un contesto in cui i reati (eccetto quelli contro il patrimonio, in leggero aumento) sono in diminuzione, perlomeno negli ultimissimi anni.
 
Basta una piccola notiziola di cronaca (es. un tizio, pare un tunisino, che insidia una barista in centro) ed il coro dei linciatori di professione in servizio permanente effettivo si scatena (sul sito della Gazzetta di Parma, città considerata “civilissima” i commenti più edulcorati suonavano così: “Siamo stanchi di essere la pattumiera d’Europa, il ricettacolo della delinquenza. E di chi è la colpa? DELLA SINISTRA E DEI PRETI “ oppure “IN ITALIA E’ UNO SCHIFO, LA SITUAZIONE PEGGIORA DI GIORNO IN GIORNO! MA CI PENSA LA SINISTRA A DAR MAN FORTE A QUESTA GENTAGLIA CHE CI HA INVASO! PRENDIAMOLI A CANNONATE IN MARE E POI VEDIAMO! “).
 
Tutto questo in un popolo immemore cui solo pochi decenni fa si infliggeva la stessa violenza, le stesse angherie e per gli stessi motivi: i nostri nonni che appena sbarcati in America (spesso tuffandosi in acqua al comparire della statua della Libertà perché privi di documenti, proprio come i tanto vituperati boat-people al largo di Lampedusa) venivano catalogati tutti come mafiosi e criminali (e parecchi in effetti lo erano o lo sarebbero diventati fondando “Cosa nostra”), o quelli che negli anni cinquanta dal Sud andavano a lavorare alla Fiat e si imbattevano nei cartelli “Non s’affitta ai meridionali”, come ci racconta il film “Rocco e i suoi fratelli”.
 
Ma come è stato possibile che gli “italiani brava gente” si siano ridotti così? E’ un razzismo diventato ormai “costituzionale” oppure indotto in buona parte dalla manipolazione mediatica (che sottolinea sempre, ad esempio, l’origine straniera di reati odiosi come lo stupro, dimenticando che sono commessi al 60 per cento da italiani e fra le mura domestiche: un reato, questo, che è “tipico”, si potrebbe dire, dei paesi cattolici, dove c’è repressione ed inibizione sessuale sconosciuta nei paesi scandinavi), sulla quale specula la Lega, appiattendo tutto il problema sicurezza sul fattore immigrazione, sia pur in concorrenza sempre più stretta col Berlusconi contrario alla società multietnica o forse soltanto indispettito dal fatto che i frutti del “lavoro allo stomaco” degli italiani da parte delle sue TV giovino soprattutto agli uomini di Bossi? In assenza di controprova, non è dato saperlo.
Secondo qualche commentatore, poi, (Luca Ricolfi sulla Stampa, ad es., subito ripreso da Belpietro su Panorama) quelli che si oppongono alle derive xenofobe (ossia i soliti snob, le anime belle della sinistra) se lo possono permettere perché tutta gente abbiente che non ha da temere concorrenza sul lavoro e sul welfare da parte degli extracomunitari.
 
Secondo questa tesi, dunque, è da snob scandalizzarsi, ad esempio, perché un tizio, come s’è scoperto di recente (ma notizie di questo genere, fuori dal coro mediatico, sono relegate in qualche riga di cronaca), affitta il proprio appartamento alla bellezza di ottanta, diconsi ottanta, extracomunitari (un caso-limite, ma tanti proprietari di case ed imprenditori del Nord, che poi magari corrono a accalcarsi sotto le bandiere della Lega, lucrano indisturbati sulla pelle degli extracomunitari). Che i più non se ne scandalizzino, è tuttavia un dato di fatto con cui bisogna confrontarsi (improbabile però che la xenofobia nasca, tra i meno abbienti, solo da ragioni pratiche ed oggettive).

 
Quanto ai fenomeni criminali che la presenza degli extracomunitari irregolari ed in minima parte di quelli regolari (ai quali si attribuisce solo il 2,2% dei reati) può scatenare, non si può certo affrontarli con la sola prevenzione dopo decenni di colpevole indifferenza e negligenza.
 
Ma anche la repressione (ammesso e non concesso che nel paese del pressapochismo si riescano ad applicare con efficienza, quando occorre, politiche repressive, o invece ci si limiti a fare la faccia inutilmente feroce) non può degenerare in pratiche ridicole e pericolose come le “ronde”, istituto di cui l’Italia ha ora l’esclusiva, che faranno probabilmente la fine dei famosi “poliziotti di quartiere”, tanto propagandati dal precedente governo Berlusconi (cinquemila uomini che dovevano garantire la sicurezza, specie nelle ore notturne, delle periferie di medie e grandi città, di cui si vede ogni tanto qualche raro esemplare a passeggio, di solito in coppia ambosessi, ma di giorno e in pieno centro: in Italia manca da sempre la cultura del pattugliamento come nei paesi anglosassoni, dove sanno davvero cosa vuol dire la parola “piedipiatti” ).
 
Lo stesso reato di clandestinità dell’immigrato non può dare una buona prova, perché coinvolge decine di migliaia di badanti senza le quali il nostro sistema di assistenza, che non si è mai curato degli anziani, salterebbe, nonché persone che hanno perso il lavoro non per loro colpa.
 
Come funzioni poi il nostro sistema di custodia cautelare o di espulsione lo si è potuto ammirare recentissimamente nell’isola di Lampedusa., dove i CPT (Centri di permanenza temporanea) ed i CIE (Centri di identificazione ed espulsione), affollati all’inverosimile, hanno portato a rivolte particolarmente virulente ( gli stessi lampedusani intervistati hanno ammesso con onestà che in quelle condizioni terribili di vita si sarebbero comportati allo stesso modo ). Il tutto per ottenere questo mirabolante risultato, denunciato dal sindaco dell’isola: negli ultimi tempi si è riusciti ad espellere la favolosa cifra di ben 7 (sette) immigrati!
Mai che si abbia il buon senso di guardare oltre il proprio naso, ed in particolare là dove il problema è stato affrontato con un certo successo, come la già citata Spagna, dove perlomeno il problema dell’integrazione dei nomadi (700.000 contro i 150.000 nostrani) si può considerare risolto (come riferisce uno dei pochi programmi seri d’informazione televisiva, ossia “Report” di Rai 3, niente a che vedere con le passerelle dei politici dai vari Vespa e Floris). Come imitarla?
 
Intanto:
1) evitando di tagliare i fondi anche in questo campo (come al Fondo per l’inclusione sociale, creato nel 2007 per favorire l’integrazione degli immigrati, che finora ha finanziato solo quattro progetti presentati da altrettanti Comuni, per un totale di € 2.636.892: non a caso la stessa Carta di Parma ne chiedeva il rifinanziamento) ed anzi attirando i fondi CEE con progetti validi (solo un milione di euro, finora, contro i 62 ottenuti dalla Spagna), come il progetto iberico “Accedere”, impostato su basi molto concrete e tali da inculcare nelle etnie rom e sinti l’interesse verso la scolarizzazione dei loro ragazzi, togliendoli dalla strada ad elemosinare o rubare ai passanti o in appartamenti (molti adolescenti si sono diplomati o laureati ed uno di loro è diventato addirittura deputato al parlamento nazionale dopo esserlo stato in quello federale catalano) .
 
2) istituendo anche da noi la polizia ”di convivenza sociale” che si occupi di mediare tra le varie etnie, intervenendo per evitare i noti fenomeni di sfruttamento soprattutto nel settore immobiliare;
 
3) promuovendo l’insediamento abitativo e la cittadinizzazione degli immigrati, unico modo per avere una vera integrazione, il che oltretutto aumenta il controllo sociale sui soggetti a rischio di devianza.
 
O si preferisce rincorrere i facinorosi dell’una e dell’altra parte che smaniano dalla voglia di menare le mani per liberarsi dalle loro personalissime frustrazioni quotidiane? 

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