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Il protezionismo da pianerottolo e lo spirito del tempo

Negli Stati Uniti, il presidente Donald Trump non ha lasciato passare nemmeno ventiquattr’ore dall’annuncio del capo della Fed, Jay Powell, del piccolo taglio di tassi d’interesse definito come “aggiustamento da metà ciclo”, ed ha fatto partire una salva di tweet per ottenere quello a cui aspira: un massiccio taglio di tassi.

Detta così sembra criptica, ma non lo è: Trump ha annunciato con decorrenza primo settembre dazi del 10%, elevabili al 25%, su ulteriori 300 miliardi di dollari di importazioni dalla Cina, in aggiunta di quelli al 25% su 250 miliardi, già in essere. In superficie, si tratta di una mossa negoziale molto trumpiana, visto che a settembre dovrebbero riprendere i negoziati sino-americani sul commercio, che al momento non paiono andare da nessuna parte. Come prevedibile, del resto, vista la complessità della materia ed il fatto che non parliamo solo dell’improbabile riequilibrio del saldo commerciale bilaterale tra Cina e Usa ma proprio dei rapporti di forza tra i due paesi.

Annunciando quei dazi aggiuntivi, il palazzinaro di NY in realtà tenta di cogliere due uccelli con una pietra, come si dice nell’anglosfera. Trump si è convinto che, se la Fed tagliasse aggressivamente i tassi, gli Stati Uniti sbaraglierebbero la Cina ed anche Marte. Convinto lui, convinti tutti. E visto che la Fed di Powell ieri l’altro ha annunciato “solo” 25 punti base di riduzione, oltre al ramoscello d’ulivo della fine della decrescita del suo bilancio, col mancato rinnovo dei titoli in scadenza, Trump ha deciso di forzare la mano alla sua banca centrale.

In che senso? Nel senso che Trump mette i dazi e Powell taglia i tassi. Ma non è geniale, tutto ciò? Una vera catena di montaggio dell’azzardo morale. Del resto, se Trump si è definito “a very stable genius“, un motivo ci sarà.

Se solo la politica monetaria servisse a contrastare gli effetti del protezionismoPeccato che così non sia, ma Trump va per la sua strada. A questo proposito, la prossima mossa del presidente sarà quella di ordinare al Tesoro di vendere dollari per deprezzare il biglietto verde. In quella circostanza, la Fed dovrà scegliere: unirsi alle vendite oppure essere additata come antipatriottica. Tempi interessanti, davvero.

Ma questo è ormai lo spirito del tempo, come ben sappiamo noi italiani. Da noi non passa giorno senza che ci siano pittoresche iniziative sovraniste, a tutti i livelli. Ad esempio, in settimana abbiamo avuto il proclama del capo del sindacato autonomo dei bancari, Fabi, Lando Maria Sileoni, che si è detto pronto a marciare sull’Eliseo se il capo di Unicredit, che ha passaporto francese, dovesse dare seguito alle voci di riduzione di 10.000 dipendenti nel prossimo piano industriale quadriennale.

Un dettaglio minore, il fatto che Unicredit non sia francese neppure a livello di azionariato ma come detto questo è lo spirito del tempo. E i nostri eroi intendono viverlo con grande impegno, al limite della satira fatta su se stessi. Allons enfants de la Fabi, le jour de gloire est arrivé.

Nel frattempo, in Calabria, i ristoratori si inventano i locali “denordizzati”, in cui non si servono vini e prodotti dell’odiato Nord, partendo dal prosecco, per reazione alle ipotesi di autonomia differenziata, che penalizzerebbe il Mezzogiorno (che, come noto, è invece la success story che il mondo ci invidia, dopo decenni di “perequazioni”).

Qui bisogna capirsi: io, in linea astratta, non sono contrario ai boicottaggi economici, perché li vedo come forma estrema di libertà di scelta del consumatore e dell’imprenditore. Il problema sorge quando tali boicottaggi da volontari ed individuali divengono erga omnes in quanto ex lege, assumendo cioè la forma del protezionismo. Nel caso di specie non è ancora accaduto, quindi direi che archiviamo la vicenda alla voce folklore o anche al tentativo, del tutto legittimo e vagamente razionale, di creare “circuiti chiusi” tra produzione e consumo in ambito locale. Che poi è la ratio che ha portato alla nascita delle monete complementari.

Non si inventa nulla, credetemi: come il famoso “chilometro zero” dei nostri prodotti tipici, che è la forma “alta e nobile” di protezionismo, secondo quelli che poi sbraitano per avere tutele di marchio e d’origine in giro per il mondo. Vi adoro, italiani, quando fate così. Quando coniugate il vostro spirito “comunale”, o più propriamente “condominiale”, al vostro non meno grande spirito mercantile, che vi porta a “esportare” in tutto il mondo. Perché a noi i dazi piacciono asimmetrici, notoriamente.

Allora, siamo coerenti: ogni regione, provincia, comune, quartiere, consumi solo i propri “prodotti tipici”. Basta con queste esportazioni fuori contado e cinta daziaria, che ci depauperano delle nostre ricchezze. Autoconsumo o muerte. Una interessante forma di decrescita più o meno felice. Prendete esempio dagli orticelli che vedete passando in autostrada o lungo le ferrovie. Autostrade e ferrovie che tra poco non serviranno più, essendo inutili gli spostamenti di merci e persone. A parte le arance spedite in Cina, s’intende.

Una piccola riflessione politica, a margine. Cosa fai, quando vuoi diventare “partito nazionale” e nazionalista in un paese che, oltre che ridicolo per i suoi campanili, è anche persistentemente duale sul piano di sviluppo e sottosviluppo economico? Fai comizi indossando la felpa col nome del quartiere dove ti trovi al momento? Prometti di stampare tutta la moneta che serve per permettere agli indigeni di arricchirsi, in attesa di ricevere la loro collana di perline di vetro colorato? Insegui negri per ogni dove? Ah, saperlo. E gli elettori, riusciranno a cogliere la “lieve” contraddizione? Ah, sapere pure questo.

Tutto sta a definire l’ampiezza del concetto di “locale”, però. Dal macro di Trump, che pensa di aver trovato la macchina del moto perpetuo, al micro del ristoratore calabrese che vuol tenere chiusi i circuiti economici locali, i danni ci sono comunque, graduati per i relativi ordini di magnitudine. E di stupidità.

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