• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tempo Libero > Recensioni > Il paradosso della felicità

Il paradosso della felicità

“Manifesto per la felicità” è un saggio molto variegato e dettagliato che ci aiuta a pensare bene evitando i tornanti economici che ci fanno stare male (Stefano Bartolini,www.donzelli.it, 2010).

Discutere di indicatori vuol dire discutere dei fini principali di una società (Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia).

Numerose ricerche confermano che dopo la seconda guerra mondiale la qualità della vita in Occidente non è migliorata significativamente e i dati dimostrano che le persone che vivono nei paesi poveri sono mediamente più felici di quelle occidentali: “ai primi posti nelle classifiche internazionali della felicità compaiono paesi come la Nigeria, il Vietnam, il Messico, la Colombia”.

Infatti, anche se la civiltà occidentale “è l’unica compiuta esperienza di liberazione dalla povertà di massa nella storia umana… gli effetti positivi sul benessere dovuti al miglioramento nel tempo delle condizioni economiche sono stati compensati [e scompensati] dagli effetti negativi dovuti al peggioramento delle relazioni tra le persone” (personali, familiari, sociali e civiche).

Una delle principali fonti dell’infelicità è la pubblicità, poiché fa in modo di farci desiderare cose di cui non abbiamo bisogno (che il più delle volte non possiamo permetterci). Infatti un pubblicitario svizzero di lungo corso ha confessato: “Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma” (Frédéric Beigbeder; Lire 26.900; L’amore dura tre anni; Windows on the World). Altre concause dell’infelicità sono l’insicurezza del posto di lavoro, l’aumento del precariato, la disoccupazione più o meno costante, i debiti familiari.

Per Bartolini “non è vero che i soldi non fanno la felicità”, ma se pensiamo solo a fare più soldi, riducendo la qualità delle nostre vite, alimentiamo un circolo vizioso che ci fa consumare di più, e ci avviamo lungo un crinale ignoto e molto pericoloso. Oggigiorno fare soldi è quasi l’unica metà e invece dovrebbe essere uno dei modi per trovare i mezzi che possono farci stare meglio.

I manager e molti economisti si dimenticano di prendere in esame gli studi che dimostrano che le persone infelici lavorano male, e continuano a non curare le relazioni, l’autonomia personale e la variabilità comportamentale nei luoghi di lavoro. È vero che l’uomo può adattarsi all’ambiente, ma fino ad un certo punto. Inoltre gli esseri umani, diversamente dagli animali, possono cambiare l’ambiente fisico e sociale in modo da renderlo più adatto alle nuove esigenze personali, familiari, aziendali, sociali, nazionali, globali, mondiali, esistenziali e spirituali. La felicità dipende anche dai beni relazionali, dal capitale sociale (le attività all’interno della comunità) e dalla fiducia nelle istituzioni: governo, chiesa, banche, sindacati, stampa, scuola, medicina, giustizia, ecc.

Forse nel caso degli Stati Uniti si può arrivare ad affermare che non esiste più una società americana: ci sono gli individui democratici e quelli repubblicani, e c’è l’esercito degli americani. Si è passati dalla cultura americana alla degenerazione culturale ipercapitalista e l’attuale crisi economica è “l’epilogo della crisi sociale degli Stati Uniti, che divenuta crisi economica e ha contagiato il pianeta intero”. Gli speculatori più disonesti sono arrivati fino al punto di truccare le aste dei Bot americani (p. 248).

La crisi si sta allargando a macchia d’olio e sta degenerando per la “disponibilità di un popolo a vivere al di sopra delle proprie possibilità e la disponibilità del resto del mondo a fornirgli le risorse per farlo” (p. 251). Ma non si può basare un’economia solo sull’avidità”. Inoltre la selvaggia deregolamentazione degli ultimi trent’anni ha permesso a tutti i tipi di istituzioni finanziarie di comprare e vendere tutti i tipi di prodotti finanziari, fino a poter “assicurare” cose che non esistono per importi monetari da favola (ad esempio i derivati relativi alle materie prime). Quindi il vero “problema non è che le grandi corporations infrangono la legge; il problema è che fanno le leggi” (funzionario dell’amministrazione Clinton).

Comunque con l’aumento esponenziale delle conoscenze scientifiche e delle innovazioni tecnologiche i tempi sono cambiati e il futuro accoglierà benevolmente solo quelle nazioni in grado di investire nelle relazioni internazionali più cooperative, poiché le menti provenienti da diverse culture lavorano molto meglio delle menti cresciute in ambienti limitati come quelli monoculturali (European University Institute, www.eui.eu). Oltretutto “la libertà di scelta individuale è irrinunciabile… la strada da percorrere è diversa da una rinuncia alla libertà in nome della comunità”.

Il libero mercato ha un volto oscuro e “mentre ci fornisce vantaggi in termini di prosperità economica, esso sparge i suoi svantaggi diffondendo valori che sono un pessimo affare”, e che riducono i sentimenti umanitari nella società. Ci sono “beni di lusso per una generazione che diventano beni standard per la generazione che segue”. E ci sono “beni che sono gratuiti per una generazione che divengono beni scarsi e costosi per la generazione successiva”.

Gli affaristi dovrebbero imparare a strutturare una mente elastica come quella di Bartolini, il quale ha affermato che la persona da cui ha imparato di più è sua figlia. Per vincere la guerra contro le crisi economica bisogna lasciare il giusto spazio ai giovani. Bisogna re-imparare a cooperare e bisogna anche evitare che le ricchezze si concentrino nelle mani dei soliti oligopolisti e monopolisti che come i tiranni del passato possono fare quello che vogliono, comprando e gestendo quasi tutte le merci, i lavoratori, i burocrati, i creativi e le leggi. Invece i più giovani possono imparare a nutrirsi del lavoro degli altri senza fare giochetti finanziari criminali e senza perfezionare il lavoro sporco e sleale dei vecchi capitalisti e dei soliti banchieri.

D’altra parte l’aumento della depressione tra le generazioni più giovani potrebbe essere collegato alla troppa disoccupazione e all’eccessiva competizione (proviamo a pensare a come è cambiato il mondo dello sport giovanile). I genitori programmano anche il tempo libero dei figli e il tempo perduto a far la fila (in auto e non), è una fonte notevole di stress.

La disoccupazione dipende dal numero di persone che cercano lavoro e dai posti di lavoro disponibili, ma il consumismo crea bisogno di denaro per aumentare gli acquisti e di conseguenza la gente deve lavorare di più. Chi ha un lavoro lavora troppo e in un certo senso impedisce a chi non ha un lavoro di trovarlo. Negli Usa la diminuzione degli orari di lavoro si è arrestata negli anni ottanta con la deregulation del presidente Reegan e ha diminuito la qualità della vita innescando i prodromi delle crisi economiche degli anni novanta e duemila, legate alle grandi innovazioni tecnologiche e ai programmi informatici che hanno aumentato in modo esponenziale la produttività, senza una corrispondente riduzione degli orari di lavoro. Robot, computer e macchine sempre più sofisticate lavorano giustamente al posto degli uomini, però non possono consumare.

Sicuramente le nuove generazioni sono state indottrinate dal turbo-capitalismo e rischiano di maturare forme più perverse di infelicità, sia perché vivono in città sempre più invivibili, sia perché devono crescere troppo velocemente per diventare i migliori produttori e dei grandi consumatori. Ancora troppi “psicologi e psichiatri rifiutano l’idea che la società nel suo insieme potrebbe essere malata. Assumono che il problema della salute mentale in una società è solo quello degli individui “inadeguati” e non quello di una possibile inadeguatezza della cultura stessa” (Erich Froom).

Le attuali classi dirigenti desiderano insegnanti capaci di indottrinare o con un ruolo da informatore e burocrate, passivo e appassito, mentre gli educatori del futuro saranno persone in grado di ricreare nuove forme di comunicazione e di relazione, e capaci di sperimentare metodi dinamici più cooperativi, e sistemi formativi innovativi sempre più interdisciplinari e interculturali.

Del resto la scuola non dovrebbe rappresentare l’unico luogo per l’apprendimento. Infatti gli attuali esami e i sistemi di valutazione sono troppo parziali e individualisti: non valutano il lavoro creativo e quello di gruppo. Però Edoardo Fleischner, professore dell’Università Statale di Milano ha già attivato una “Wikiclasse” e un corso multimediale molto interattivo (Nuovi Media e Comunicazione). Purtroppo la scuola non vuol rendere attraente lo studio ed “è ancora impermeabile a una verità compresa perfettamente da chi vende corsi” di lingue straniere (Bartolini).

Inoltre le numerose associazioni di volontariato dei diversi settori possono esaltare il ruolo attivo delle emozioni e della vita reale, e possono diventare un ottimo laboratorio a cielo aperto per promuovere al meglio la sperimentazione della creatività e del senso della possibilità degli studenti. Dopotutto il futuro appartiene da sempre ai giovani e la vita umana sarà per sempre l’arte del possibile.

Stefano Bartolini insegna Economia politica ed Economia sociale presso l’Università di Siena, e ha creato un’associazione no-profit che promuove studi e progetti volti a umanizzare i sistemi socio-economici.

Note – Negli Stati Uniti quasi un lavoratore su quattro è addetto alla sicurezza e alla sorveglianza come militare, poliziotto, guardia carceraria o guardia privata (Bowles e Jayadev, 2006). Questo dato indica una società in forte crisi. Questo genere di operatori sono circa il doppio degli addetti italiani e ben il quadruplo dei più democratici, civili e pacifici svedesi (p. 88).

In Svezia fin dal 1904, l’amministrazione pubblica compra i terreni intorno alle città da trasformare in aree edificabili per evitare speculazioni e progettare meglio l’evoluzione territoriale (p. 234). In questo paese la pubblicità televisiva diretta ai minori di 12 anni è stata vietata.

Oggigiorno quasi tutta la conoscenza medica viene prodotta dalle aziende farmaceutiche: “lasciare interamente la produzione di conoscenza in un settore così cruciale per il benessere a interessi privati che attraversano una crisi profonda [la crisi della ricerca molecolare] è una strada pericolosissima” (p. 225).

Il malessere psichico annulla l’esistenza e costa troppo: nel Regno Unito nel 2005 i medici “hanno prescritto 29 milioni di ricette di antidepressivi, per un costo complessivo di 400 milioni di sterline a carico del servizio sanitario nazionale. Nel 2003 gli Stati Uniti hanno speso la cifra di 100 miliardi di dollari per curare le malattie mentali” (Wilkinson – Pickett, 2009). Questa spesa triplica, se non di più, “il costo del tunnel sotto la Manica, la più grande opera pubblica mai realizzata” (p.220). I tentativi di suicidio sono aumentati del 60 per cento negli ultimi quarantacinque anni; “il suicidio è tra le principali cause di morte per le persone di età compresa tra i dieci e i ventiquattro anni sia nei paesi sviluppati, sia in quelli in via di sviluppo” (Aldo Bonomi, Sotto la pelle dello stato, 2010).

Il premio Nobel 2009 per l’economia è stato assegnato a Elinor Ostrom con la seguente motivazione: ha “dimostrato che le risorse comuni nell’agricoltura – boschi, pascoli, luoghi di pesca – possono essere gestite con successo dalla gente che le usa piuttosto che dallo Stato o da imprese private”. Perciò gli studiosi e i politici europei dovrebbero iniziare ad abbandonare il complesso di inferiorità nei confronti delle attività e delle istituzioni degli Stati Uniti d’America.

Il premio Nobel 2006, Edmund Phelps, ha creato dei modelli di Banche Nazionali dell’Innovazione pubbliche e private: www.edmundphelps.com.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares