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Il narcisismo specchio dell’alienazione contemporanea. Gilles Deleuze, pensatore integrato nel turbocapitalismo

Il narcisismo dal punto di vista psicologico è un vera e propria patologia, infatti esso si manifesta come assenza di un io strutturato nella dimensione etica e culturale e quindi nella dimensione psichica, come una personalità fragile che ha bisogno di riempire i vuoti della propria esistenza attraverso il continuo autocompiacimento narcisistico.

di Luciano Palmieri

Il narciso cerca di manifestare al pubblico un immagine di sé che possa attrarre lode e stima, si tratta di un processo continuo, che ha bisogno dell’approvazione dell’altro atto dopo atto. La personalità narcisistica conta gravi carenze di affettività, di empatia e di capacità relazionale con l’altro. Ma quella che mi interessa trattare in questo articolo non è la patologia narcisistica fine a stessa, bensì gli atteggiamenti narcisistici che la società contemporanea induce nelle persone.

Nel saggio “Il narcisismo l’identità rinnegata” Lowen sottolinea che il narcisismo che pervade la cultura della società si definisce come l’esigenza di anteporre, la ricchezza, la carriera, la frenesia produttiva, alla vita relazionale ed emotiva.

Ritengo che Lowen abbia colpito nel segno ma la questione va spiegata meglio. La società contemporanea è una sorta di “liberalismo secolarizzato”, nel senso che si tratta di un individualismo (correlato da gli altri principi liberali) in cui la dimensione etica e religiosa non assume una reale importanza per la riproduzione della società. Infatti la tanto odiata borghesia neel su varie articolazioni culturali non è più la classe dominante all’interno dell’orizzonte capitalistico, essa aveva in qualche mondo una dimensione etica del limite nonostante fosse fautrice di una progressiva accumulazione capitalistica.

La borghesia con l’avanzamento del capitale nella sua forma odierna, ossia finanziarizzato e globalizzato non assume più il ruolo di regia del processo in corso, essa è stata sostituita da una classe transnazionale finanziaria, fautrice della cancellazione qualsiasi senso inibitore delle disuguaglianze sociali e della mercificazione della vita, infatti la classe dei banchieri è il soggetto politico portante dell’espansione del mercato e della mercificazione integrale della vita.

Quindi appare chiaro che il turbocapitalismo termine tanto amato dal mio maestro Costanzo Preve deve porre l’accumulazione della ricchezza capitalistica come unico fattore fondamentale della riproduzione della socialità, la merce, l’acquisizione di essa, il PIL sono i feticci della nostra epoca, una sorta di religione senza religione, di sacralizzazione di ciò che è piu insensato, ovvero della vita ridotta a mera feticizzazione della merce.

In tale stato l’economia assume un valore assoluto, laddove la politica perde di significato per le persone comuni, perché in fondo niente può scalfire la necessità delle sacre leggi dell’economia.

In tal condizione è chiaro che la persona perde ogni orientamento veramente significante per la propria vita, ogni dimensione culturale e politica, ed un io ridotto a “macchina desiderante” del consumo, ad atomo il cui unico fine è l’acquisizione della merce e dell’altra persona vista solo ed esclusivamente in funzione della merce. Va chiarita che questa tendenza antropologica non va intesa in senso assolutistico, ovvero che la persona sia integralmente ridotta a consumatore, il quale che vede nell’altra persona solo e soltanto una merce che può usare e poi gettare via, ma è indubbio che cisono comportamenti e modi di pensare che nelle persone assumano sempre di più la suddetta dimensione antropologica.

La perdita totale di coscienza infelice per lo stato presente delle cose e necessariamente correlata alla perdita di ogni possibile concezione comunitaria e della dimensione politica. Infatti laddove non si riesce a capire che la “felicità” personale dipende dalle relazioni che si intessano all’interno della comunità e non dall’avere spropositate ricchezza, e quindi dal bene inteso come buona comunità del vivere sociale, non si riuscirà mai a risolvere le gravosi questioni che il nostro tempo ci impone.

Un filosofo tanto amato odiernamente, ovvero Gilles Deleuze, anche dagli intellettuali di “sinistra” (o meglio ancora da quelli che io denomino “sinistrati di sinistra”), non è altro che un ideologo della forma più avanzata del capitalismo.

Il pensiero di Deleuze ha il suo fondamento nell’ardore nichilistico di Friedrich Nietzsche, un pensiero che il filosofo francese sviluppa in prossimità congiunturale e in piena compatibilità con la trasformazione del capitalismo negli anni 70’ E 80’.

Infatti Deleuze tenta di scardinare il capitalismo demolendo le basi culturali della borghesia, in questo modo fa una pacchiana confusione identificando il capitalismo con la borghesia. Infatti per capitalismo intendiamo semplicemente un modo di produzione anonimo ed impersonale mentre la borghesia è soltanto una classe-soggetto-politico che per un periodo della storia del capitalismo ne è stata la reggitrice.

Questa grandiosa confusione concettuale poi conduce a conseguenze tragiche a livello di pensiero, infatti il filosofo francese cerca di destrutturare l’io borghese e quindi di conseguenza la liberaldemocrazia, ponendo al centro del suo discorso un io destrutturato, un io che si alimenta di una dimensione rizomatica, quest’ultima non significa altro che l’io deve vivere, agire e pensare come una “macchina desiderante” e quindi creatrice di nuove forme sociali.

Proprio così, Deleuze infatti considera il flusso energetico del desiderio, infinito, incessante e continuamente instabile, la fonte per la creazione dei cambiamenti sociali e politici, sostituendo cosi alla teoria dei bisogni di matrice marxiana una teoria dei desideri.

A mio avviso è chiaro l’errore del filosofo francese consiste nel non considerare che la volontà politica di cambiare la distribuzione di, potere politico, di ricchezza e di conoscenza all’interno della comunità sia originata da una teoria dei bisogni come quella marxiana, che aveva quest’ultima come fondamento la critica dell’ingiustizia sociale creata da una società capitalistica che sfruttava il lavoro e creava povertà e appiattimento spirituale.

Diversamente mi è facile constatare che la “macchina desiderante” di Deleuze, ovvero la concezione del soggetto come un involucro pieno di squilibrato ed illimitato desiderio, sia un concetto facilmente appiattabile su quello dell’uomo consumatore nota figura antropologica dello scenario odierno.

 Per dirla terra terra, il consumatore coatto consuma per consumare, il suo fine ultimo è il consumo qui ed ora, costretto da ciò non solo dalla pubblicità che oramai satura la nostra esistenza quotidiana, ma strutturalmente da una dimensione che ha perduto ogni riferimento culturale e spirituale che vada oltre la meschina santificazione della merce.

 Continuando con il pensiero del filosofo francese non possiamo far notare i suoi concetti di ripetizione e differenza, concetti costitutivi del pensiero nichilistico del pensatore, proprio perché essi sono antagonisti di ogni possibile concezione veritativa della filosofia.

Infatti per Gilles deleuze la filosofia è un piano infinito di immanenza, ove i diversi pensieri filosofici sono intesi come dei strati geologici che pur in contatto tra loro si trovano in una situazione di relativo isolamento. Insomma la filosofia è una filastrocca di opinioni tra le quali a causa del relativismo veritativo non è possibile giungere ad una sana forma dialogica.

Infatti per Gilles Deleuze il concetto è da intendersi come ripetizione, ovvero come realtà che porta in sé la logica della diramazione, ovvero il concetto porta dentro di sé l’apertura verso altri significati, esso è il solco in cui il rizoma tesse le sue tele.

Quindi per Deleuze alla ripetizione si accompagna necessariamente la differenza, poiché il concetto non ci dice l’essenza di una cosa, ma esso rimanda ad altri significati o differenze, in un movimento senza determinazione alcuna, ovvero in un incessante dinamismo in cui non si contempla nessuna pausa (seppur temporanea) veritativa.

Da queste premesse è facile giungere alla conclusione che il pensiero del filosofo francese sia a pieno titolo un’ideologia totalmente integrata a ciò che alcuni chiamerebbero postmoderno ma che io preferisco chiamare epoca del turbocapitalismo e della liberalizzazione-mercificazione dei costumi sociali.

Sotto tale prospettiva quindi è errata la posizione di coloro che ritengono causa del narcisismo contemporaneo mezzi di comunicazione come i social network (Facebook, Instragram, Twitter, etc.), e che incolpano la “digitalizzazione” dei rapporti umani per la la disumanizzazione degli stessi.

Tali mezzi di comunicazione non altro che strumenti tecnologi che le persone usano per scambiare informazioni e socializzare, il problema vero invece è contenuto nel retroterra narcisistico delle persone, ovvero nella dimensione antropologica, mercificata, iperindividualista, alienata, in cui siamo costretti a vivere.

Foto: thierry ehrmann/Flickr

 

 

 

 

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