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Globalizzazione, Stato, Nazione

Oggi le questione della globalizzazione, dello stato e della nazione non possono che essere affrontate in modo estremamente interconnesso, perché esse sono chiamate in gioco dalle politiche neoliberiste.

 Iniziamo con la discussione delle tesi di Negri su tali questioni. Antonio Negri (si proprio lui, il comunista di lungo corso) è a favore della globalizzazione e quindi della dissoluzione delle identità nazionali e dello Stato come strumento istituzionale di esse. Negri considera emancipatoria la strada della liberalizzazione dei mercati, perché essa creerebbe le condizioni di un’unificazione globale della lotta politica, permettendoci di porci oltre l’identità nazionale e la politica statuale.

 Per Negri, la massa di lavoratori salariati di tutto il mondo dovrebbero unirsi e dar vita sotto la guida dell’avanguardia salariale costituita dai lavoratori cognitivi alla rivoluzione comunista. Questi individui, sradicati dalla propria dimensione culturale ed identitaria, dall’unità politica della propria nazione di appartenenza, sono considerati da Negri come vere e proprie macchine desideranti del consumo capitalistico, e dovrebbero (quasi per grazia divina) porre le basi per l’emancipazione socio-politica di tutta l’umanità.

 Appare evidente che atomi consumatori, senza oramai formazione culturale e senso politico del bene comune, non possono avviare realmente un progetto politico alternativo, a meno che non intervenga Dio in persona a farci la grazia, ma sappiamo bene che Dio non esiste o quantomeno si fa gli affari suoi.

  E’ evidente che in Antonio Negri, globalizzazione, Stato e nazione siano questioni estremamente collegate (giustamente direi), e che la propria posizione teorica porti a tutt’altro che ad una rivoluzione, in quanto si tratta di una pura forma di asservimento ideologico alle logiche del capitale.

A sua volta Gianfranco La Grassa inquadra tali argomenti all’interno della sua rottura teorica con il marxismo “tradizionale”. La Grassa ritiene chiusa la questione della lotta di classe, mentre il principio cardine della nostra società consiste nei conflitti degli agenti strategici dominanti.

In tale ottica, abbandonata la prospettiva di emancipazione classista ed umana, l’analisi di La Grassa prende in esame solo i conflitti che si generano tra i gruppi al potere, sia all’interno dell’orizzonte statuale sia per quanto riguarda le lotte che si instaurano tra i gruppi strategici di diverse nazionalità, ovvero le questioni di lotte geopolitiche.

 Tali considerazione portano La Grassa a considerare lo Stato sia come strumento nelle mani dei gruppi al potere, per l’esercizio del dominio, del governo e dell’amministrazione della comunità; sia come strumento di salvaguardare dell’autonomia nazionale in ottica del conflitto geopolitico, come ad esempio per realizzare la fine della dipendenza dell’Italia verso gli degli Stati Uniti.

Tali concezioni errano, perché lo Stato oltre ad assumere una dimensione strumentalizzata per i gruppi strategici al potere (personalmente sposterei la definizione sul quella di “classe”) e per il domino geopolitico, rappresenta una forma organizzativa e amministrativa necessaria della socialità che può essere sganciata da logiche di dominio e conflitto.

 Infatti in un mondo come il nostro, costituito da nazioni di milioni o miliardi di abitanti, quindi demograficamente rilevante, ed in cui vige una complessa ed articolata divisione del lavoro sociale, si pone come necessaria una forma statale di mediazione di tutta la socialità.

 Inoltre La Gassa da pensatore marxista di matrice scientista qual è, non considera per niente l’importanza reale che assume l’identità nazionale, come portatrice di senso esistenziale e politico da una parte, e di lotta di classe dall’altra, ma su questo ci ritorneremo dopo.

 Per quanto riguarda Marx ed Engels, padri fondatori del marxismo (in realtà più Engels che Marx) subordinavano la questione nazionale a quella proletaria.

Sappiamo che essi si interessarono di varie di lotte nazionale presenti al loro tempo, ad esempio quella tedesca e italiana, ma tale interesse era rivolto alle possibili conseguenze positive che tali unificazioni nazionali avrebbero portato alla lotta rivoluzionaria proletaria.

Inoltre essi considerano lo Stato come espressione del potere borghese, quindi uno strumento che sarebbe stato abbattuto dalla costituzione della comunità comunista. In particolare Marx immaginava l’autoestinzione dello Stato con l’avvento di una comunità comunista, in cui sarebbe stata istituita una sorta di anarchismo comunitario, dove la pianificazione della socialità avrebbe permesso la fine della mediazione statale.

Ma purtroppo Karl Marx si sbagliava, perché immaginava la costituzione di una comunità utopica in pratica impossibile da realizzare, visto la complessità della divisione del lavoro sociale che già ai suoi tempi era in atto.

A mio parere Karl Marx cadeva in un errore di metodo, in quello che Hegel avrebbe definito come “fuga del dileguare”, ovvero come quel modo del pensare del tutto irrazionale, che tende a distruggere ogni cosa della realtà, senza conservare ciò che di essa è buono, ma ricostruire dalle materie una realtà politico-sociale del tutto nuova.

 Invece a mio parere, bisognerebbe su consiglio del buon Hegel, attuare quell’operazione di toglimento/conservazione che va sotto il nome di Aufhebung.

E Pur se è vero che lo stato moderno ebbe origine nel XIV secolo sotto la pressione della borghesia mercantile, che chiedeva sicurezza e stabilità sui commerci e sulla proprietà, per poi evolversi a partire dalle rivoluziona americana e francese nell’attuale stato liberal-democratico, diventato quest’ultimo strumento di esercizio del potere da parte borghesia industriale esso. Ma tutto ciò non implica necessariamente lo stato liberaldemocratico sia negativo o possa diventare sempre strumento di dominio di classe, anzi esso deve può essere conservato nelle sacrosante proprietà garantiscono i diritti costituzionali, politici, amministrativi, e giuridici.

Ovviamente lo Stato liberal-democratico può essere riformato in meglio, ma nell’essenziale va salvaguardato, Il problema sarà semmai quello di innestare tale struttura statuale all’interno di un nuovo modo di produzione, che garantisca la neutralità della forma statale e quindi la piena funzionalità dei suoi principi costituenti.

 Quindi bisogna salvaguardare a pieno titolo l’esistenza dello Stato, respingendo le istanze neoliberiste appoggiate tra l’altro dai “sinistrati di sinistra” (dal PD fino ai negriani), che attuano una politica di indebolimento statale e quindi del potere dello stesso di intervenire nella redistribuzione della ricchezza all’interno della società.

 Come dicevamo prima, la questione nazionale è di importanza strategica, laddove lo stesso Stalin (al di là della sua poco condivisibile esperienza teorica e politica) aveva capito che la nazione si basasse su una comunità reale stabilita territorialmente in un unità politica, avente come suo sostrato identitario la lingua, la religione, gli usi e costumi, la dimensione etica, etc. .

L’identità nazionale non è altro che conseguenza della natura stessa dell’uomo, identificabile con il termine di zoon politikon (aristotelico), identificato da Preve con il significato di animale, politico, sociale e comunitario, cioè dell’animale che possiede il logos, laddove quest’ultimo non va inteso nella semplice eccezione di linguaggio, parola o ragione, ma a anche nel significato di calcolo sociale (loghimozoi  in greco significa calcolo) del giusto equilibrio (isorropia) del potere e delle ricchezze.

 Quindi l’identità nazionale si trova in giusto rapporto con ciò che è la natura ontologica dell’uomo, ovvero quella di un essere capace di creare nuove strutture sociali, politiche, economiche e culturali, e di trovare un miglioramento di esse attraverso la distribuzione equilibrata delle ricchezze e del potere all’interno di una determinata società.

 E’ chiaro che la tendenza all’atomizzazione sociale, all’iper-indivualismo post-borghese, all’acculturazione, al consumismo di massa ed alla patologizzazione narcisistica dell’individuo, sia una conseguenza dello sviluppo contemporaneo del sistema capitalistico (di finanziarizzazione dell’economia e libero mercato), e che esse si trovi in netta opposizione alle caratteristiche ontologiche dell’essere umano.

 In definitiva bisogna far propria la lotta anticapitalista seguendo la strada della de-globalizzazione, della difesa delle identità nazionali e dello stato, questo almeno per iniziare.

 

Teverola 13/07/2018

Foto di Gerd Altmann da Pixabay 

 

 

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