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Il mondo dopo Salvini

Fuori Salvini. E fuori anche Fontana, fuori Pillon, fuori tutta la loro compagnia orante dalla gestione del potere. È una buona notizia laica e non possiamo negarlo. Nemmeno esaltarci, però. C’è infatti già chi, pensando anche a Johnson e all’Afd (?), sostiene che “potremmo essere vicini al picco populista” (Gwynne Dyer su Internazionale), e chi, sostituendo l’Afd con Trump, intravede il “crepuscolo dei leader cattivisti” (Fabrizio Tonello sul Manifesto). Magari fosse vero.

I cattivisti non stanno certo da una parte sola: in fondo, Benito Mussolini era un oratore ridicolo anche quando era un socialista anticlericale. Per averne la conferma basta e avanza il caso di Fabio Sanfilippo, il caporedattore Rai che rischia la sospensione per aver attaccato Salvini senza alcun freno inibitore. Ma l’errore più grande dei laici sarebbe dare per scontato che, una volta accaduto un evento ritenuto importante, la storia è ormai destinata ad andare in un certo modo. Tecnicamente, si chiama “fallacia della brutta china”. Ci siamo forse già dimenticati di Silvio Berlusconi, che dopo essere stato dato per spacciato per aver subito due sconfitte elettorali (1996 e 2006), in seguito è riuscito a vincere altrettante elezioni politiche (2001 e 2008)? Se diamo un’occhiata ai sondaggi, notiamo poi che Johnson è dato addirittura per vittorioso. E se è vero che Salvini è stimato in calo, resta il fatto che, se andassimo oggi al voto, gli basterebbe un’alleanza con i neofascisti di Fratelli d’Italia per sfiorare la maggioranza assoluta in parlamento. È probabilmente lo scenario peggiore da 74 anni a questa parte: non lo sentite un brividino risalirvi lungo la schiena?

La parola “demagogia” è, anche etimologicamente, un sinonimo di “populismo”. La demagogia è nata insieme alla democrazia, è la sua sorella gemella (per quanto eterozigote). Ne è quindi un effetto collaterale inevitabile: e infatti le politiche populiste erano praticate già ad Atene, oltre due millenni fa. L’ateo Crizia, uno dei trenta tiranni, riteneva che la religione fosse «uno spauracchio» necessario per imbrogliare le masse. Ma già durante l’epoca d’oro della democrazia, l’età di Pericle, nel 438 aev, fu introdotta la condanna per empietà per chi non credeva negli dèi venerati dagli ateniesi. Fu a causa di tale editto che Anassagora e Protagora furono costretti ad andarsene in esilio, e Socrate a bersi la cicuta. Se riavvolgiamo il nastro della storia fino al suo inizio, possiamo quasi rimanere sorpresi per essere riusciti ad arrivare dove siamo arrivati oggi. A un mondo, comunque, in cui imperversano i Trump e i Putin, i Modi e gli Erdogan, i Netanyahu e i Bolsonaro, per tacere dei regimi al potere in Arabia Saudita, in Iran e in Cina.

A volte ritornano, i Salvini-Fontana-Pillon. E sicuramente ritorneranno, se non si attuerà un’autentica discontinuità. La debolezza del nuovo esecutivo risiede proprio nell’incapacità di far immaginare agli elettori una dimensione diversa, con un respiro enormemente più ampio dello scontato rifiuto dell’estremismo tribaleghista – che ci fa ricadere nella medesima logica conflittuale, “o noi o loro”, nella quale è sicuramente perdente. Piaccia o no, al momento il mondo dopo Salvini è lo stesso di quando Salvini era ministro, con gli stessi problemi e con gli stessi elettori.

E con gli stessi fedeli a votarli. A ben vedere Salvini, più che un cattolico, sembra un fondamentalista yankee, tanto odia gli immigrati e apprezza le armi – e fors’anche la pena di morte. Poiché la maggioranza degli italiani si dichiara cattolica, però, e poiché Salvini è un nazionalista (oggi: i voti dei “terroni” gli fanno comodo, e parecchi meridionali smemorati glieli danno pure), il leader della Lega fa altrettanto, limitandosi a enfatizzare gli aspetti più tradizionali, persino pittoreschi del cattolicesimo, evocando lo stesso desiderio di purezza degli integralisti. Anche se è lecito dubitare che lo condivida intimamente.

È per questo motivo che il suo approccio comunicativo è e deve essere semplice, più che semplice, basic. Funziona su tante persone, che spesso non hanno (giustamente) alcuna voglia di perdersi in elucubrazioni politologiche. Ma sbaglieremmo a pensare che i suoi elettori sono tutti analfabeti funzionali. Non fosse altro che, in Italia, gli analfabeti funzionali sono così tanti che non possono certo stare soltanto dalla sua parte.

Se vogliamo che il mondo dopo Salvini sia diverso, quindi, dobbiamo lavorare molto – sul breve, sul medio e sul lungo periodo – per costruirne uno diverso. Se pensiamo di vincere con le argomentazioni dobbiamo cominciare a formularle in modo comprensibile a chiunque, presentandole in una cornice coerentemente laica.

Che può vantare numerose credenziali per dare tantissimo a ogni essere umano: libertà personale, uguaglianza di diritti, un approccio rispettoso delle evidenze, un sano realismo, la ragionevole aspettativa che chi detiene la responsabilità di governo sia in grado sia di prendere decisioni a ragion veduta, sia di creare le condizioni affinché ognuno possa a sua volta compiere le scelte personali migliori. Un mondo laico è la migliore prospettiva possibile anche per l’ultimo degli analfabeti funzionali. Ma sta a noi farglielo capire. Cambiare si può: noi, lui, e poi il mondo intero. Quando vogliamo cominciare?

Raffaele Carcano

Foto: Radio Alfa/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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