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Il "folle" voto in Europa: è la crisi del liberismo?

Un terremoto elettorale si è abbattuto su Francia, Germania, Grecia e Italia: nelle recenti consultazioni, i nazionalisti e la sinistra radicale hanno ampliato i consensi e si sono affermati nuovi partiti.

Le elezioni svoltesi recentemente in alcuni Paesi dell’Unione Europea hanno segnato un’inversione di tendenza nell’orientamento politico degli elettori, mettendo in discussione le scelte economico-sociali portate avanti in questi ultimi anni dai principali governi della Ue e, più in generale, i criteri neoliberistici sui quali si è impiantato il Trattato di Maastrich.

La vittoria di François Hollande alle elezioni presidenziali francesi, in virtù di un programma che prevede rilevanti riforme sociali, segna la riscossa del Partito socialista transalpino, dopo un lungo periodo di trionfi della destra neogollista, che dal 1995 al 2007 ha sempre conquistato l’Eliseo. Significative sono state le affermazioni elettorali, nel primo turno, di Marine Le Pen (17,9%) e di Jean-Luc Mélenchon (11,1%), esponenti di punta rispettivamente della destra xenofoba e della sinistra radicale, che hanno raccolto il malcontento di coloro che, pur con motivazioni opposte, non accettano la politica di rigore sostenuta dalla Commissione europea. In difficoltà appare anche Angela Merkel, cancelliere tedesco e leader dell’Unione cristiano-democratica, i cui consensi sono in declino, come hanno attestato i risultati delle elezioni nel Land dello Schleswig-Holstein, dove hanno ottenuto un buon risultato i Verdi (13,6%) e il Piratenpartei Deutschland (8,1% per il partito che si batte per la libertà di informazione e di navigazione su internet).

Le elezioni politiche in Grecia hanno visto il crollo sia dei socialisti del Pasok, sia di Nea Dimokratia, principale partito di destra, scesi rispettivamente al 13,2% e al18,8% dei voti. La sinistra antiliberista ha ottenuto buoni risultati: Syriza, coalizione di partiti della sinistra radicale, è diventata la seconda forza politica del Paese, con il 16% dei suffragi; anche i comunisti del Kke hanno fatto registrare un discreto 8,4%, superando Dimar, partito della sinistra democratica, fermatosi al 6,1%. Tra i gruppi di destra, i nazionalisti di Anel hanno ottenuto il 10,6% dei voti, mentre è entrata in parlamento anche la formazione neonazista Chryssi Avghi, con il 6,9% dei suffragi. La situazione politica greca, tuttavia, si presenta caotica e, a fronte di un’avanzata delle forze che avversano i sacrifici imposti dalla Ue, si registra un’impasse istituzionale, che rende difficile la formazione di un nuovo governo, obbligando così il presidente greco Karolos Papoulias a far tornare alle urne gli elettori ellenici nel breve volgere di qualche mese.

In Italia, le elezioni amministrative del 6 e 7 maggio hanno fatto registrare un piccolo terremoto politico: il 33% degli elettori non è andato a votare, c’è stato il boom delle liste civiche, il Movimento 5 Stelle ha conseguito un grosso successo in varie città (Cuneo, Genova, Parma, Verona), riuscendo ad eleggere anche un sindaco (Roberto Castiglion, a Sarego, nel Vicentino), e ha dimostrato di potersi proporre come alternativa credibile ai partiti della moribonda Seconda Repubblica. Il Pdl è stato sconquassato da queste elezioni amministrative, crollando al di là di ogni previsione. La Lega Nord, anche se ha stravinto a Verona grazie al sindaco Tosi, ha fatto registrare una debacle in diverse roccaforti (Como, Monza), perdendo molti consensi; poco significativi sono stati i risultati conseguiti dal Terzo Polo (Api, Fli, Mpl, Udc). Il centrosinistra, al primo turno, è in testa in molti comuni, grazie alla tenuta del Pd e ai risultati positivi fatti registrare dalle forze minori della coalizione (Fds, Idv, Psi, Sel). Il centrodestra è uscito malconcio dalla tornata elettorale, ma l’anno prossimo, con la prevedibile discesa in campo dei “tecnici” montiani, l’esito delle elezioni politiche potrebbe essere diverso.

L’impressione è che una parte consistente dei cittadini europei, stufa di stringere la cinghia, non sia più disposta a lasciar distruggere ciò che resta dello stato sociale. Le spinte antiliberiste e la voglia di cambiamento sono forti, ma c’è il rischio che il populismo xenofobo intercetti il malcontento popolare e lo volga verso esiti reazionari. Il futuro dell’Europa sembra, in ogni caso, delineato: se non ci sarà una rifondazione su basi democratiche e “neokeynesiane” della politica comunitaria, si andrà incontro alla dissoluzione della Ue, che verrà, prima o poi, travolta dall’antieuropeismo montante, con tutti i gravi pericoli che ne potrebbero derivare.

Giuseppe Licandro

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