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Il fallimento de Il Clandestino storia triste e misera

Il fallimento de Il Clandestino storia triste e misera

È finita dopo nemmeno sei mesi l’avventura de Il Clandestino, presentato a novembre è fallito in questi giorni insieme al suo editore. Il Clandestino avrebbe dovuto essere l’evoluzione cartcea di Clandestinoweb, sito dedicato alle news, vicino al centrodestra e che cerca di spacciarsi per terzista e indipendente.

Nell’avventura editoriale erano associati Pierluigi Diaco e i fratelli Crespi, noti sondaggisti. A sostenere economicamente l’impresa c’era la famiglia Caso, che in questi giorni affronta pesanti rovesci giudiziari ed economici, culminati ieri con l’arresto di Gian Gaetano e Fabio Caso.

Sdegnata la reazione dei Crespi, che oggi dicono: "Abbiamo avuto più che una sensazione di essere stati vittime di una truffa che tra l’altro a coinvolto collaboratori e giornalisti".

Peccato non averla avuta prima quella sensazione, a novembre per Luigi Crespi, il più giovane dei Caso era solo il: "Giovane editore di altri periodici come ‘In Tutto’, ‘DiTutto Buona cucina’, ‘Top Salute’ e ‘La mia casa’".

E qui entra in campo la miseria, perché se gente non certamente sprovveduta come i Crespi, Diaco e gli altri "giornalisti" arruolati nell’impresa, è rimasta vittima della famiglia Caso, le responsabilità sono grosse. Non è infatti la prima volta che i Caso lasciano senza stipendi i loro dipendenti e la loro carriera imprenditoriale non è certo di quelle trascorse lontano dai guai e al di sopra di ogni sospetto.

Il che ci riconsegna due ipotesi alternative sulla storia, per la prima delle quali i soci dei Caso sono degli ingenui, ignoranti e un po’ pirla. La seconda prevede invece che le vicende dei Caso fossero prefettamente conosciute da soci e dipendenti, i quali però non ci hanno trovato nulla di male, così come non hanno trovato nulla di male nel costituirsi fiore all’occhiello e strumento mediatico di personaggi del genere e nessun imbarazzo per i crediti pregressi di altri dipendenti e partner della famiglia.

È davvero pietoso che i Crespi parlino oggi di "epilogo sconvolgente del crac dei Caso", visto che fino a ieri sono stati platealmente indifferenti alle sorti di altre vittime delle acrobazie finanziarie dei Caso e ai reati loro attribuiti, che non sono pochi e nemmeno modesti: "Abusivismo bancario per oltre 200 milioni di euro, 9 milioni di euro di fatture false, 80 milioni di euro di fittizi aumenti di capitale sociale, bancarotta fraudolenta per Hopit Spa, Net.Tel. Spa, Editoriale Dieci Srl e Segem Spa, tentata truffa aggravata nei confronti della Regione Abruzzo per l’ottenimento illecito di fondi pubblici, falsità, calunnia aggravata e resistenza a pubblico ufficiale."

Lo stesso si può dire di Diaco e del resto della redazione, ma non è una novità i giornalisti italiani sono da sempre portatori sani (?) di un virus che impedisce loro di vedere i difetti di datori di lavoro, amici, soci e sponsor pubblicitari. 

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