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Il civismo come morte della politica

Secondo la definizione data da diversi dizionari << Il civismo è una visione della vita politica alternativa al sistema dei partiti che si propone di unire gli abitanti di una collettività intorno ai valori positivi della vita associata, aggregando individui che, provenienti da diversi ambiti sociali, collaborano per raggiungere un obiettivo comune legato alla tutela ed alla gestione dei beni appartenenti alla stessa comunità.>>

 Con la crisi dei partiti tradizionali e la fine delle grandi narrazioni ideali del ‘900 l’unica ideologia rimasta in piedi è quella neoliberale. Il civismo fa da interfaccia con il pensiero unico neoliberale che ha nel mercato e nell’esaltazione dell’individuo i punti di forza. Sia chiaro, non sto affermando che il senso civico sia di per sé un elemento negativo, la mia riflessione attiene l’ideologia che sta alla base del civismo.

I partiti politici tradizionali, pur con molti limiti, erano portatori di cultura politica e di una visione d’insieme che riguardava l’intera comunità nazionale. Penso ai grandi partiti storici come la DC, il PCI, il PSI ecc. Nessuno di questi partiti si sarebbe mai permesso di avallare liste civiche conoscendone i limiti. I partiti politici pur nella difesa degli interessi di classe erano guidati dall’intento di salvaguardare l’intero corpo sociale portando a sintesi le diverse istanze sociali. La politica dei partiti non si limitava al “particolare”.

Di questo sono esempio le  politiche economiche e sociali che hanno caratterizzato i governi della Prima Repubblica. Le liste civiche e le coalizioni elettorali che da esse scaturiscono non vanno oltre l’aspetto locale, in molti casi il “particolare” citando Guicciardini. L’idea che ispira il civismo è che sottraendo compiti alle istituzioni pubbliche (Stato, Regioni e Comuni) a favore dei cittadini, servizi quali assistenza sociale, sanità, scuola, verde pubblico, strade ecc. verranno gestiti meglio.

Significativo è quanto dichiarava anni fa in un’intervista al Corriere della Sera il teorico della Big Society e cioè Philipp Blond ispiratore di Cameron che interpreta il senso del Civismo. Alla domanda <<Ci può fare esempi concreti>> rispondeva «Di solito la gente povera vive nelle stesse aree, è da queste realtà che deve partire il meccanismo. Se c'è una strada semi-abbandonata un gruppo di residenti può decidere di fondare una cooperativa, comprare quei negozi e rimetterli a nuovo. In questo modo loro vivranno meglio e la zona verrà rivalutata. E magari ci sarà la possibilità di unirsi ad altre organizzazioni per nuovi progetti».

Una tale risposta ha un appeal non indifferente su cittadini che vivono in quartieri dove i tagli alla spesa pubblica operata sulle amministrazioni comunali insieme ai processi di mutamento sociale hanno portato riduzione dei servizi sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Con il ridimensionamento del ruolo del pubblico a causa dei tagli alla spesa pubblica ad ogni tornata elettorale, a partire dalle elezioni regionali per proseguire con quelle comunali, è tutto un fiorire di liste e di coalizioni civiche. Il civismo secondo chi lo teorizza è una sorta di terza via rispetto all’intervento pubblico e a quello del mercato. Secondo il pensiero Liberale e Conservatore, il Civismo, è la soluzione alla crisi sociale prodotta da anni di politiche neoliberali. Non credo proprio che sia così.

L’idea di fondo continua ad essere quella espressa molto bene da Reagan quando sostenne che il problema è lo Stato. Per cui il concetto di fondo che tutto ciò che è pubblico è pessimo, tutto ciò che è privato è bello continua a persistere. Dopo anni di tagli alla spesa pubblica i cittadini sono stati spinti ad organizzarsi in associazioni, cooperative ecc. per supplire al vuoto lasciato dall’intervento pubblico. Intanto c’è da dire che questo mondo associativo non vive di risorse proprie tra benefici diretti e indiretti riceve contribuiti pubblici quindi non è vero che l’intervento pubblico è stato eliminato ha solo cambiato modalità.

Una tale impostazione porta indietro l’orologio della Storia a qualche secolo fa quando le azioni a favore della povertà erano interventi caritatevoli dettati dalla coscienza di ciascun individuo. Altra cosa rispetto all’intervento dello Stato che attraverso interventi mirati ed egualitari opera redistribuendo la ricchezza prodotta, costruendo un sistema di protezione uguale per tutti , sostenendo nel contempo la crescita economica, rafforzando la coesione, la solidarietà sociale e il senso di appartenenza ad una comunità. Per capire questi passaggi è sufficiente analizzare le ragioni che portarono Bismarck, Roosevelt e il Governo Britannico guidato da Attlee, pur da posizioni politiche diverse e in tempi diversi, a varare leggi che portarono alla nascita del Welfare State nei rispettivi Paesi rafforzando il ruolo del pubblico.

Nessuno dei governi che ho citato lo fece per ragioni caritatevoli ma per rafforzare il ruolo dello Stato e il senso di appartenenza ad esso. Il civismo che ha in sé tutto e il contrario di tutto è la negazione stessa del senso di appartenenza allo Stato. Inoltre negando nel contempo il conflitto di classe e con esso la disuguaglianza sociale, stigmatizzando l’individuo quale unico responsabile della propria condizione, invece di superare le criticità sociali le alimenta ancora di più. Il civismo non risolve le criticità sociali prodotte dal ridimensionamento del pubblico a favore del mercato ma le legittima sul piano politico e dell’etica pubblica. Il civismo, proprio prendendo ad esempio quanto sostiene Blond, non supera la disuguaglianza ma l’alimenta e la legittima sul piano etico. I cittadini che si riuniscono in comitato civico per gestire un parco pubblico abbandonato o per asfaltare una strada impraticabile o per assistere gli anziani del quartiere dove abitano stanno semplicemente dicendo che taluni diritti non sono uguali per tutti. I quartieri di una città fotografano lo status sociale di chi vi abita. Per cui è facile evincere che un quartiere con redditi medio alti possa godere di servizi essenziali qualitativamente e quantitativamente migliori.

Quando si parla di aree urbane degradate non si fa mai riferimento a quartieri abitati da classi sociali medio alte. I quartieri degradati sono sempre quelli abitati dalla piccola borghesia e dal proletariato vecchio e nuovo. Sono questi quartieri che vedono il valore del patrimonio edilizio svalutarsi. Spesso le abitazioni con mutui a lunga scadenza non valgono nemmeno il prezzo pagato per l’acquisto. Sono questi i quartieri dove le contraddizioni legate all’immigrazione vengono scaricati. L’esempio di quanto è successo a Roma in questi giorni in merito all’assegnazione di un alloggio popolare prova come l’ideologia civica non sia in grado di superare i conflitti sociali che assumono altre forme rispetto al conflitto tra capitale e lavoro. Si traduce in conflitto etnico.

Perfino in una città di provincia come può essere Potenza gli immigrati sono stati, in prevalenza confinati, in un quartiere popolare dove magari gli eredi dei proprietari appartengono al ceto borghese cognitivo accogliente e liberal che lucra il canone dell’immobile utilizzato per l’accoglienza. L’associazionismo civico per come si è configurato, a partire dalla crisi dei partiti, non è stato in grado di sostituirli e non è stato in grado di sostituire nemmeno il mondo delle associazioni di un tempo, diretta emanazione dei partiti politici. Il civismo, al di là delle eccezioni che confermano la regola, è solo lo strumento ideologico che le elites utilizzano contro le masse per stigmatizzare i perdenti e convincere gli altri della bontà delle politiche economiche neoliberali.

L’illuminazione pubblica, la strada non asfaltata e piena di buche, i parchi pubblici abbandonati a se stessi, l’assistenza sanitaria, l’assistenza agli anziani sono servizi che non possono essere delegati alla buona volontà del cives, è il pubblico che deve garantire tali diritti all’insegna dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Va bene l’opera di sensibilizzazione fatta dal mondo delle associazioni civiche ma non possono e non sono in grado di sostituirsi alla politica.

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