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Il cammino dell’Europa tra realismo ed utopia

"Noi europei ci credevamo kantiani. L'euro ci svela hobbesiani ultrà" (L. Caracciolo - Limes )

Kant compose un trattato, "Per la pace perpetua", in cui argomentò le sue tesi cosmopolitiche. Idee, le sue, non peregrine, ma perfettamente in sintonia con il contesto culturale, quello dell'illuminismo, che coronava il ciclo della riflessione politica moderna caratterizzata dai principi del giusnaturalismo.

Kant aveva presente certe distorsioni della natura umana e, in questo senso, restano celebri le sue allusioni al "legno storto dell'umanità". Le quali, però, non erano tanto gravi da smentire la perfettibilità del genere umano, e con esso della società, passibile di una regolazione per opera della ragione.

Val la pena sottolineare che il realismo kantiano interveniva a suggerire un piano finalistico di tensione continua, inesauribile.

L'Europa del tempo stava andando incontro alla "scissione rivoluzionaria", ponendosi al di fuori delle ricette suggerite dal dispotismo illuminato. Emblematico il dibattito, nell'epoca, tra i fautori di tale programma di riforme, calato dall'alto, mediato dalla raison philosophique, armonico e pianificabile, e gli agitatori delle idee rivoluzionarie, esigenti e radicali, utopicamente consapevoli del reale giogo sociale.

Né si può nascondere che il dibattito delle idee non determina mai da solo il corso degli eventi, perché le congiunture economiche e le imponderabili alchimie politiche influenzano in vasta misura la storia.

L'Illuminismo celebrava con Kant l'ottimismo della ragione, che osava elevarsi al piano dell'autonomia. Ottimismo suffragato dai successi che l'Europa aveva raggiunto, in chiave sistematica, nell'ambito della cultura - e qui si richiede l'ampio spettro semantico della cultura -, all'ambito dell'economia e della politica - tecniche diplomatiche comprese. L'idioma sovranazionale, che le corti e gli intellettuali, in certa misura, utilizzavano in comune era il francese; allo stesso tempo restano celebri gli studi intorno a quei centri, le Accademie, che dovevano essere centri irradiatori dell'immagine di sé delle nazioni su scala internazionale.

In realtà, nel ritmo del "tempo della storia", appena un secolo separava tutto ciò dal culmine delle divisioni religiose, che avevano travagliato le contrade europee. La rivoluzione puritana in Inghilterra rispecchiava tale lacerazione e trovava un'eco simultanea nell'epigono della guerra dei trent'anni.

A latere della rivoluzione puritana, conduceva le sue riflessioni politiche Hobbes, caratterizzandole con il celebre motto bellum omnium contra omnes. Hobbes riprendeva dalla tradizione classica il pessimismo antropologico "homo homini lupus", ma lo intingeva nel presente della guerra civile inglese.

Come si sa, l'esigenza di trovar riparo all'insicurezza, secondo Hobbes, porta gli uomini ad un preciso calcolo logico-razionale, che impronta le leggi di natura e con esse lo Stato Leviatano.

Il nocciolo della profondità (e della modernità) del pensiero hobbesiano non sta tanto nella forma assolutistica dello Stato, ma nella strigente razionalità che si applica alla costruzione della macchina dello Stato.

Comunque, la celebrità di Hobbes resta consegnata alla menzione ineludibile della guerra tra gli uomini, scatenata dall'uguale rivendicazione di potere.

A questa accenna Lucio Caracciolo, direttore di Limes, facendo l'affresco dell'Europa divisa dalla crisi dell'euro. La moneta, al tempo di Hobbes, non aveva natura transnazionale e si era ancora agli esordi delle banche nazionali - vedi caso inglese. I sovrani conservavano gelosamente la prerogativa di battere moneta.

L'hobbesianesimo attuale è motivato, invece, dalla carenza di una sovranità sottostante l'euro, perché questa dovrebbe essere quella piena di un'Europa che si riconosce in alcune prerogative insostituibili e primarie (moneta, politica estera, politica militare, legislazione fiscale) .Il paradosso o la "contraddizione insoluta" è la pretesa di legiferare in presenza di una miriade - accozzaglia - di pretese nazionali, ammantate di sovranità, cercando di contemperarle.

L'uscita dall'impasse, come allora, non può che essere il severo calcolo logico-razionale, che va ad appurare la primaria esigenza di dare un sostrato di titolarità sovrana univoca alla finanza dell'euro.

Da questo piano - calcolo logico-formale ad impronta utilitaristica - c'è la possibilità di passare al cielo olimpico - idealità della ragione kantiana che ci incammina verso il regno dei fini della pace e prosperità tra gli uomini.

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